Il 24 febbraio il tribunale di Coblenza ha condannato l’ex colonnello dei servizi segreti siriani Eyad al-Gharib a quattro anni e mezzo di reclusione per favoreggiamento di crimini contro l’umanità in forma di privazione di libertà e di tortura. Il tribunale tedesco ha agito in virtù del principio democratico di giurisdizione universale che consente di perseguire crimini contro l’umanità in qualsiasi paese siano stati perpetrati. Il processo vede imputato anche l’ex generale dei sevizi Anwar Aslan, per cui la sentenza è prevista nell’ottobre prossimo. Le reazioni di alcuni esuli siriani.
- Cosa rappresenta questa sentenza?
Il fatto importante è che per la prima volta nella storia siriana viene condannata una figura organica al regime. Noi siriani vi cogliamo un segno di attenzione della comunità internazionale – sebbene un segno ancora molto piccolo – per il nostro popolo in Siria e ora, con milioni di profughi, nella diaspora.
Sinora l’attenzione internazionale contro i crimini del regime si era risolta nella applicazione di sanzioni economiche che hanno semplicemente contribuito ad affamare il popolo. Non poteva essere solo questo. Ora ci fa bene raccogliere un segnale di giustizia che ci dà un poco di speranza foriera di conferme da altri segnali ben più forti.
Questa sentenza arriva dopo la dedizione e i rischi che l’avvocato siriano Anwar al-Bunni si è personalmente assunto per l’individuazione di Eyad al-Gharib e di Anwar Raslan e per l’allestimento della causa in Germania.
Finalmente la magistratura di uno stato democratico è intervenuta ed ha espresso una prima sentenza. È quanto dovrebbe accadere in tutti gli stati in cui si sono rifugiati e nascosti criminali del regime siriano.
Per noi, esuli, sarebbe straordinario vedere altri paesi muoversi in tal senso. Darebbe peraltro impulso a processi di democratizzazione mondiale, piuttosto che di accondiscendenza a tante feroci dittature.
- Quali sono i sentimenti che si provano?
Si tratta di un senso di fiducia che possiamo ritrovare nella vita e nella umanità, assumendo i sentimenti dei bambini che hanno perduto i genitori e dei familiari che hanno visto scomparire i loro congiunti. Sono sentimenti difficili da esprimere. Bisogna provarli.
Nel nostro dolore ciò che può dare un po’ di consolazione è il riconoscimento da parte di qualcuno e di altri popoli del mondo. Le vittime siriane non mai ottenuto sollievo da un riconoscimento interno al nostro paese. Il nostro dramma di esuli non sta solo nel rischio della vita – se dovessimo tornare in Siria – ma anche nella difficoltà di essere ascoltati, sino in fondo, al di fuori della Siria, nei paesi nei quali ci troviamo, mentre il dittatore e la dittatura che hanno pesantemente determinato la nostra sorte, sono ancora al loro posto, dopo tutto ciò che è accaduto in questi ultimi dieci anni, a trattare e a stringere di nuovo legami con le potenze mondiali. In questo modo il nostro dolore non può che aumentare.
Gli europei dovrebbero capire quanto abbiamo bisogno di segni di giustizia per continuare a sperare in un domani migliore del nostro popolo, nel nostro paese.
- Quale giudizio di coscienza esprimere su questi criminali?
L’argomento è molto delicato, umanamente delicato: ci coinvolge e ci turba profondamente. Sappiamo che figure dei servizi segreti – come il colonnello al-Gharib – hanno dato ordini di sparare sulla folla dei manifestanti nel 2011. I militari che si sono rifiutati hanno avuto gravi conseguenze. Si è detto persino di esecuzioni sul posto.
Oggi in Germania vive un giovane connazionale che è stato militare. La sua storia è pubblicamente nota: per non dover sparare contro il popolo ribellatosi al regime, è scappato e, dopo un viaggio lungo, drammatico e periglioso, è riuscito ad approdare, via mare, In Italia e poi, appunto, in Germania. Se non fosse riuscito avrebbe pagato il suo gesto con la vita. Ha avuto coraggio. Sappiamo che tutta la scala delle gerarchie militari è coinvolta: se non si è carnefici, si è facilmente vittime.
Al-Gahrib lavorava per i servizi segreti ufficiali dello stato, Al-Khatib. Doveva certamente eseguire degli ordini. Questa è la sua sola difesa. Il giudice del tribunale tedesco ha riconosciuto infatti l’attenuante che sarebbe stata confermata dalla sua fuga in Germania nel 2012, non prima di essersi reso responsabile dei crimini per cui è stato giustamente condannato.
Ma ora facciamo questa ferma considerazione: molti di noi – esuli – hanno deciso di rischiare la vita e di pagare conseguenze molto pesanti piuttosto di rendersi complici del regime, di arrecare del male a qualcuno o persino di uccidere.
Non siamo quindi disponibili a giustificare in alcun modo chi ha sbagliato in cose – davvero molto – serie che riguardano l’esistenza di centinaia di migliaia e quindi di milioni di siriani: questa è la giustizia rigorosa che noi aspettiamo. Non possiamo entrare sino in fondo nella coscienza dei criminali. Ma il giudizio sul loro operato va evidentemente fatto, con l’estremo rigore della legge internazionale.
- Al-Gharib e Raslan sono solo due ufficiali, seppure di alto rango…
Certo, per noi è importante una giustizia che arrivi sino al vertice della piramide del potere del regime di Bashar al-Assad. Ma sappiamo che è quasi impossibile che i vertici generali e un capo di stato siano trascinati in tribunale. Vedremo quale sarà il verdetto del tribunale di Coblenza sul generale dei servizi segreti Al-Khatib Raslan che, per grado e per complicità, ha responsabilità criminali ancora più grandi di al-Gharib.
Certamente non basta che questo meritorio tribunale sia giunto a tali livelli. Andrebbe imbastita una causa direttamente contro Bashar Al-Assad. Il suo posto non è nel suo palazzo dorato bensì sullo scranno degli imputati di un tribunale internazionale sotto l’egida dell’ONU. Chissà se ciò potrà mai accadere.
Proprio il giorno prima ,6 marzo,scrivevo questa riflessione su come vengono interpretati culturalmente i crimini nazifascisti https://gdisimone.blogspot.com/2021/03/una-ragionevole-critica-per-liliana.html
E ribadisco che la responsabilità non è ,facilmente,degli esecutori ultimi che compiono meccanicamente il crimine. Più profondamente la responsabilità è nella coscienza silenziosa di tutti, che sono rimasti inerti lasciando scivolare le nazioni nel baratro delle guerre. Perché poi in stato di guerra è facile prevedere che nello sbandamento e nel caos i crimini e le barbarie avvengono. È necessaria una superiore coscienza umana che agisca con preventivo rimedio per evitare con maggior vigore che le tragedie accadano. Comminare le condanne dopo, ha senso limitato che non impedirà che ciò che si condanna accada di nuovo domani.