Politiche delle migrazioni

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migrazioni

La quasi totalità della presenza straniera regolare in Italia è stata prodotta dalle numerose operazioni di regolarizzazione realizzate nel corso degli ultimi 30 anni, ad iniziare dal 1986, ossia dalla prima legge sull’immigrazione. Sono state dettate da una logica che di per sé avrebbe voluto dare un taglio netto alle presenze irregolari per avviare un processo di riorganizzazione tale da evitarle.  Ma il continuo ricorso al provvedimento testimonia che alle disfunzioni, sicuramente accertate, non sono mai seguite correzioni in grado di evitare il ripetersi delle necessità estreme.

Se l’Italia ha visto crescere una popolazione immigrata divenuta ormai organica – sia dal punto di vista demografico che economico – per il semplice effetto della ciclica riproduzione dell’irregolarità, solo in seguito sanata da provvedimenti legislativi di carattere emergenziale, ciò sta evidentemente a significare che il nostro sistema migratorio è del tutto ripiegato su sé stesso e privo di prospettive di futuro. Questo perché a principio delle politiche delle migrazioni stanno purtroppo le ideologie e la ricerca dei più facili consensi elettorali, piuttosto dell’analisi dei dati e dei fatti concreti.

Sanatorie selettive

Appare oggi chiaramente come il nostro paese abbia scelto la strada più complicata per la gestione degli indispensabili flussi: anziché riconoscere il diritto di ingresso in condizioni di sicurezza, sono stati elaborati mostri legislativi atti ad accrescere gli impedimenti, non solo nella fase di primo ingresso, ma pure nel corso della stabilizzazione dei cittadini immigrati e delle loro famiglie.

Il tentativo di correggere le più evidenti storture ha portato alle cosiddette sanatorie selettive, ovvero alla discriminazione per categorie di lavoratori. In fatto di colf e badanti siamo ormai giunti all’ennesimo intervento legislativo ad hoc. Il precedente, in ordine di tempo, risale al 2009.   Allora – su una platea di circa un milione di persone addette alla cura tra le mura domestiche – si calcolava che almeno la metà fosse occupata del tutto irregolarmente. Le modalità e le osservazioni allora riportate risultano molto simili alle attuali. Non è cambiato nulla.

Le domande presentate erano state 294.774: anche allora ben al di sotto delle aspettative. Nel 2012 un’ulteriore sanatoria aveva previsto una nuova regolarizzazione di colf e badanti, insieme a muratori e braccianti. In quel caso il numero delle richieste era risultato di 105 mila unità, per la maggior parte, appunto, colf e badanti.

Il caso serio di queste sanatorie è determinato dal fatto che dette attività occupazionali – tipicamente nascoste e caratterizzate da alta mobilità – non hanno mai conosciuto una vera promozione della regolarità dei rapporti di lavoro. Per ciò, quando ciclicamente viene offerta la possibilità della regolarizzazione da parte di un intervento legislativo straordinario, questo viene fruito solo parzialmente, in mancanza di altre disposizioni ordinarie facilitanti.

Al paradosso si aggiunge il paradosso: un numero significativo di imprenditori e di lavoratori di altri settori, in queste circostanze di alta selezione, ricorre all’espediente della regolarizzazione per l’unica via praticabile, quella di colf e badanti, pur di ottenere un permesso di soggiorno. Non dimentichiamo che alla radice dell’intera operazione sta l’interesse a ottenere un permesso di soggiorno che sia giustificato da un lavoro effettivamente svolto: lavoro quasi sempre originariamente espletato in condizioni di irregolarità e spesso di sfruttamento.

Il problema persiste

Le gravi insufficienze delle operazioni di regolarizzazione qui ricordate possono essere senz’altro rintracciate anche in quella in corso, i cui termini si sono appena chiusi il 15 agosto scorso, peraltro nell’indifferenza politica e mediatica generale, dopo i clamori di giugno.

Le richieste di emersione sono risultate 207 mila: 220 mila se vi aggiungiamo i 12.896 recuperi di permessi di soggiorno ormai scaduti. L’85% delle istanze ha riguardato il lavoro domestico e di cura nelle case, mentre solo per il 15% il bracciantato agricolo, benché questa sanatoria selettiva sia stata pensata e, da più parti richiesta, proprio per far fronte alle esigenze del settore delle coltivazioni durante il periodo del lockdown.

Qualunque sia l’esito definitivo delle istanze di regolarizzazione, lo Stato italiano avrà incassato almeno 150 milioni di euro, calcolando i 500 euro previsti da parte di ciascun datore di lavoro e i circa 180 euro da parte di ciascun lavoratore: cifre a sostanziale totale carico del lavoratore che ha manifestato il suo bisogno di regolarità e a cui sono stati attribuiti tutti gli ulteriori costi delle transazioni in nero: rispetto ai caporali e ai procacciatori di documenti, italiani e stranieri.

La questione dell’alloggio

Le operazioni di regolarizzazione in Italia contemplano, ad esempio, quale conditio sine qua non, la disponibilità di un alloggio adeguato. Questo dovrebbe essere messo a disposizione dal datore di lavoro, cosa che quasi mai avviene. Il lavoratore richiedente la regolarizzazione, da irregolare, deve perciò dimostrare di possedere un contratto di locazione o almeno di ospitalità.

Tali obblighi – di per sé sensati ma intrisi di insolubili ipocrisie e contraddizioni – offrono campo ad un’ampia banda di speculatori pronti a fornire contratti di assunzione e di idoneità alloggiativa, vincolando la persona interessata a pagare profumatamente e in qualsivoglia maniera i favori ricevuti.

Chi ha avuto modo di seguire nel tempo tali accadimenti – tra cui chi scrive – sa perfettamente quanti profittatori entrano in gioco in questi casi. Il regolarizzando è vittima del sistema ed è costretto ad affidarsi alle catene del malaffare per conquistare la sua presenza regolare nel nostro paese. La legge di fatto invita a ghermire chi si trova già in grave difficoltà. Come può la norma prevedere che il probabile datore di lavoro – protagonista da mesi e magari da anni di uno sfruttamento lavorativo – di colpo si converta alla legalità e sia disponibile a sborsare denari e stipendi adeguati?

È difficile dare credito a tale eventualità. In tal modo pure una sanatoria che dovrebbe quantomeno affrancare dal sopruso e conferire un po’ dignità umana, sottomette ulteriormente i lavoratori immigrati alla volontà e talvolta alle violenze di sedicenti imprenditori.

In un quadro demografico ed economico in cui risulta indispensabile la regolare acquisizione di manodopera immigrata, le continue e inasprite restrizioni di libertà di movimento dei lavoratori migranti, sia in Italia che in Europa, dovrebbero risultare incomprensibili al comune buon senso. Non è così. Certo, c’è l’epidemia e serve cautela.

Il virus rivelatore

L’epidemia, a mio avviso, non ha fatto altro che scoprire i nervi di un sistema nazionale che, fingendo di essere autonomo e autosufficiente, di fatto continua a impiegare da anni manodopera straniera in condizioni di ricattabilità pienamente funzionale agli interessi di mercato. Si tratta di una flessibilità ben voluta dal profitto che ignora le persone e le loro vite.

Da anni sostengo che deve giungere il momento in cui pensare seriamente a processi di regolarizzazione legati alle concrete situazioni di vita e di lavoro delle persone migranti. Se queste sono già in Italia – stanno lavorando o possono accedere al lavoro – devono essere poste nella condizione di poter richiedere e ottenere facilmente un permesso di soggiorno.

Per mia esperienza, non ha davvero senso continuare a inseguire la realtà a colpi di sanatoria, alimentando così schiere di profittatori e di imbroglioni. Si deve arrivare a dare la facoltà di presentare l’istanza di permesso di soggiorno direttamente all’interessato, senza intermediazioni ed esibizioni di documentazione pregressa pagata a caro prezzo.

Migrazioni: questione elettorale

Il ricorso alle sanatorie selettive che comprendono solo pochissime tipologie di impiego e ne escludono la maggior parte, non fa inoltre che abbassare gli occhi della politica – ancora una volta per ragioni prevalentemente ideologiche e di elettorato – su una realtà molto diffusa ove permane il lavoro nero: basti pensare ai settori dell’edilizia e della logistica.

Se il bracciantato italiano è tuttora in buona misura alla mercè del caporalato, ciò è dovuto all’incapacità delle politiche attive del lavoro. L’effetto è ben osservabile anche quest’anno, se si va a considerare criticamente il numero risibile di richieste di emersione lavorativa nello specifico settore.

Ora non si tratta di subire le ondate migratorie nella confusione, bensì di sviluppare un’intelligenza capace di cogliere l’evidenza del declino demografico e dell’invecchiamento della popolazione europea e italiana, così come la necessità di reperire la manodopera necessaria per il mantenimento e lo sviluppo di molti servizi a basso titolo professionale e alla disponibilità della cura di persone anziane, malate e disabili nelle loro case.

Porre fine allo sfruttamento

Le carenze sono evidenti da tempo immemore, ma si è sinora finto che tutto potesse procedere da sé, tollerando il lavoro irregolare e lo sfruttamento lavorativo.

Mentre la dignità del lavoro e delle persone di qualsiasi provenienza può essere tutelata soltanto se le condizioni e il trattamento salariale corrispondono – sempre e comunque – a dettami di trasparenza e di giustizia. Lo Stato non può semplicemente assistere ai soprusi e allo sfruttamento. Non c’è dunque intervento di regolarizzazione – o sanatoria che dir si voglia – che possa cambiare le cose se non vengono adottate nuove misure coraggiose e lungimiranti.

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