Negli ultimi decenni la proprietà intellettuale ed il suo ruolo nell’economia sono stati esaminati da un numero crescente di studiosi. Indubbiamente il riconoscimento di diritti giuridici sui frutti delle attività creative permette di tutelare gli interessi dei loro artefici.
I diritti di proprietà intellettuale consentono infatti agli innovatori di disporre delle proprie creazioni e di trarne vantaggi economici più che sufficienti a compensare gli sforzi sostenuti nel corso dell’attività creativa.
La questione della proprietà intellettuale
Ciò è particolarmente rilevante per le innovazioni di natura tecnica, che non a caso hanno costituito l’oggetto principale di tale tutela giuridica fin dal XV secolo. Con ogni probabilità, infatti, la tutela giuridica dei diritti degli inventori fu introdotta per la prima volta da una legge veneziana del 1474. Essa fu la prima norma conosciuta che limitasse l’interesse pubblico a favore dei diritti individuali[1].
Nel corso dell’età moderna vari paesi si dotarono di legislazioni sui diritti di brevetto, ma solo nel XVIII secolo la disciplina giuridica di tale materia divenne più sistematica. Gli Stati Uniti incorporarono la tutela di tali diritti nella loro Costituzione, mentre la Francia introdusse per legge la protezione dei diritti degli inventori durante la Rivoluzione. La tutela giuridica della proprietà intellettuale è quindi ritenuta da tempo un importante incentivo ad intraprendere o perseverare nello svolgimento di attività creative. Ciò non ha peraltro impedito di metterne più volte in discussione l’opportunità o l’efficacia[2].
Nella seconda metà del XIX secolo, in particolare, il sistema dei brevetti fu sottoposto a vivaci critiche da parte di ambienti politici ed economici. Esisteva la diffusa convinzione che la protezione della proprietà intellettuale non fosse giustificata né dal punto di vista propriamente economico, né dal punto di vista sociale. I titolari dei brevetti avrebbero potuto servirsi dei diritti loro riconosciuti per ostacolare le altrui attività di ricerca e sviluppo basate sulle loro creazioni.
La tutela giuridica di tali diritti avrebbe quindi permesso di conservare i vantaggi economici acquisiti, a detrimento dell’ulteriore avanzamento dell’innovazione. Tale posizione di monopolio avrebbe inoltre determinato prezzi elevati di vendita dei prodotti, a danno dei consumatori. Le critiche alla protezione della proprietà intellettuale giunsero talvolta a sfociare in specifici provvedimenti legislativi e atti di indirizzo politico.
Nel 1863 in Svizzera fu respinta una proposta legislativa per introdurre la protezione giuridica dei diritti di brevetto, mentre nel 1869 i Paesi Bassi giunsero addirittura ad abolire le norme esistenti a loro tutela. Nel medesimo periodo nel Regno Unito furono istituite commissioni parlamentari per valutare l’efficacia e l’utilità del sistema di proprietà intellettuale esistente. In Prussia fu lo stesso cancelliere Bismarck a suggerirne l’abolizione nel territorio del regno.
Forse solo la crisi economica internazionale successiva al 1870, con l’indebolimento delle forze politiche ed economiche favorevoli al libero scambio internazionale, salvò il sistema di tutela giuridica dei brevetti dall’abolizione o quanto meno da una profonda revisione. I principali paesi europei finirono quindi per mantenere o adottare tale sistema, che in seguito si estese e rafforzò in misura considerevole. Attualmente esso costituisce il principale strumento a sostegno delle attività innovative da parte dei grandi operatori economici.
Il problema della forma degli incentivi all’innovazione e dei loro possibili effetti sull’orientamento e la conduzione delle attività di ricerca assume aspetti particolarmente critici nel settore farmaceutico. Prodotti come i nuovi farmaci o vaccini presentano caratteristiche che li differenziano profondamente da altre innovazioni tecniche e scientifiche soggette al regime della proprietà intellettuale. È quindi comprensibile l’ampio dibattito che si è sviluppato in merito all’opportunità di assoggettare i prodotti farmaceutici a tale regime e in modo particolare i vaccini.
La tutela brevettuale
La tutela brevettuale rappresenta un incentivo allo sviluppo tecnologico: molti prodotti di uso comune e di elevata utilità sono stati studiati, creati e diffusi solo grazie a essa. In particolare, il brevetto è lo strumento giuridico che conferisce all’autore di un’invenzione il monopolio temporaneo del suo sfruttamento, ossia il diritto di impedire a terzi di realizzarla e trarne profitto.
Esso, pertanto, rappresenta una sorta di monopolio legale, seppur limitato territorialmente e temporalmente, che si regge su uno scambio con la società: il titolare del brevetto riceve protezione per la propria invenzione (monopolio temporaneo) e in cambio è obbligato a svelarne e a descriverne i dettagli. Durante il periodo di validità del brevetto, il detentore ha l’esclusiva del suo sfruttamento e può così ottenerne un ritorno economico, a copertura delle spese di ricerca e sviluppo sostenute (senza la garanzia di poterle recuperare, difficilmente si troverebbero imprese disposte a sostenerle: è questa la ragione principale a sostegno dell’esistenza dei brevetti) e in termini di profitto.
I diritti di proprietà intellettuale favoriscono una concorrenza dinamica e incoraggiano le imprese a investire nello sviluppo di prodotti e di processi nuovi o migliorati, mentre a concorrenza opera spingendo le imprese a innovare. Per questo motivo sia i diritti di proprietà intellettuale che la concorrenza, sono necessari per promuovere l’innovazione e garantire che essa sia sfruttata in modo concorrenziale.
Durante il periodo di validità del brevetto, il detentore dispone del potere di mercato tipico del monopolista, potendo fissare a piacimento il prezzo del prodotto (in questo caso le decisioni degli acquirenti determineranno le quantità vendute) o la quantità disponibile (in questo caso la domanda determinerà il prezzo del prodotto sul mercato). In questa fase, i prezzi dei prodotti brevettati saranno presumibilmente elevati a causa delle politiche di mercato attuate dal monopolista. Solo quando sarà trascorso il periodo di tutela brevettuale, la società otterrà maggiori benefici dall’invenzione, che potrà essere utilizzata anche da altri produttori: il mercato si aprirà alla concorrenza e i prezzi di mercato scenderanno.
Brevetti e licenze: tema caldo in tempo di pandemia
La capacità del brevetto di trasformarsi in strumento anticoncorrenziale, non è nota solo al settore farmaceutico ma si riscontra in tutti i settori economici, tuttavia è proprio in questo che desta maggiori preoccupazioni, perché capace di incidere in modo rilevante, non solo sulle norme che regolano il mercato e la concorrenza, ma più nello specifico, su un diritto fondamentale per la vita umana, come il diritto alla salute.
L’attuale emergenza sanitaria apre le porte a un mercato sanitario d’interesse per le aziende farmaceutiche e, proprio per questo motivo, i brevetti sono un tema “caldo”. In una crisi socio-economico-sanitaria come quella causata da COVID-19, le restrizioni della proprietà intellettuale non dovrebbero minacciare l’accesso dei pazienti a potenziali trattamenti, vaccini e tecniche diagnostiche all’avanguardia[3]. I brevetti consentono nominalmente un mandato di 20 anni, ma il sistema è complesso e ci sono strumenti aggiuntivi per l’estensione dell’esclusività (ad es. quella dei dati e del mercato) e i certificati di protezione complementare[4].
I concorrenti generici e biosimilari possono entrare e competere con prezzi più bassi solo dopo la fine dell’esclusività che, in alcuni casi, può essere protratta con modifiche al farmaco o al prodotto brevettato, attraverso il cosiddetto “evergreening”, in modo che vengano rilasciati successivi brevetti relativi allo stesso farmaco. Il monopolio creato dai brevetti (e da strumenti simili) comporta implicazioni etiche per l’accesso a trattamenti e vaccini salvavita, limitando la loro produzione ai titolari di brevetti. Le straordinarie circostanze scaturite dalla Pandemia sollevano interrogativi sull’adeguatezza di questi regimi normativi, e sull’attuale sistema di diritti di proprietà[5].
Una volta scoperti, l’accesso ai farmaci e ai vaccini COVID-19 sarà determinato dai diritti di proprietà intellettuale e dalle leggi sul commercio internazionale. Ci sono state diverse proposte per garantire che lo sviluppo di farmaci e vaccini possa essere accelerato, stimolando monopoli relativi al brevetto attraverso licenze volontarie o obbligatorie per condividere la proprietà intellettuale dei farmaci esistenti protetti da brevetto[6].
La storia della lotta contro l’HIV/AIDS dimostra la necessità di una cooperazione internazionale per garantire l’accesso all’assistenza sanitaria a un prezzo equo. L’impegno “Open COVID” incoraggia le società che detengono i diritti a impegnarsi pubblicamente a condividere gratuitamente la loro proprietà intellettuale, nella lotta contro il COVID-19. Alcuni governi hanno già agito, in base a motivi sanitari per l’emissione di licenze obbligatorie a sostegno degli sforzi di ricerca in corso per il COVID-19[7]: ciò permette di sospendere i brevetti su un prodotto, consentendo ad altri di produrre un prodotto o un processo brevettato senza il consenso del proprietario del brevetto[8].
Anche l’Unione Europea ha redatto un documento in cui si chiede all’OMS di mettere a disposizione di tutti la proprietà intellettuale come parte di un piano per garantire “un accesso equo” ai vaccini, alle cure e ad altri prodotti medicinali per combattere la pandemia. Il pool di brevetti, come nell’esempio del Medicines Patent Pool, è un’altra opzione per la condivisione di informazioni per impedire licenze esclusive[9]. Una lunga lista di Paesi, aziende e ONG si sono impegnate in una collaborazione senza precedenti a partecipare a un progetto guidato dall’OMS, perché “nessun Paese e nessuna organizzazione può farcela da sola”.
La creazione dell’iniziativa “Access to COVID-19 Tools Accelerator ” è la risposta ai numeri elevati di questa pandemia. Inoltre, numerosi partners, governativi e non, hanno dato avvio all’iniziativa di raccolta fondi “Coronavirus Global Response ”, una maratona mondiale con l’obiettivo di raccogliere in 2 anni 7,5 miliardi di euro destinati a “garantire lo sviluppo collaborativo e la disponibilità universale di vaccini e di strumenti diagnostici e terapeutici per il coronavirus”[10]
Una bussola etica
L’emergenza pandemia perdurante può essere una buona occasione per riflettere un momento sul significato dell’istituto brevettuale a maggior ragione nel tempo che viviamo. Il brevetto nasce per tutelare due beni ritenuti fondamentali dal Legislatore. Il primo è quello dell’inventore di essere riconosciuto tale e di essere remunerato, in modo diretto ed indiretto, per la sua invenzione e per gli investimenti fatti nella ricerca, somme oggi sempre più cospicue.
Il secondo bene che la legge tutela è il bene pubblico, il bene comune, e lo fa dando un termine preciso entro cui il brevetto può essere oggetto di privativa. Il brevetto ha una scadenza affinché la scoperta o il ritrovato della tecnica possa essere nella disponibilità di chiunque.
Per arginare l’aggravarsi di tali disuguaglianze, la necessaria “correzione di rotta” politico-gestionale deve essere supportata da una “bussola etica”[11] che fornisca un linguaggio e un modo di pensare comuni fondati su tre principi universalmente condivisi e patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa: beneficialità/non maleficenza: agire per la salvaguardia della vita e della salute di ogni persona in base adun calcolo rischio/beneficio; uguaglianza-equità: riconoscere la dignità di ogni persona attraverso il rispetto dei diritti umani, la non discriminazione, l’equa distribuzione delle prestazioni e degli oneri; solidarietà e sussidiarietà: aiutare a ridurre la sofferenza in maniera proporzionale ai bisogni.
Nell’attuale contesto di pandemia globale, si discute sull’impatto che i brevetti sui vaccini possano avere sulla tutela della salute. In che misura i brevetti possono garantire uno sfruttamento diffuso ed universale dei vaccini in casi di emergenza sanitaria?
I brevetti sui vaccini determinano inevitabilmente dei limiti all’accesso alle cure. Per superare tale impasse gli Stati potrebbero attivare diversi strumenti giuridici. Uno tra questi è quello delle licenze obbligatorie ex art. 31 del Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPs)[12] che prevede il diritto degli Stati membri del World Trade Organization (WTO) di includere nella loro legislazione una disposizione per l’uso del brevetto senza autorizzazione del titolare per facilitare l’accesso ai farmaci (la cosiddetta “licenza obbligatoria”), in circostanze di emergenza e altre situazioni non convenzionali. Ciò consentirebbe la produzione e l’esportazione di brevetti sui vaccini o vaccini in corso di brevettazione senza il previo consenso del titolare del monopolio e verso Stati privi della capacità necessaria a produrli localmente.
Per attivare le licenze obbligatorie occorre, in primo luogo, che vi sia effettivamente un’emergenza sanitaria nazionale. In seguito, si può richiedere formalmente al titolare del brevetto un’autorizzazione immediata alla produzione dei farmaci necessari. Qualora quest’ultimo abbia negato il suo consenso, diventa allora possibile procedere all’imposizione di una licenza obbligatoria (sempre in presenza appunto di una grave emergenza sanitaria nel territorio del paese richiedente) e questo a fronte però della disponibilità al pagamento di un congruo corrispettivo al titolare del brevetto stesso e a condizione che l’obbligatorietà della licenza sia circoscritta temporalmente e geograficamente[13].
Al fine di limitare l’uso dei brevetti sui vaccini ed in risposta all’elevato costo dei farmaci, molti Paesi in via di sviluppo hanno fatto ricorso allo strumento delle licenze obbligatorie. Ciò ha determinato diversi contenziosi con le Big Pharma che accusavano gli Stati di aver recepito ed interpretato le clausole di limitazione della proprietà intellettuale presenti nei TRIPS in modo eccessivamente esteso, violando i relativi principi costituzionali in materia di libertà economiche[14].
Nei contenziosi in esame, i giudici nazionali finivano per valorizzare i diritti sociali e gli altri diritti fondamentali quali il diritto alla vita, alla salute, alla dignità umana, legittimando le politiche economiche dei Paesi citati di applicazione delle clausole di limitazione della proprietà intellettuale previste dai TRIPS.
Un’altra modalità per limitare i brevetti sui vaccini è quella dell’espropriazione. Quest’ultima permette agli Stati di impossessarsi di qualsiasi brevetto nell’interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità, a fronte di un’indennità al titolare[15].
Per quanto concerne propriamente l’Italia, la procedura di espropriazione è disciplinata dall’art. 141 e seguenti del Codice della Proprietà Industriale. Secondo la legislazione nazionale, lo Stato può espropriare il diritto nel suo complesso, ovvero anche soltanto il diritto di utilizzare l’invenzione nell’interesse nazionale e per un periodo determinato di tempo. Inoltre, l’espropriazione può essere limitata al diritto di uso per i bisogni dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie, in quanto compatibili.
La licenza obbligatoria è difficilmente praticabile in breve tempo, poiché prevede un complicato iter processuale. L’espropriazione invece permette agli Stati di impossessarsi rapidamente di qualsiasi brevetto nell’interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità, a fronte di una indennità al titolare.
In entrambi i casi, è necessario considerare bene, a livello politico, gli effetti di queste decisioni. Bisogna trovare l’equilibrio tra la difesa delle idee, degli investimenti, e il perseguimento del bene comune in una situazione straordinaria come una pandemia.
L’eliminazione dei brevetti dev’essere circoscritta, altrimenti le imprese potrebbero non investire più in ricerca e sviluppo (basti vedere ciò che succede per le malattie rarissime); d’altro canto, con i brevetti, accessibilità e prezzo di vendita possono essere decisi da chi ne è titolare, rendendo il proprio prodotto esclusivo anche durante un’epidemia mondiale.
È dunque evidente come in casi d’emergenza come quello che stiamo vivendo, gli istituti della licenza obbligatoria e dell’espropriazione siano adeguati. Bisogna però che siano ben definiti i casi in cui è lecito farne uso: sia per tutelare e incentivare gli investimenti delle aziende nella ricerca medica, sia per non lasciare da sole imprese virtuose.
Quale evento straordinario di dimensione planetaria, l’emergenza del Covid-19 ripropone una quantità di problemi di ampio respiro, tra cui il delicato bilanciamento tra la proprietà intellettuale quale stimolatore di ricerca, sviluppo, investimenti e progresso, e l’interesse generale, nella sua declinazione di drammatica attualità del diritto alla vita e alla salute.
Congelare i brevetti
Congelare i brevetti è l’unico modo per vincere la pandemia. È stata la proposta di India e Sudafrica, presentata il 2 ottobre scorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini e gli altri dispositivi indispensabili al contrasto del Covid. Oltretutto si tratta di una via praticabile e legale.
La clausola è prevista nello stesso trattato istitutivo della Wto, il cosiddetto accordo Trips di Marrakesh del1994. L’articolo 9 contempla «eccezioni» alle regole vigenti sulla proprietà intellettuale in casi di particolare gravità. Come una pandemia, appunto. Tanto più che questa volta le aziende farmaceutiche hanno potuto contare su un’ingente iniezione di finanziamenti pubblici: 93 miliardi di dollari, di cui 83,5 destinati ai vaccini, secondo la Fondazione Kenup.
La proposta indo-sudafricana – sostenuta dalla stessa Organizzazionemondiale della sanità (Oms) – deve ottenere il sì dei tre quarti dei Paesi membri. Ma l’orientamento di alcuni Stati cruciali – Usa, Ue, Gran Bretagna, Giappone, Svizzera e Australia – è di chiusura. A questi ultimi, Medice senza frontiere e vari gruppi della società civile hanno consegnato un appello alle loro ambasciate in Sudafrica: Italia e Brasile hanno perfino rifiutato di riceverla. Il prossimo mese è fondamentale: la Wto dovrebbe pronunciarsi nella prossima riunione del 1 e 2 marzo. Ma la decisione potrebbe slittare ancora. Nel frattempo, il Covid continua a uccidere.
I diritti di proprietà intellettuale sono tra gli elementi caratterizzanti di una società capitalista: è in tale ambito che si collocano i brevetti sanitari, considerati come un “incentivo” per le imprese ad investire in ricerca e sviluppo. È vero che essi permettono all’azienda di avere una “esclusività” del prodotto, almeno fino a quando il brevetto non scade, ma pongono altresì degli enormi dubbi etico-morali riguardo al loro utilizzo.
Accettando l’esistenza dei brevetti stiamo infatti implicitamente dicendo che il profitto del produttore è più importante della salute pubblica, o comunque di una parte dei bisogni irrinunciabili correlati ad essa? E se così fosse, allora siamo anche disposti ad accettare che in tempo di pandemia gli Stati si ritrovino ad essere ricattati dalle aziende che producono i vaccini? E come ci poniamo quando un vaccino indispensabile per la profilassi, come nel caso della Covid-19, viene brevettato da multinazional iprivate che hanno ottenuto enormi finanziamenti pubblici?
Nel momento in cui si è deciso di sottoporre ogni aspetto della nostra società alle logiche di mercato e di delegare la produzione di vaccini in prima istanza a multinazionali private, bisogna aspettarselo: è del tutto consequenziale che esse ambiscano semplicemente a massimizzare il loro profitto. La reazione europea ed italiana è sembrata essere veemente: Conte ha dichiarato come “inaccettabile il taglio delle dosi di Astrazeneca e Pfizer” e ha annunciato azioni legali nei loro confronti; in realtà, però, è stata solo la più classica delle sceneggiate.
Di fronte alla richiesta di India e Sudafrica all’Organizzazione Internazionale del Commercio (WTO) di sospendere i brevetti legati ai vaccini in modo da dare la possibilità agli Stati di produrli ed aumentare dunque la disponibilità di essi, sono state proprio le potenze occidentali ad opporsi tra cui gli Stati Uniti, l’Unione Europea (tra cui l’Italia) e il Regno Unito. Al netto dei proclami e delle affermazioni fatte, è evidente che i precetti della dottrina neoliberista non vengono messi in discussione nemmeno in tempo di pandemia: i brevetti non si toccano e i profitti privati neanche, pertanto la salute pubblica è subordinata agli interessi privatistici.
Il documento congiunto della Commissione Vaticana Covid-19 e della Pontificia Accademia per la Vita di fine dicembre 2019 afferma che I vaccini sono stati sviluppati come un bene pubblico e devono essere forniti a tutti in modo giusto ed equo, dando priorità a coloro che ne hanno più bisogno.
Giustizia, solidarietà e inclusione sono i principali criteri da seguire per affrontare le sfide poste da questa emergenza planetaria. Le aziende che possano essere valutate in modo positivo, aveva detto il Santo Padre all’ udienza generale dello scorso 19 agosto, sono quelle che “contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune e alla cura del creato”. La bussola imprescindibile è quindi l’ampio orizzonte che si lega ai principi della Dottrina sociale della Chiesa, “come la dignità umana e l’opzione preferenziale per i poveri, la solidarietà e la sussidiarietà, il bene comune e la custodia della casa comune, la giustizia e la destinazione universale dei beni”.
Data la sua funzione, si sottolinea nel documento, è molto opportuno interpretare il vaccino “come un bene a cui tutti abbiano accesso, senza discriminazioni, secondo il principio della destinazione universale dei beni, menzionato anche da Papa Francesco”. Come ha detto il Pontefice nel messaggio di Natale, “non possiamo neanche lasciare che il virus dell’individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle … mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amoree della salute dell’umanità”.
“Il solo obiettivo dello sfruttamento commerciale – si ricorda nel documento della Commissione Vaticana Covid-19 e della Pontificia Accademia per la Vita – non è eticamente accettabile nel campo della medicina e della cura della salute. Gli investimenti in campo medico dovrebbero trovare il loro più profondo significato nella solidarietà umana”.
Dal binomio closed-science-closed markets al binomio open science-open markets
Né Salk né Sabin pensarono mai di brevettare i loro vaccini. A chi gli chiedeva chi possedesse il brevetto Salk rispose “Well, the people I would say. There is no patent. Could you patent the Sun?” e Sabin disse che il suo vaccino era il “suo regalo a tutti i bambini del mondo”.
Non vi fu concorrenza economica a fini di lucro fra le due modalità di vaccino anti-polio (che tuttora coesistono). Vi fu, invece, una sana e aperta concorrenza scientifica, che divise il mondo in ben distinte zone di adozione dei due vaccini. L’assenza di brevetti permise una rapida diffusione dei vaccini con costi molto contenuti.
Erano tempi in cui era ancora molto forte il binomio “open science – open markets”. Una scienza che pubblicava apertamente i propri risultati permetteva poi alle aziende farmaceutiche di sfidarsi in mercati aperti.
Il capitalismo degli ultimi tre decenni, basato sulla privatizzazione della conoscenza e sui monopoli intellettuali, è molto diverso. Il binomio “closed science – closed markets” è quello prevalente. Segreti e brevetti, invece della corsa alla pubblicazione, tipico della open science, caratterizzano la produzione dei farmaci e ne assicurano il monopolio. Nel caso dei vaccini questo modello ha mostrato notevoli svantaggi, solo in parte attenuati dagli enormi sussidi per la ricerca dati ad alcune aziende farmaceutiche.
Nonostante i cospicui finanziamenti pubblici Moderna, come Pfizer, continua a far valere i suoi diritti di proprietà intellettuale. I prodotti sono stati sviluppati in un clima di segretezza e i risultati sono stati diffusi mediante comunicati stampa e non attraverso riviste scientifiche. Questi comunicati hanno permesso ai manager e ad altri proprietari di vendere le loro azioni a prezzi molto alti ma non hanno certo contribuito ad innalzare la fiducia che degli individui nei vaccini.
È naturalmente vero che l’efficacia e la sicurezza dei vaccini sono anche garantiti dalle autorità pubbliche preposte a questo scopo. Tuttavia queste autorità possono svolgere meglio il loro lavoro, ed evitare una cattura da parte di interessi particolari, se possono avvalersi di un dibattito e di una verifica che coinvolgono tutta la comunità scientifica internazionale. Questo è forse incompatibile con i profitti derivanti da brevetti e segreti ma proprio questa incompatibilità costituirebbe un argomento a supporto delle procedure della open science.
Da quanto detto scaturiscono alcune implicazioni. Prima di tutto sembra evidente che il regime di “closed science – closed markets”, ovvero il capitalismo dei monopoli intellettuali che prevale nel mondo occidentale, porta ad investire in modo soddisfacente solo in un intervallo molto piccolo dell’insieme di opportunità di investimento. Sono esclusi da questo intervallo, da un lato i progetti di investimento eccessivamente rischiosi (a meno che gli Stati non assumano quasi tutti i rischi pur lasciando alle imprese alti profitti, indiscussi diritti di proprietà intellettuale e diritto alla segretezza industriale) e, dall’altro lato, anche progetti poco rischiosi ma con limitate prospettive di profitto perché i prodotti non sono brevettabili (come per il caso dei vaccini inattivati).
Un intervento pubblico fondato su scienza e mercati aperti potrebbe recuperare queste opportunità di investimento, così importanti per la nostra salute, che il modello di capitalismo prevalente nel mondo occidentale rischia di non sfruttare.
Inoltre, iniziative come il COVAX (un portafoglio condiviso di vaccini per il Covid 19 lanciato dal WHO) hanno aperto un importante spiraglio di cooperazione internazionale e di equo accesso ai vaccini; tuttavia molto va ancora fatto contro il cosiddetto nazionalismo dei vaccini e in generale per migliorare le istituzioni della produzione di farmaci. Il nazionalismo dei vaccini consiste in un disdicevole scambio in cui lo Stato, in cambio di una priorità di uso dei medicinali e altri vantaggi economici e politici, sussidia alcune imprese e ne garantisce la segretezza industriale e i diritti di proprietà intellettuali.
Pur essendo la conoscenza un bene di cui ciascuno può disporre senza limitarne la disponibilità per altri, ogni paese ne favorisce una inefficiente e ingiusta privatizzazione. Siamo di fronte a un classico problema di dannoso opportunismo economico da risolvere con accordi multilaterali. Se usufruire degli investimenti degli altri senza fare la propria parte costituisce una forma di concorrenza sleale, allora la partecipazione al WTO (World Trade Organization) e al commercio internazionale dovrebbe comportare livelli minimi obbligatori di investimenti in open science. Solo in questo modo potremo trovarci più preparati di fronte a future epidemie e in generale, potremo evitare un forte sotto-investimento nei beni globali comuni.
Infine, le spese sostenute e i contratti preliminari con le case farmaceutiche non devono far dimenticare che la scelta dei vaccini migliori in termini di sicurezza, efficacia e di celere disponibilità richiede una discussione trasparente nella comunità scientifica. Le barriere, spesso protezionistiche, derivanti dai diversi sistemi di regolamentazione non devono distoglierci da questo obiettivo. Lo scopo della regolamentazione è quello di permettere l’accesso ai farmaci migliori senza privilegiare i paesi che li hanno prodotti e indipendentemente dai sentieri più o meno innovativi seguiti dagli scienziati.
Conclusione
Sembra incontestabile che la pandemia del Covid-19 rappresenti una situazione di emergenza anche nel contesto dell’Accordo Trips. Ciò legittimerebbe gli Stati membri a rilasciare licenze obbligatorie intese a consentire la produzione e l’esportazione anche su vasta scala di farmaci e vaccini brevettati o in corso di brevettazione, alla volta di Stati privi della capacità produttiva necessaria per produrli localmente, anche senza il consenso del titolare del brevetto.
Se è vero che l’industria farmaceutica ha messo in campo un formidabile dispiegamento di forze per produrre nei tempi più brevi farmaci e vaccini anti Covid-19 su larga scala, è anche vero che gli Stati membri dell’Accordo Trips potrebbero comunque consentire l’utilizzo della proprietà intellettuale che emergerà dalla ricerca e dallo sviluppo in atto, anche al di fuori degli ordinari meccanismi consensuali.
In tal modo, potrebbe essere legittimata la produzione e l’esportazione di un vaccino, di un farmaco, di un prodotto diagnostico di emergenza, o ancora, di dispositivi di protezione individuale indispensabili. L’emergenza del Covid-19 ha raggiunto una gravità tale da giustificare il ricorso a questi strumenti eccezionali di limitazione della proprietà e della libertà di impresa, che hanno dei precedenti solo nell’economia della guerra. Infatti, l’emergenza Covid-19 è quasi ovunque trattata con un linguaggio bellico: si parla di trincea negli ospedali, di fronte del virus, di economia di guerra; ogni sera la Protezione civile dirama un bollettino con il numero dei morti e dei contagiati che aspettiamo col fiato sospeso.
Omero forse è stato il primo a innescare questo gioco. Nel primo canto dell’Iliade il dio Apollo, per vendicare l’offesa subita dal sacerdote troiano Crise, decide di diffondere una pestilenza nell’accampamento degli achei. E come lo fa? Con arco e frecce: “Nove giorni volâr nel campo acheo le divine quadrella”, declama la traduzione di Vincenzo Monti, per nove giorni (il tempo d’incubazione?) volarono nel campo acheo le divine frecce.
Apollo comincia a colpire il bestiame, per passare poi ai soldati: proprio come fanno i virus con cui abbiamo a che fare oggi, che passando dagli animali infettano l’uomo. In pochi versi Omero stabilisce una metafora della malattia che, più di duemila anni dopo, continua a essere innervata nel nostro modo di intendere il male. La malattia è un atto di guerra, una rappresaglia, una punizione; e chi cade è sconfitto.
Ogni giorno che passa ci accorgiamo che il Covid-19 non conosce confini e richiede una risposta unitaria a livello globale. Parlare di guerra, d’invasione e di eroismo, con un lessico bellico ancora ottocentesco, ci allontana dall’idea di unità e condivisione di obiettivi che ci permetterà di uscirne. Abbiamo urgente bisogno di nuove metafore e di nuove parole per raccontarci i giorni che stiamo vivendo; quelle vecchie rischiano di trasformare in un incubo non solo il presente ma anche, e soprattutto, il futuro che ci aspetta. Ma soprattutto abbiamo bisogno di modelli economici alternativi che non imprigionino la dignità degli esseri umani, soprattutto dei più vulnerabili nella gabbia del dogmatismo di un capitalismo vorace e cinico.
Si attivi in tutti una fantasia della solidarietà così che, al contrario di Apollo, ciascuno tenda l’arcobaleno di una nuova convivialità tra i popoli e scocchino frecce di giustizia e di equità per tutti i popoli.
Don Domenico Marrone è parroco e docente di Teologia Morale presso l’Istituto Superiore Metropolitano di Scienze Religiose “San Sabino” di Bari.
[1] Cfr. K. Idris, Intellectual property – a power tool for economic growth, WIPO, 2003.
[2] Cfr. S. Shavell e T. Van Ypersele, Rewards versus Intellectual Property Rights, Journal of Law and Economics, 2001.
[3] Osservatorio Terapie Avanzate, Brevetti e proprietà intellettuale al tempo del Coronavirus (11 maggio 2020) (https://www.osservatorioterapieavanzate.it/regolatorio/brevetti-e-proprietaintellettuale-al-tempo-del-coronavirus)
[4] Reg (CEE) n. 1768/92 del Consiglio, 18 giugno 1992, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali. Medicines Law & Policy (10 July 2018) How patents, data exclusivity and SPCs interact to extend market (https://medicineslawandpolicy.org/2018/07/how-patents-data-exclusivity-and-spcs-interact-to-extend-market-exclusivity-of-medicines-theexample-of-truvada/) exclusivity of medicines: the example of Truvada (https://medicineslawandpolicy.org/2018/07/how-patents-data-exclusivity-and-spcs-interact-to-extend-market-exclusivityof-medicines-the-example-of-truvada/).
[5] Project Syndicate (23 April 2020) Patents vs. the pandemic (https://www.project-syndicate.org/commentary/covid19-drugs-and-vaccine-demand-patent-reform-by-joseph-e-stiglitz-et-al-2020-04?barrier=accesspaylog).
[6] L’accordo riguardante i diritti di proprietà intellettuale (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights – TRIPS) è stato allegato nel 1994 al documento che istituisce la WTO. L’articolo 31 (https://www.who.int/bulletin/volumes/91/7/12-115865/en/) di questo accordo prevede il diritto degli Stati membri di includere nella loro legislazione una disposizione perl’uso del brevetto senza autorizzazione del titolare per facilitare l’accesso ai farmaci (la cosiddetta ‘licenza obbligatoria’), in circostanze di emergenza e altre situazioni non convenzionali.L’articolo 5 della Dichiarazione di Doha, come riportato sul sito web della World Trade Organization (https://www.wto.org/english/thewto_e/minist_e/min01_e/mindecl_trips_e.htm) , confermache gli Stati membri della WTO hanno “la libertà di determinare i motivi per la concessione di licenze obbligatorie e che le crisi sanitarie pubbliche, comprese quelle legate alle epidemie diinfezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV), tubercolosi, malaria e altre malattie, possono rappresentare un’emergenza nazionale o altre circostanze di estrema urgenza ”. Un Paesepuò quindi concedere tale licenza a un’agenzia pubblica o a un produttore di farmaci generici, consentendogli di copiare un farmaco senza il consenso della società che detiene il brevetto.
[7] World Trade Organization Compulsory licensing of pharmaceuticals and TRIPS (https://www.wto.org/english/tratop_e/trips_e/public_health_faq_e.htm) (accessed 25 May 2020).
[8] Medici Senza Frontiere (MSF) non ha richiesto (https://msfaccess.org/msf-calls-no-patents-or-profiteering-covid-19-drugs-tests-and-vaccines-pandemic) brevetti o profitti su farmaci, test ovaccini utilizzati per la pandemia di COVID-19; il Cile ha concesso (https://www.keionline.org/chilean-covid-resolution) le licenze per qualsiasi farmaco, vaccino o metodo diagnostico per ilSARS-CoV-2 e l’Assemblea Nazionale dell’Ecuador ha approvato un documento (https://www.keionline.org/wp-content/uploads/ES-Ecuador-CL-resolution.pdf) simile.
[9] Medicines Patent Pool: COVID-19 (https://medicinespatentpool.org/what-we-do/our-work/covid-19/); The Guardian (17 May 2020) US and UK ‘lead push against global patent pool (https://www.theguardian.com/world/2020/may/17/us-and-uk-lead-push-against-global-patent-pool-for-covid-19-drugs#maincontent) for COVID-19 drugs’ (https://www.theguardian.com/world/2020/may/17/us-and-uk-lead-push-against-global-patent-pool-for-covid-19-drugs#maincontent). L’OMS e il Costa Rica stanno lanciando un pooltecnologico COVID-19 globale, che raccoglie diritti di brevetto, dati normativi, software, progetti e segreti commerciali per renderli disponibili a livello globale: Costa Rica Gobierno DelBicentenario (24 March 2020) Costa Rica submits proposal for WHO to facilitate access (https://www.presidencia.go.cr/comunicados/2020/03/costa-rica-submits-proposal-for-who-to-facilitateaccess-to-technologies-to-combat-covid-19/) to technologies to combat COVID-19 (https://www.presidencia.go.cr/comunicados/2020/03/costa-rica-submits-proposal-for-who-to-facilitateaccess-
to-technologies-to-combat-covid-19/); Knowledge Ecology International (27 March 2020) Open letter to WHO and (https://www.keionline.org/32599) its Member States on the proposalby Costa Rica to create a global pool for rights in the data, knowledge and (https://www.keionline.org/32599) technologies useful in the prevention, detection and treatment of thecoronavirus/COVID-19 pandemic (https://www.keionline.org/32599) ; Medicines Law & Policy (23 April 2020) COVID-19 intellectual property pool gaining support (https://medicineslawandpolicy.org/2020/04/covid-19-intellectual-property-pool-gaining-support/).
[10] https://www.statnews.com/wp-content/uploads/2020/04/EU-Proposal-for-a-WHA73-Resolution-on-the-COVID-19-Response.pdf; http://freepdfhosting.com/156521157a.pdf; https://global-response.europa.eu/index_it.
[11] Nuffield Council on Bioethics (29 Maggio 2020), Fair and equitable access to COVID-19 treatments and vaccines (https://www.nuffieldbioethics.org/assets/pdfs/Fair-and-equitable-access-to-COVID-19-treatments-and-vaccines.pdf).
[12] Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, Accordo TRIPs adottato a Marrakech 15 aprile 1994 relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio ratificato dall’Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747, http://www.uibm.gov.it/attachments/Accordo_trips.pdf.
[13] Codice della Proprietà Industriale, D.lgs 10/02/2005 n° 30.
[14] CRISTOFORI RAPISARDI E., Vaccini e brevetti, il dilemma della proprietà intellettuale, in “Il Sole 24 Ore”, 05.05.2020, https://www.ilsole24ore.com/art/vaccini-e-brevetti-dilemma-proprieta-intellettuale-ADB8nWO.
[15] DELLA MONICA F., La proprietà intellettuale e i suoi diritti, 12.09.2019, DirittoConsenso, https://www.dirittoconsenso.it/2019/09/12/proprieta-intellettuale-diritti/