Chi ha compiuto violenza non cerca giustificazione, chi l’ha subìta non esige vendetta. Comincia così, con uno speculare gesto di rinuncia, il percorso della giustizia riparativa, o restorative justice secondo la dizione internazionale.
L’incontro degli incontri
Non è esattamente la giustizia poetica come la si intende di solito, olimpica distribuzione di premi per i virtuosi e di punizioni per i colpevoli. Qui, piuttosto, la poesia diventa uno degli strumenti adottati all’interno di un metodo duttile e imprevedibile, che ha nella parola la sua principale risorsa, ma non disdegna di servirsi di immagini, suoni, pratiche che sembrano rimandare al gioco.
Non per niente, tra le istantanee che meglio restituiscono il clima dell’Incontro degli Incontri svoltosi tra il 28 settembre e il 1° ottobre scorsi presso la sede milanese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, spicca quella del gomitolo che, passando di mano in mano, finisce per collegare i partecipanti l’uno con l’altro, fino a ingarbugliarli in un viluppo buffo e commovente.
Il luogo non è scelto a caso. È grazie all’attività dell’Alta Scuola «Federico Stella» sulla Giustizia Penale diretta da Gabrio Forti presso l’Ateneo di largo Gemelli e, in particolare, è grazie all’impegno della professoressa Claudia Mazzucato, se anche in Italia la giustizia riparativa ha conseguito una dignità che di recente ha trovato collocazione a pieno titolo nell’ordinamento giuridico.
Una delle novità introdotte dalla cosiddetta «riforma Cartabia» consiste infatti nella «disciplina organica della giustizia riparativa». Il dialogo tra l’accusato o l’autore di un reato e le vittime può produrre effetti di mitigazione della risposta penale, al prezzo della disponibilità al confronto franco e diretto.
Riconoscimento reciproco
Si tratta di un percorso duro e impegnativo nel quale il «guadagno», quando c’è, è comune e consiste nel reciproco riconoscimento di un’umanità ferita e imperfetta. L’obiettivo, insomma, è che «il dolore degli altri» non sia più «dolore a metà», come recita il testo di Disamistade, il brano di Fabrizio De André ispirato alle consuetudini della faida barbaricina.
Nel nostro Paese la giustizia riparativa è fiorita dalle macerie degli Anni di Piombo, come testimonia Il libro dell’incontro pubblicato dal Saggiatore nel 2015. Il volume è il resoconto di un’impresa cresciuta silenziosamente innanzitutto nelle stanze del Centro San Fedele, l’avamposto dei gesuiti a due passi dal Duomo di Milano. (…) Per gli italiani è la memoria di un passato terribile, le cui cicatrici sono ancora visibili.
Storie in qualche misura simili, ciascuna irripetibile nella sua drammaticità, arrivano dai Paesi Baschi e dall’Irlanda del Nord, dalla Palestina e da Israele, dove è attivo il Parents Circle che ha in Robi Damelin la sua portavoce più incisiva.
Anche lei presente all’Incontro degli Incontri milanese, è la testimonianza di come il lutto non conosca nazionalità. A dispetto di ogni potenziale divisione, i genitori che si uniscono al forum mediorientale sono genitori e basta, madri e padri che hanno perduto i propri figli e che adesso scelgono di rispecchiarsi nel dolore di persone che finora hanno conosciuto solo in veste di nemiche.
Delicatezza e riservatezza
Come ogni esperienza di giustizia riparativa, l’Incontro degli Incontri richiede delicatezza e riservatezza. A Milano (…) i lavori si sono svolti principalmente a porte chiuse, mediante un sistema di cooptazione che esclude la figura dello spettatore e la sostituisce con quella del garante (…). Ma non sono mancati due momenti pubblici, nelle giornate di venerdì 30 settembre e sabato 1° ottobre.
Anche alle sessioni allargate, però, si accede con pudore, disposti ad ascoltare più che a emettere giudizi. Perché il legame tra Abele e Caino, cioè il legame fraterno, ci riguarda da sempre e da sempre è misterioso, come sanno bene i teologi. E anche i poeti, se è per questo.
Alessandro Zaccuri è direttore della comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La versione integrale è pubblicata su VPlus+, 8 ottobre 2022.