Le leggi della Chiesa

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C’è tensione nel mondo cattolico tra chi sostiene l’ortodossia e magari invoca “eresie” vere o presunte contro di essa e chi si dimostra più tollerante e anche disponibile ad approfondimenti della dottrina cristiana. Tensione che riverbera poi nell’azione pastorale.

Nel mondo cattolico indubbiamente si registra un momento di “transizione”, senza sapere verso dove e verso chi. Da qui la domanda: “le leggi della Chiesa sono ancora valide”? La risposta ovvia è sì, anche se spesso molte leggi vengono disattese, senza che nulla accada, dimostrando così una trasgressione che appare “troppo tollerata”, oppure generativa di un’incertezza che viene risolta a seconda della sensibilità di chi la applica. Gli esempi più comuni sono la comunione a persone separate e/o divorziate o la possibilità di fare da padrino/madrina concessa a persone “irregolari”.

È forse opportuna una riflessione che, senza scendere alle pratiche pastorali, faccia emergere il problema del rapporto tra legge ecclesiastica e Vangelo. Un problema complesso, apparso ai tempi del Concilio e che sostanzialmente non è stato risolto.

Il Codice di diritto canonico per la Chiesa latina è stato pubblicato nel 1983 e molti commenti di quell’epoca dichiararono – e dichiarano – che era una Codice che aveva seguito gli insegnamenti del Vaticano II.

Il Concilio non ha affrontato esplicitamente il rapporto tra legge e Vangelo, anche se i riferimenti a particolari questioni è stato espresso. La domanda centrale è rimasta: “è possibile che il messaggio evangelico possa essere tradotto in legge?”.

Vangelo e diritto

Nell’immediato post-concilio sono state espresse molte opinioni. Sommariamente e in modo comprensibile è possibile riassumerle così.

Sostieni SettimanaNews.itLa prima afferma (G. Bertrmas) che la presenza della legge scritta e orale è possibile perché la Chiesa – così come Cristo – è insieme una realtà visibile e invisibile. Lo dice il Concilio nella Lumen gentium 8: «Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino». La Chiesa, dunque, può e deve esprimersi con gesti e parole, tra le quali anche la legge.

La seconda spiegazione è simile alla prima, ma parte dal connubio di “sacramento e parola” (K. Mörsdorf): «Quale mistico corpo del Signore, la Chiesa è necessariamente una comunità visibile, capace e bisognosa di un ordinamento giuridico, la quale, nella continuazione dell’opera divino-umana della redenzione è guidata dagli organi istituiti da Cristo. La sua base del diritto sono gli stessi che costituiscono la Chiesa: Parola e sacramenti. Ambedue hanno un carattere giuridico».

Esiste anche una spiegazione chiamata “istituzionale”, di scuola spagnola. La Chiesa è un’istituzione divina e umana. Ha quindi bisogno di leggi che garantiscano la sua esistenza e il suo funzionamento. La legge nella Chiesa è dunque necessaria per la sua stessa esistenza, in quanto è una realtà completa con un proprio diritto.

Infine, c’è chi ha sostenuto che, a partire dalla Chiesa post-apostolica, si è costituita una «comunità sacramentale di fede» (P. Huizing): i discepoli del Signore si organizzano, con a capo chi sarà chiamato vescovo, segno di unità delle comunità nascenti. Tale comunione si esprimerà, man mano che le Chiese locali crescono nella comunione tra i vescovi prima e con quello della Chiesa di Roma poi. Al vescovo spetta di presiedere la liturgia, di annunciare la parola, di stare nei giudizi.

Con il trascorrere del tempo, la Chiesa locale diventa mondiale. La Chiesa si organizza con funzioni e organizzazione umana. Il legame di comunione rimane uguale per sempre e l’ordinamento dovrà favorire la partecipazione, l’adesione interiore alle norme, mettendosi a servizio delle singole persone.

Legge divina e legge umana

Nonostante le spiegazioni “tecniche”, rimane il problema tra la legge divina e quella umana. Mentre la legge divina è immutabile e ad essa non si può trasgredire, la legge umana è un’applicazione della legge divina con minore autorità. Seconda domanda: come avviene la trasmissione dalla legge divina alla legge umana o viceversa?

I tentativi recenti di soluzione sono svolti dagli studi della “teologia del diritto canonico”, indicando due fondamenti che giustificano le leggi nella Chiesa: la missione e la comunione.

Gli apostoli hanno ricevuto l’indicazione di annunciare il Vangelo, di agevolare la grazia divina e di essere uniti tra i battezzati. Il diritto ha tradotto queste indicazione con i tre “munera” (= potestà): santificare, insegnare e governare.

Da qui lo sforzo di definire i compiti e l’organizzazione della Chiesa. La prima distinzione è stata fatta tra chierici e laici; la seconda come si costituisce la gerarchia; la terza come e chi insegna, la quarta come e chi santifica e a seguire come si amministrano le cose materiali, quali sono le punizioni previste, come si risolvono i conflitti. È lo schema della composizione dei libri del Codice.

L’obiezione fondamentale che sorge a questo schema è: si tratta di norme umane, di norme divine, oppure (come sostengono i più) umane e divine insieme? E quali quelle divine e quelle umane?

Il Codice non dichiara sempre la provenienza della legge, anche se interferisce sulla validità di un sacramento: es. il rispetto della forma del matrimonio con il canone 1108.

Da questa impostazione si deduce la lontananza tra messaggio evangelico e norma concreta. Se si mettono in parallelo i capitoli 5, 6 e 7 del Vangelo di Matteo (che riassumono la nuova legge dell’amore: ama Dio e ama il prossimo), con l’impostazione del Codice, i contatti sono inesistenti. Il Codice, ad esempio, non usa mai la parola “prossimo”. Le liti tra i cristiani sono risolte con lo schema dei processi (processo contenzioso ordinario – processi matrimoniali – processi penali); usa pochissime volte la parola “perdono”; il sacramento del matrimonio è ridotto a un patto; la sua validità si risolve con un processo speciale. Si potrebbe continuare a lungo. È evidente che la natura di molte leggi ecclesiastiche è tratta dal diritto civile. La storia racconta questa origine che ha inizio da Giustiniano e che si è accentuata nei secoli XVII-XVIII con l’insorgere degli Stati moderni e con la riforma protestante per rispondere al valore della sua esistenza.

Una riscrittura delle leggi canoniche?

È necessaria una riscrittura delle leggi ecclesiastiche. I cristiani non riescono più a resistere alla distanza tra leggi umane e leggi divine. Non si può annunciare il Vangelo con il perdono dei propri fratelli e il rispetto del creato e non trovare corrispettivo nelle leggi della Chiesa. È vero che l’insegnamento dei pontefici integra l’apparato legislativo; resta il problema che l’elaborazione del diritto è “troppo umana” e poco evangelica.

Se, con il Codice del 1983, è iniziata la revisione dell’impostazione istituzionale del vecchio Codice del 1917, non si può interrompere la rivisitazione. La conseguenza più tragica è che il singolo fedele “sceglie” quale legge osservare, con proprio discernimento. Proprio per non permettere questo, è importante cambiare alle fondamenta l’approccio legislativo della Chiesa.

Il diritto canonico è un diritto “speciale” al quale sono chiamati i battezzati: pur nel rispetto dei diritti umani, con i quali la Chiesa è contigua, il cristiano ha “altre leggi” da rispettare che si deducono dalla sua fede e dalla propria coerenza.

La distanza tra teologia, morale e diritto canonico va ridotta e di molto.

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