Il 7 maggio 1945 alle 2,41 i rappresentanti della Wehrmacht tedesca nel quartier generale degli Alleati, nella città francese di Reims, firmarono la resa incondizionata della Germania. Per volere di Josif Stalin la cerimonia fu poi ripetuta a Berlino.
Nella notte tra l’8 e il 9 fu dichiarato il cessate il fuoco. La guerra era finita. A Londra ne diede l’annuncio il primo ministro inglese Winston Churchill: «Oggi alle ore 15.00 la guerra è terminata»; la sera stessa l’annuncio fu ripetuto alle 21.00 e alle 24.00 dal re Giorgio VI.
Dopo sei anni di guerra, il conflitto aveva lasciato sul campo 50 milioni di morti solo in Europa, 6 milioni di persone uccise nei campi di concentramento e di sterminio, di cui furono vittime ebrei, sinti, rom e avversari politici, e una Germania ridotta a un cumulo di macerie.
Una cerimonia ecumenica
Sono trascorsi da allora 75 anni. L’8 maggio scorso le Chiese tedesche, cattolica e evangelica, per commemorare questo avvenimento, hanno celebrato a Berlino una cerimonia ecumenica congiunta, dedicata al tema della pace, con la presenza del vescovo Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca, e il vescovo Heinrich Bedford-Strohm, presidente della Chiesa evangelica di Germania (EKD).
Nel suo discorso, Bätzing, dopo aver ha ricordato i 50 milioni di morti soltanto in Europa e i milioni di vittime, ha dichiarato: «La guerra è stata una totale bancarotta per la Germania».
Ha quindi affermato che bisogna infondere coraggio e conforto anche nelle situazioni di sofferenza. Gesù non ha ignorato le sofferenze. «La sua via è quella della croce… La pace che Gesù ci dona e ci lascia conduce anche noi che lo seguiamo a non ignorare la sofferenza, ci guida a coinvolgerci in essa». In effetti, in gran parte dell’Europa abbiano vissuto da oltre 75 anni la pace. Più ancora: i popoli si sono incontrati tra loro e noi tedeschi abbiamo vissuto il miracolo che essi si sono rivolti anche a noi».
Riferendosi poi al tema di questo incontro, ha sottolineato che la pace «non è solo qualcosa che semplicemente si organizza». Ha bisogno di uomini «che portano in sé la speranza, convinti di non essere soli, ma che Dio e il suo Spirito li accompagna». Oggi la sfida davanti alla quale essi si trovano – ha aggiunto – è costituita dalle guerre in Siria e in altri paesi del Medio Oriente, in Ucraina e anche «dai morti nel Mediterraneo».
Bedford Strohm, nel suo intervento, ha ricordato la responsabilità che ha avuto la Germania nella guerra: «Contro la dimenticanza e ogni relativizzazione, noi diciamo: sì, siamo stati colpevoli. Abbiamo fatto piombare l’intera Europa e tante parti del mondo nella miseria». La colpa tuttavia – ha aggiunto – non ci ha portato al rifiuto perpetuo poiché «i nostri ex nemici sono nuovamente tornati da noi, sono diventati nostri amici». Ha ringraziato per il fatto che «molti nostri fratelli ebrei sono rimasti, molti sono tornati nel paese che aveva inflitto loro tanta sofferenza. E ci hanno dato la mano della riconciliazione». Si è quindi augurato: «non dobbiamo mai più permettere che abbia a diffondersi un demone del genere, dalla cui presenza sono derivati milioni di assassini».
La voce di alcuni vescovi
In occasione dell’8 maggio hanno fatto sentire la loro voce anche diversi vescovi tedeschi. Il card. Woelki, di Colonia, ha invitato i tedeschi a non dimenticare la loro «particolare responsabilità in ordine alla pace e alla concordia tra i popoli. Sono grato per questa giornata anniversario dei 75 anni – ha detto – e prego anche per le innumerevoli vittime della tirannia nazista».
Stefan Hesse, arcivescovo di Amburgo, la cui città era stata rasa al suolo, ha ricordato «gli uccisi e gli assassinati, i feriti e traumatizzati, i profughi e i sofferenti che non devono essere dimenticati, non importa in quale epoca e situazione ci troviamo come società».
Da parte loro, i due vescovi di Dresda, Heinrich Timmerevers, cattolico, e Tobias Bilz, della Chiesa evangelica, hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui si dice: «La responsabilità del ricordo rimane. Occorre tenerla viva attraverso luoghi che diventino memoriale, i musei, l’arte figurativa e numerose iniziative delle Chiese e altre forme di attualizzazione delle sofferenze del passato. La storia insegna che pace vuol dire un continuo impegno per ricordare».
Il vescovo Michael Gerber, di Fulda, ha invitato alla solidarietà in Europa: «Le grandi sfide del nostro tempo – ha affermato – si possono vincere solo con la condivisione e la collaborazione». Ha sottolineato che l’amicizia e la riconciliazione che si sono sviluppate in Europa dopo le due guerre mondiali costituiscono un bene prezioso da difendere contro il nazionalismo: «come tedeschi – ha aggiunto –, la nostra storia ha una responsabilità particolare e permanente di difendere la dignità umana e con ciò la pace e la libertà».
Durante e dopo la guerra
Durante la guerra non solo il popolo tedesco, ma anche la Chiesa tedesca ha pagato un pesante tributo di vittime alla follia nazista: fino al 1945, 400 sacerdoti erano stati deportati nei campi di concentramento; 107 vi morirono e altri 63 furono giustiziati o uccisi, tra cui anche il rettore del duomo di Berlino, Bernhard Lichtenberg, che si era prodigato molto per difendere gli ebrei perseguitati. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1996. La vita della Chiesa, tuttavia, non fu mai interrotta, anche se fu sottoposta a pesanti restrizioni, soprattutto negli ultimi anni di guerra.
Poco dopo la resa, la vita cristiana ebbe una forte ripresa. Numerosi furono i fedeli che tonarono a partecipare alle celebrazioni delle messe in edifici bombardati oppure in locali alternativi o in chiese di emergenza. Particolare afflusso ebbero le processioni e i pellegrinaggi: per facilitarli, le truppe di occupazione organizzarono treni speciali.
I vescovi, da parte loro, si impegnarono per migliorare le condizioni di vita della gente e, nello stesso tempo, si prodigarono per il rilascio delle persone incarcerate appartenenti al partito nazionalsocialista.
Il cardinal Faulhaber, per esempio, dichiarò davanti alle autorità delle truppe di occupazione che una punizione generale degli aderenti al partito nazista non era compatibile con la «democrazia». E l’episcopato contestò la tesi della colpa collettiva dei tedeschi nella seconda guerra mondiale e dei crimini commessi dai nazisti. Ci furono però anche molti vescovi che cercarono di relativizzare i crimini perpetrati, considerandoli come una conseguenza delle pesanti clausole e sofferenze inflitte al popolo tedesco dopo la prima guerra mondiale.
Nell’assemblea episcopale di Fulda, nell’agosto 1945, i vescovi scrissero una lettera pastorale in cui, da una parte, elogiavano «l’incrollabile fedeltà» del clero e dei semplici fedeli alla Chiesa, dall’altra, lasciavano in sospeso l’interrogativo se la Chiesa tedesca nel suo insieme avesse sbagliato. Si diceva letteralmente: «Deploriamo profondamente il fatto che molti delle nostre file si sono lasciati sedurre dalle false dottrine del nazionalsocialismo, e sono rimasti indifferenti davanti ai crimini commessi contro la libertà e la dignità umana. Molti con il loro atteggiamento hanno dato sostegno ai crimini, diventando essi stessi complici».
Nel momento della catastrofe, dopo l’8 maggio, si adoperò con tutte le sue forze per salvaguardare la struttura e la vita della Chiesa e stare vicino alla popolazione traumatizzata. Due giorni dopo la capitolazione, scrisse una lettera al suo decano indicandogli l’atteggiamento da seguire: «Dare testimonianza di Cristo con la vita e la parola: questa è, in ogni tempo e particolarmente in questo momento della ricostruzione, la parola d’ordine per noi e per i nostri fedeli».
La posizione dei vescovi attuali
Più chiari ancora sono stati i vescovi attuali: in un documento pubblicato il 29 aprile scorso, in occasione del 75° anniversario della fine della guerra, intitolato I vescovi tedeschi nella guerra mondiale (cf. Vescovi tedeschi: la parola coraggiosa), essi hanno scritto che molti loro predecessori sono stati complici della seconda guerra mondiale, non avendo preso posizione contro la guerra con un “no” unanime, anzi, la maggioranza di essi ha dato sostegno alla volontà di sostegno… E anche perché contro i crimini mostruosi delle discriminazioni razziali e contro altri perseguitati, in particolare gli ebrei, non si è levata da parte loro alcuna voce di protesta.
Per molto tempo il contrasto con l’ideologia nazista, il riferimento ai martiri dei campi di concentramento e la difesa, da parte dei vescovi, del loro popolo, furono considerati una risposta sufficiente agli interrogativi circa la responsabilità condivisa e il senso di colpa nella guerra e nel nazionalsocialismo. Ma i vescovi attuali sottolineano che questo non è più sufficiente. «Oggi guardiamo con tristezza e con vergogna alle vittime e a coloro le cui domande esistenziali sono rimaste senza una risposta di fede appropriata di fronte ai crimini di guerra».
Matthias Altmann in katholish.de (8 maggio scorso) – afferma che bisogna riconoscere che «la Chiesa cattolica ha svolto un ruolo importante nell’“Ora Zero” e nella ricostruzione della Germania, anche dal punto di vista morale. I vescovi hanno goduto di grande fiducia nella società del dopoguerra. Molti ecclesiastici hanno cercato di diffondere speranza e hanno guardato avanti. La gente li ha riconosciuti come suoi portavoce».
E anche dagli occupanti delle truppe alleate furono ritenuti dei partner importanti nel coordinare la ricostruzione del paese.