Riforma del processo matrimoniale

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Con lettera del 1° Giugno 2016 papa Francesco comunicava al segretario generale della CEI la costituzione di una commissione, gestita dallo stesso segretario, mons. Galantino, per la pratica applicazione del motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus riguardante la riforma delle cause matrimoniali, coinvolgendo il prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, il decano della Rota romana e il presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi.

Molti si sono chiesti il perché di una tale commissione e che cosa dovrà discutere e decidere.

La storia nasce dalle richieste di molti padri ai sinodi del 2014 e 2015 circa la revisione delle norme sulle nullità matrimoniali.

Papa Francesco ha disposto il 15.8.2015 la riforma del processo canonico delle nullità matrimoniali per la Chiesa latina e quella orientale, riforma entrata in vigore l’8 dicembre 2015.

La discussione tra gli esperti è iniziata subito e ha coinvolto per l’Italia i singoli vescovi e la Conferenza episcopale italiana, soprattutto per i tribunali regionali, istituiti nel 1938 da Pio XI, con il motu proprio Qua cura.

I punti salienti in discussione dovrebbero essere sostanzialmente quattro.

Il primo riguarda l’impegno che il vescovo deve avere nell’amministrazione della giustizia, soprattutto per la forma del processo “brevior”.

Il secondo riguarda i tribunali diocesani, interdiocesani e regionali (almeno per l’Italia): debbono essere istituiti di nuovi o rimangono in vigore i tribunali regionali?

Il terzo punto delicato riguarda i costi delle cause di nullità, poiché la riforma parla esplicitamente della gratuità di tali processi.

Infine l’esecutività della prima sentenza senza “la doppia conforme” porrà problemi per la delibazione della sentenza da parte dei tribunali civili d’appello.

Molte voci si sono sovrapposte nei mesi trascorsi: le stesse autorità pontificie hanno dato indicazioni non univoche sulle competenze dei tribunali già operanti o da istituire e, per quanto riguarda la Conferenza episcopale italiana, nulla è stato detto su chi sosterrà i costi di una eventuale nuova ristrutturazione.

Senza voler entrare nei dettagli tecnico-giuridici, è necessaria una chiarificazione che coinvolga tutti i soggetti coinvolti nella riforma. Da qui la necessità di una commissione.

Le varie conferenze episcopali regionali hanno deciso in maniera differente: chi cambiando nome ai tribunali regionali chiamandoli interdiocesani, chi non prendendo nessuna decisione e chi infine ha optato per la chiusura in attesa di indicazioni.

Poiché la CEI non ha predisposto nessun “vademecum”, l’azione della commissione porterà indicazioni (decreto generale?) – tutti sono in attesa – con le quali si metta ordine a una situazione oggi confusa.

Molti hanno indicato il troppo breve periodo intercorso tra la pubblicazione della riforma e la sua esecuzione. La speranza è che molti nodi – alcuni per la verità abbastanza pretestuosi – vengano risolti con indicazioni puntuali ed efficaci.

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