La peste segnò per la città l’inizio della corruzione… Nessuno era / più disposto a perseverare in quello che prima giudicava essere / il bene, perché credeva che poteva forse morire prima di raggiungerlo (Tucidide, La guerra del Peloponneso,II, 53).
Vorrei condividere con chi ne ha voglia una domanda su cui ormai da più di un mese non cesso di riflettere. Com’è potuto avvenire che un intero paese sia, senza accorgersene eticamente e politicamente, crollato di fronte a una malattia? Le parole che ho usato per formulare questa domanda sono state una per una attentamente valutate.
La misura dell’abdicazione ai propri principi etici e politici è, infatti, molto semplice: si tratta di chiedersi qual è il limite oltre il quale non si è disposti a rinunciarvi. Credo che il lettore che si darà la pena di considerare i punti che seguono non potrà non convenire che – senza accorgersene o fingendo di non accorgersene – la soglia che separa l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata.
Il corpo scisso
Il primo punto, forse il più grave, concerne i corpi delle persone morte. Come abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che – cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi – che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale?
Abbiamo poi accettato senza farci troppi problemi, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, di limitare in misura che non era mai avvenuta prima nella storia del paese, nemmeno durante le due guerre mondiali (il coprifuoco durante la guerra era limitato a certe ore) la nostra libertà di movimento. Abbiamo conseguentemente accettato, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, di sospendere di fatto i nostri rapporti di amicizia e di amore, perché il nostro prossimo era diventato una possibile fonte di contagio.
Questo è potuto avvenire – e qui si tocca la radice del fenomeno – perché abbiamo scisso l’unità della nostra esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale, in una entità puramente biologica, da una parte, e in una vita affettiva e culturale, dall’altra. Ivan Illich ha mostrato, e David Cayley l’ha qui ricordato di recente, le responsabilità della medicina moderna in questa scissione, che viene data per scontata e che è invece la più grande delle astrazioni.
So bene che questa astrazione è stata realizzata dalla scienza moderna attraverso i dispositivi di rianimazione, che possono mantenere un corpo in uno stato di pura vita vegetativa.
La nostra rassegnazione
Ma se questa condizione si estende al di là dei confini spaziali e temporali che le sono propri, come si sta cercando oggi di fare, e diventa un sorta di principio di comportamento sociale, si cade in contraddizioni da cui non vi è via di uscita.
So che qualcuno si affretterà a rispondere che si tratta di una condizione limitata del tempo, passata la quale tutto ritornerà come prima.
È davvero singolare che lo si possa ripetere se non in mala fede, dal momento che le stesse autorità che hanno proclamato l’emergenza non cessano di ricordarci che quando l’emergenza sarà superata, si dovrà continuare a osservare le stesse direttive e che il “distanziamento sociale”, come lo si è chiamato con un significativo eufemismo, sarà il nuovo principio di organizzazione della società. E, in ogni caso, ciò che, in buona o mala fede, si è accettato di subire non potrà essere cancellato.
Chiesa e giuristi
Non posso, a questo punto, poiché ho accusato le responsabilità di ciascuno di noi, non menzionare le ancora più gravi responsabilità di coloro che avrebbero avuto il compito di vegliare sulla dignità dell’uomo. Innanzitutto la Chiesa, che, facendosi ancella della scienza, che è ormai diventata la vera religione del nostro tempo, ha radicalmente rinnegato i suoi principi più essenziali.
La Chiesa, sotto un papa che si chiama Francesco, ha dimenticato che Francesco abbracciava i lebbrosi. Ha dimenticato che una delle opere della misericordia è quella di visitare gli ammalati. Ha dimenticato che i martiri insegnano che si deve essere disposti a sacrificare la vita piuttosto che la fede e che, rinunciare al proprio prossimo, significa rinunciare alla fede.
Un’altra categoria che è venuta meno ai propri compiti è quella dei giuristi. Siamo da tempo abituati all’uso sconsiderato dei decreti di urgenza attraverso i quali di fatto il potere esecutivo si sostituisce a quello legislativo, abolendo quel principio della separazione dei poteri che definisce la democrazia. Ma in questo caso ogni limite è stato superato, e si ha l’impressione che le parole del primo ministro e del capo della protezione civile abbiano, come si diceva per quelle del Führer, immediatamente valore di legge.
E non si vede come, esaurito il limite di validità temporale dei decreti di urgenza, le limitazioni della libertà potranno essere, come si annuncia, mantenute. Con quali dispositivi giuridici? Con uno stato di eccezione permanente? È compito dei giuristi verificare che le regole della Costituzione siano rispettate, ma i giuristi tacciono. Quare silete, iuristae, in munere vestro?
La norma, il bene, la libertà
So che ci sarà immancabilmente qualcuno che risponderà che il pur grave sacrificio è stato fatto in nome di principi morali.
A costoro vorrei ricordare che Eichmann, apparentemente in buon fede, non si stancava di ripetere che aveva fatto quello che aveva fatto secondo coscienza, per obbedire a quelli che riteneva essere i precetti della morale kantiana.
Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà.
Non so voi, ma io di tempo da perdere non ne ho. Chiedo semplicemente: ma questo signore vive in questo mondo o in suo mondo? E la nostra ottima Settimana non ha niente di meglio da fare che farci perdere tempo con queste OZIOSE domande? Sì, sottolineo “oziose”: perché un conto è porsi domande, altra cosa è incastellare astrazioni, come accade in questo testo. Oppure, se si vogliono fare astrazioni, si proceda pure: ma allora si sia coerenti fino in fondo, e si arrivi a teorizzare l’assurdità del mondo, che forse sarebbe l’unico tema serio. Non sappiamo che farcene di un preteso pensiero che non si misuri con il concreto dei corpi e della terra, della malattia e della morte. Non sappiamo che farcene di chi ha tempo di fare dotte disquisizioni mentre c’è chi muore di contagio e chi muore per aiutare.
Per fortuna esistono persone che pensano. Poi il pensiero può essere condiviso o meno. Questo vale anche per fiumi di osservazioni nel mainstream. Di coerenza non so fino a che punto si possa parlare; lei immagino sappia che ci sono zone in italia dove note industrie producono inquinamenti che portano il numero delle neoplasie, particolarmente di quelle infantili, verso consistenze impressionanti. Che coerenza vede da parte dello stato nell’affrontare con così tanta energia un lockdown che mette sostanzialmente in ginocchio un paese, per un virus, affiancandola al non riuscire ad intervenire sulle dette aziende per preservare la salute pubblica di aree più modeste? Da cittadino apprezzo che lo Stato tuteli la salute di tutti noi, dovrebbe farlo sempre, infatti mi aspetto che questa tutela sia espressa in modo lineare. Il virus uccide? bene, fermiamoci. L’azienda inquina e la gente muore di cancro? bene, fermiamola. Se le due cose non vanno in parallelo c’è qualcosa che non torna. Che coerenza e opportunità vede in individui ben noti, come Burioni, che in un paio di mesi cambiano totalmente idee ed inspiegabilmente vengono ancora ascoltati come portatori di una qualche forma di verità tale da influenzare anche la politica? E stiamo a guardare la coerenza di Agamben..? Per favore, siamo seri e andiamo oltre.
I commenti al pezzo, sono, se possibile, più interessanti del pezzo stesso, perché rivelano cosa ci aspettiamo oggi dal Filosofo. Cosa ci aspettiamo dunque? La risposta è niente. O meglio, ci aspettiamo che il Filosofo ripeta stancamente qualche frase di senso comune, qualche cliché, qualche invettiva lanciata al momento giusto, per poi rientrare di buon ordine nella sua scatola. Il Filosofo non è questo, ma cosa sia l’abbiamo dimenticato, come abbiamo dimenticato cosa sono la malattia, la vecchiaia e la morte. La libertà e la responsabilità. Il dovere e la morale. Soprattutto, abbiamo dimenticato cosa sia il potere. Un potere oramai tanto soverchiante e totalizzante da creare l’illusione di libertà. La libertà di scegliere l’obbedienza.
Finalmente un dissenso profondo. Personalmente devo rifletterci, ma questo è il punto: fa riflettere. grazie.
” Di tutto cio di cui non si puo parlare bisogna tacere” scrive Ludwig Wittgenstein In Tractatus logico-philosophicus. In tal senso e considerata la conclusione dell’ articolo e la questione posta mi domando cosa significhino ” norma” ” bene” e ” libertà”. Senza definirli si rischia di alimentare un interessante ma futile dibattito.
Ho letto e riletto l’articolo del sig. Agamben, filosofo. La rilettura mi ha confermato l’impressione della rima lettura: questo “intellettuale” ha “giocato” sulla vita delle persone colpite dal Covid19, un intervento astratto e fino alla fumosità, sostanzialmente antistorico, irreale. Riferimenti storici senza “contestualizzazone storica”, un’idea di fede che che si ideologia fideistica e miracolistica (non evangelica, quindi); un rapporto fra norma e libertà individuale che è un gioco di parole, nebbioso e cieco (…..”Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà”). Il sig. Agamben ,infine stigmatizza come “tradimento del nome che porta” il santo padre, collocandosi esplicitamente nelle file dei critici di papa Francesco e del suo stile pastorale. E questa forse è la vera intenzionalità di un articolo di cui non se ne sentiva davvero necessità. Luca Roti – Prato
Fino a che punto mi sento di abdicare ai miei principi etici in una situazione di emergenza a favore di presunti risultati pratici che dovrebbero consentire di superarla ? Se questo è il dilemma posto da Agamben lo ringrazio dello spunto che ci ha dato, il tema è importante e merita in questi giorni la riflessione di tutti. Tra gli esempi sui quali impegnarsi per risolvere il dilemma ne sento particolarmente vicini un paio: la necessità (spero superata oggi) da parte delle strutture mediche di scegliere chi curare e quindi, nei fatti, chi condannare con buona probabilità a morire, e la decisione che la politica dovrà affrontare in questi e nei prossimi giorni sulle priorità da dare tra salute e salvaguardia della produzione economica, del PIL, etc., in altri termini la contrapposizione tra benessere fisico e benessere economico, sia del singolo sia della comunità.
Non sono certo di aver capito bene tutti gli esempi citati nell’articolo. Ne riprendo uno che mi piacerebbe capire meglio e sul quale mi sento di dare testimonianza ed è quello che riguarda la Chiesa. Ho visto molti preti impegnati con un’energia che mi ha stupito, in queste ultime settimane di Quaresima, nel cercare di essere vicini ai fedeli con i mezzi più disparati per portare a tutti il messaggio pasquale e far sentire ai fedeli una vicinanza che, per chi crede, non è associabile solo a quella del prete. Il sentimento spontaneo è quindi di ringraziamento ai singoli preti e, almeno da questo mio angolo di visuale, a come la Chiesa si è posta.
Afferma, probabilmente a ragione, che i dati statistici su cui si basa la nostra quotidianità siano imprecisi e contraddittori, per conseguenza a questa suo punto di vista, per altro condivisibile, non vedo come l’articolo di un noto intellettuale che solleva precise questioni di merito, particolarmente in termini giuridici, possa considerarsi approssimativo. Chi approssima di più? l’intellettuale o chi comprime le libertà costituzionali sulla base di numeri inattendibili? Riguardo la Chiesa possiamo convenire sul fatto che se fede si ha con fede si va; da chi ha fede, beati quelli, sarebbe attendibile lo stesso approccio di chi si immerge nelle vasche di Lourdes, consapevole dei rischi, ma rassicurato della benevolenza di Dio. Chi approssima di più? l’intellettuale di cui sopra o la fede cieca nei confronti di una opinione scientifica, basata sempre su quei dati imprecisi, piuttosto che Dio? Mi pare ci sia discutibile logica generalmente parlando e che la ratio critica benché minima sia sospesa. Che il virus, oltre ad affliggere le basse vie respiratorie, agisca decerebrando?
Trovo questo articolo molto aleatorio e approssimativo, forse appositamente polemico con un sottofondo tradizionalista. Il tema è interessante e ha un sapore fortemente laico e politico: chi ha diritto oggi di gestire e imporre limitazioni alla libertà e in nome di cosa? Credo ci siano diversi temi sociali che toccano il libero arbitrio, ivi compresa la gestione dei dati stiatistici, evidentemente imprecisi e contraddittori.
Lascerei perdere la commistione posticcia tra vangelo ed etica cristiana che vedo chiaramente sottomessa ad una sterile polemica interna alla chiesa, di nessun interesse sociale e globale.