L’uccisione a Parigi di Samuel, insegnante di storia che aveva mostrato ai suoi studenti le vignette blasfeme di Charlie Hebdo, ripropone ferocemente il dibattito mai sopito sulla libertà di espressione, pagato ripetutamente a caro prezzo lungo la storia e al largo della geografia.
Due voci di fatto nuove nel panorama informativo ne fanno oggetto di riflessione.
Il “manifesto” della stampa francese
Mentre si celebra il processo “Charlie Hebdo – Hyper Cacher”, un gran numero di media francesi – fra i quali il cattolico La Croix – ha sottoscritto una Lettera aperta nella quale fa appello ai francesi perché facciano sentire la propria voce in difesa della libertà di espressione.
Non era mai accaduto che dei media divergenti per opinione o schieramento si accordassero per sottoscrivere un testo, dal profilo solenne di un manifesto, per la libertà di espressione.
«Nel 2020, alcuni di voi sono minacciati di morte sui social media quando esprimono opinioni singolari. Alcuni media sono apertamente indicati come obiettivi dalle organizzazioni terroristiche internazionali. Alcuni Stati fanno pressione sui giornalisti francesi “colpevoli” d’aver pubblicato articoli critici. La violenza delle parole si è gradualmente trasformata in violenza fisica».
Fanno appello ai cittadini perché la libertà protetta dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) non è scontata per quanto sia per noi tanto naturale quanto l’aria che respiriamo. «Quest’aria si va rarefacendo».
È necessario un sussulto di consapevolezza e di determinazione per non cedere pavidamente a ideologie di morte.
«In Francia non è contemplato il reato di blasfemia. Alcuni di noi sono credenti e possono comprensibilmente rimanere scioccati dalla blasfemia. Tuttavia, supportano con tutto il cuore il nostro approccio. Perché, difendendo la libertà di bestemmiare, non difendiamo la blasfemia ma la libertà».
Nella lettera aperta, sul registro del manifesto prevale quello dell’appello, consapevoli che non è sufficiente produrre un forte impatto sull’opinione pubblica; piuttosto è necessario sollecitare consenso. Lo shock può indurre reazioni oppositive; solo l’argomentazione può coinvolgere l’opinione pubblica nell’adesione alla protesta dei media, perché venga compresa non come rivendicazione corporativa, ma come azione civile.
Il Primo rapporto della Commissione Europea
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha introdotto un nuovo strumento per la tutela dello stato di diritto: un rapporto annuale che vigili sui meccanismi costituzionali e giuridici che ne garantiscano l’effettività.
Il Primo rapporto, pubblicato il 30 settembre, valuta il livello di rispetto dello stato di diritto nei 27 Paesi dell’Unione Europea[1] esaminandone quattro dei pilastri: il sistema giudiziario, le misure di contrasto alla corruzione, l’equilibrio dei poteri, la libertà di stampa. La puntualità dell’analisi viene condotta nella consapevolezza che non basta intervenire singolarmente sui singoli elementi, ma è indispensabile che questi vengano trattati nel contesto di un intero «ecosistema favorevole».
Tiene conto, inoltre, della contingenza: «La crisi della Covid-19 ha suscitato un’ampia varietà di problemi per la società e, più specificamente, per le amministrazioni pubbliche e i sistemi giuridici e costituzionali, sottoponendo i sistemi nazionali a una concreta prova di resilienza in tempi di crisi».
Un primo piano di riflessione riguarda la cultura dello stato di diritto e la fiducia nel bilanciamento dei poteri. «La pandemia di Covid-19 ha evidenziato l’importanza di garantire che il processo decisionale urgente ed efficace necessario per la tutela della salute pubblica non scavalchi il bilanciamento dei poteri consolidato – compreso il controllo parlamentare –, soprattutto quando le misure introdotte incidono sulle libertà e sui diritti fondamentali dell’insieme della popolazione».
Un secondo piano discute l’operato dei media, che possono incoraggiare o minare la fiducia nelle autorità pubbliche.
Un terzo piano riguarda la resilienza del sistema giudiziario. Il tempo del lockdown, con la conseguente chiusura degli uffici giudiziari, ha messo in luce, in tutti gli Stati dell’UE, «una grave vulnerabilità».
1) I sistemi giudiziari sono «alla base della fiducia reciproca, su cui si fondano lo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia». In alcuni Paesi il livello percepito di indipendenza della magistratura si presenta molto basso (inferiore al 30%). Il valore è oggettivamente molto basso in Polonia e in Ungheria.
«Investire nei sistemi giudiziari è indispensabile anche per colmare le carenze in termini di efficienza che alcuni Stati membri continuano a sperimentare», in quanto «l’inefficienza può generare sfiducia… che può diventare un pretesto per introdurre riforme giudiziarie inadeguate che incidono sullo stato di diritto».
2) Quadro anticorruzione. La lotta contro la corruzione rafforza i sistemi giuridici e alimenta la fiducia nelle autorità pubbliche. Non può essere condotta in maniera uniforme negli Stati membri e necessita di interventi specifici riferiti al contesto.
«I risultati dell’indice sulla percezione della corruzione mostrano che dieci Stati membri figurano tra i venti Paesi considerati meno corrotti al mondo, e la media dell’UE è globalmente buona».
L’Eurobarometro, tuttavia, rileva che «la corruzione rimane una grave fonte di preoccupazione per cittadini e imprese dell’UE. Oltre sette europei su dieci (il 71 %) ritengono che la corruzione sia diffusa nel loro Paese e più di quattro europei su dieci (il 42 %) ritengono che il livello di corruzione sia aumentato nel loro Paese».
3) Pluralismo e libertà dei media. «La crisi [della pandemia] ha rivelato che le misure destinate a combattere l’“infodemia” possono essere usate come pretesto per minare l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali o sfruttate a fini politici. Ha inoltre amplificato la già difficile situazione economica del settore a causa della drastica riduzione degli introiti pubblicitari, nonostante l’aumento del pubblico. La situazione è particolarmente critica per i piccoli operatori vulnerabili e per i media locali e regionali. La forza e la diversità del settore dei media all’interno dell’UE rischiano pertanto di indebolirsi».
Quattro i filoni di indagine: l’indipendenza delle autorità di regolamentazione, la trasparenza della proprietà, la pubblicità statale, la sicurezza dei giornalisti e l’accesso all’informazione. «I risultati indicano che gli organi di stampa continuano a essere esposti a ingerenze politiche, soprattutto quando le loro condizioni economiche sono instabili».
4) Bilanciamento dei poteri. «Pressioni sul sistema di bilanciamento di poteri si riscontrano in tutti gli Stati membri e costituiscono spesso una componente normale del processo politico di una società democratica. Anche se la crisi economica, la pandemia di Covid-19 e i cambiamenti di natura sociale possono inasprire queste tensioni, il bilanciamento di poteri rimane quanto mai essenziale. Negli ultimi anni nell’Unione si sono verificate diverse crisi dello stato di diritto, che sono state associate ad attacchi al bilanciamento dei poteri a livello istituzionale. Per salvaguardare lo stato di diritto è pertanto fondamentale rafforzare la resilienza dei sistemi istituzionali di bilanciamento dei poteri».
Sono importanti in merito le misure che consentano ai cittadini, singoli e associati, di opporsi al potere legislativo o esecutivo. Di nuovo vengono citati i casi di Polonia e Ungheria, dove consistenti riforme strutturali del sistema giudiziario lo hanno esposto a un’accresciuta influenza del potere politico.
Difficile implementazione. «L’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, molto spesso al centro del dibattito pubblico, stabilisce una procedura basata sul Trattato per affrontare le situazioni in cui vengono messi a repentaglio i valori fondanti dell’UE negli Stati membri, che prevede in ultima analisi la sanzione politica più grave che l’UE possa imporre a uno Stato membro, vale a dire la sospensione dei diritti di voto in seno al Consiglio. Fino al 2017 non si era mai ricorsi a tale procedura, che è stata avviata, nel dicembre 2017, dalla Commissione per la Polonia e, nel settembre 2018, dal Parlamento europeo per l’Ungheria. L’iter di tali procedure prosegue in seno al Consiglio con audizioni e aggiornamenti sulla situazione nei due Stati membri interessati, ma la maggior parte dei problemi individuati rimane irrisolta».
La leva della contribuzione economica è considerata da molti la più efficace. Il piano di aiuti UE alla crisi economica prodotta dalla pandemia è un passaggio critico. Necessita dell’approvazione all’unanimità. In seguito alla pubblica denuncia della condizione di insufficienza sistemica dello stato di diritto, Polonia e Ungheria hanno paventato l’intenzione di non dare il loro consenso al piano di aiuti.
Per uscire dall’impasse, la Francia ha proposto una versione del piano “alleggerita” del condizionale rispetto dello stato di diritto. La Germania, prossima nel turno alla Presidenza, ha annunciato la proposta di un meccanismo nell’assegnazione dei fondi che vincoli al solo buon uso degli stessi.
Il processo porta in evidenza una volta di più la debolezza del profilo politico dell’Unione e il rischio che si limiti ad esercitare la propria funzione amministrativa, rimandando l’occasione di una maturazione politica e civile che il Primo rapporto vorrebbe incoraggiare.
[1] Il rapporto si articola in una relazione generale e 27 capitoli dedicati alla valutazione riferita ai singoli Paesi. Il Capitolo dedicato all’Italia mette in evidenza le «notevoli difficoltà» incontrate dal sistema giudiziario e la necessità di «rafforzare il quadro istituzionale e legislativo» nella lotta alla corruzione, poiché «l’efficacia delle misure repressive è ostacolata dall’eccessiva durata dei procedimenti penali». «Sussistono preoccupazioni in merito all’indipendenza politica dei media italiani poiché mancano disposizioni efficaci per la prevenzione dei conflitti di interesse, specialmente nel settore dei media audiovisivi». Quanto al bilanciamento dei poteri, si apprezza l’operato della Corte costituzionale, mentre «la società civile è vivace, anche se alcune ONG sono oggetto di campagne denigratorie, specialmente su questioni come la migrazione». Copiosi e istruttivi i dati numerici della rilevazione e puntuale l’evidenza delle criticità.