È innegabile l’evoluzione della cultura riguardante la problematica dei generi nella società odierna. Lo dicono dati e statistiche. Che fare?
La nota della Conferenza episcopale italiana a proposito della proposta di legge contro i reati di omotransfobia calendarizzata alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati appare all’esterno come un problema tecnico.
La proposta di Legge che, per la verità, è ancora in fase di definizione, dopo alcune audizioni alla Camera dei deputati, è affidata al relatore on. Zan.
Una cultura che si evolve
La legge è necessaria, secondo i propositori della legge, per contrastare i crimini d’odio omotransfobici e di genere e per indicare politiche attive e sociali per la protezione e assistenza delle vittime.
La Conferenza episcopale, nella sua nota, dichiara che le norme esistenti contro l’omofobia sono già attive nell’ordinamento italiano e non c’è alcuna necessità di ulteriori precisazioni. Aggiunge: «Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte.
Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso».
In parole più esplicite, sostenere la tesi che la famiglia è composta da un uomo e una donna; che i figli abbiano un padre e una madre potrebbe essere interpretata come un’offesa alla condizione di omo e di trans? In altre parole, potrebbe essere incriminato chi esprime la dottrina cattolica sulla sessualità?
Un giudizio definitivo non può essere espresso in quanto la discussione sulla proposta di legge non ha raggiunto la maturità necessaria per parlare di legge.
Guardando la materia a più ampio raggio, si nota l’evoluzione della cultura riguardante la problematica dei generi nella società odierna.
La condizione omosessuale sta passando da una condizione che esige rispetto a un diritto da esigere. I passaggi sono stati l’unione civile tra persone dello stesso sesso, in attesa del riconoscimento dei figli di genitori dello stesso sesso. In Italia sono state riconosciute le unioni civili, con la legge del 20 maggio 2016; non esiste ancora la regolamentazione di figli affidati a genitori dello stesso sesso e alla maternità surrogata. Alcuni paesi europei hanno già legiferato, mentre solo alcune sentenze di Tribunali italiani hanno risolto situazioni particolari.
Alcune considerazioni
Sono utili alcune considerazioni. La prima dice che, contemporaneamente allo schema classico del nucleo familiare composto da uomo e donna con i propri figli (oppure affidati), stanno emergendo altri schemi che cercano giustificazione anche giuridica.
I dati ISTAT disponibili sono questi: nel 2018 sono state costituite 2.808 unioni civili (tra coppie dello stesso sesso) presso gli Uffici di Stato civile dei comuni italiani. Queste si vanno a sommare a quelle già costituite nel corso del secondo semestre 2016 (2.336), anno di entrata in vigore della Legge 20 maggio 2016, n. 76, e dell’anno 2017 (4.376). Come nelle attese, dopo il picco avutosi subito dopo l’entrata in vigore della nuova legge, il fenomeno si sta ora stabilizzando. In totale in due anni e mezzo le unioni civili sono state 11.876, a fronte di una media di matrimoni ogni anno di circa 200 mila.
Le seconde nozze, o successive, dopo una fase di crescita rilevata negli ultimi anni, dovuta anche all’introduzione del “divorzio breve”, rimangono stabili rispetto all’anno precedente. La loro incidenza sul totale dei matrimoni celebrati raggiunge il 19,9%.
Accanto alla scelta delle libere unioni come modalità alternativa al matrimonio, sono in continuo aumento le convivenze prematrimoniali, le quali possono avere un effetto sul rinvio delle nozze a età più mature (posticipazione del primo matrimonio). Ma è soprattutto la protratta permanenza dei giovani nella famiglia di origine a determinare il rinvio delle prime nozze.
Infine – come nota cristiana – in alcune Regioni del Nord e del Centro Italia la metà dei matrimoni sono celebrati con rito civile.
La conclusione, di fronte a questi dati, indica che il matrimonio cristiano rappresenta già oggi una minoranza. Comunque una scelta umana e religiosa.
Risposte possibili
Di fronte a questo quadro, sono due le vie possibili di risposta. La prima (apologetica) è far emergere – alcune associazioni stanno già operando – che la coscienza collettiva non è per gli stravolgimenti dell’impostazione del matrimonio. Appellare al diritto naturale non ha senso, perché la cultura moderna non riconosce alcuna legge naturale. Piuttosto, è dominante la cultura della scelta personale inviolabile. Se le scelte personali diventano prevalenti, le leggi dello Stato si adeguano, come insegna la filosofia del diritto. In questo schema, infatti, prevale il “senso comune” che diventa criterio di scelta e quindi di corrispondente legislazione.
L’altra scelta (propositiva) è quella di salvaguardare l’equilibrio della famiglia cristiana, facendo attenzione alla felicità della famiglia stessa. Il matrimonio è una scelta libera, fondata sul rispetto e l’amore tra uomo e donna, con dei figli voluti, cresciuti e amati.
È vero che comporta sacrificio, ma non differentemente da ogni altro tipo di relazione stabile e duratura.
Probabilmente crescerà la tendenza alla precarietà affettiva. Più che allarmarsi, è utile creare le condizioni per la maturità necessaria a celebrare il matrimonio e a formare la famiglia, non dimenticando che la storia non ha un andamento perenne, ma altalenante. Offrire i valori della famiglia cristiana risponde alle attese di ogni genitore e di ogni figlio/a. Le relazioni di coniugi e di genitori hanno radici profonde che non sono frutto di sovrastrutture culturali e sociali ma di esigenze umane fondate sulla natura (vedi la genitorialità) e sulla lealtà (vedi la fedeltà coniugale).
Il Coronavirus ha dimostrato l’affetto e la vicinanza di coniugi, figli e nipoti a fronte della grave epidemia. Un esempio concreto di legami forti e coesi: l’affetto che ognuno desidera per sé e per questo donato con sacrificio e dolore.