Nel pomeriggio di Pasqua, in un parco pubblico di Lahore, città del Pakistan centrale, gremito di famiglie cristiane (ma non solo) che celebravano la Pasqua, un’esplosione causata da un attacco suicida ha provocato la morte di oltre 70 persone e più di 300 feriti. Al momento della strage c’era una grande folla nel parco. L’efferatezza del gesto è resa ancora più grave dal fatto che molte delle vittime erano bambini.
Gioverà ricordare che il padre fondatore del Pakistan, Mohammad Ali Jinnah, pur essendo musulmano, volle che il nascente stato inglobasse una pluralità di appartenenze religiose. Non a caso, come emblema fu scelta la bandiera bianco/verde in cui la striscia bianca, pur essendo più ridotta rispetto al colore verde del vessillo nazionale, stava a significare che, all’interno del Pakistan, esistevano minoranze etnico-religiose diverse dalla maggioranza dell’etnia hurdu e dalla fede musulmana.
Molte le reazioni nell’opinione pubblica al vile attentato di Lahore. Una delle prime a farsi sentire è stata quella del Premio Nobel per la pace, la giovane Malala Yousafzai, la quale ha commentato l’esecrabile gesto con queste parole: «Sono sconvolta da questo crimine insensato che ha colpito gente innocente mettendo a rischio la convivenza tra le diverse fedi religiose presenti nel nostro paese».
Come lei, altre personalità del Pakistan – come del mondo intero – hanno fatto sentire la loro voce condannando l’uccisione di persone innocenti.
Il Pakistan ha un Ministero per le minoranze religiose che, in questo momento, è affidato al fratello di Shahbaz Bhatti, un politico ucciso il 2 marzo 2011 a soli 42 anni a Islamabad. Era un cattolico innamorato del suo paese, a stragrande maggioranza musulmana, ma anche casa comune di significative minoranze, che credeva nella cultura della pacifica convivenza, secondo lui impressa nelle coscienze della gente del Pakistan.
Il Pakistan è stata anche la patria di Iqbal Masih, il ragazzino cristiano che si ribellò alla mafia dei tappeti e, da piccolo sindacalista, guidò la protesta di tutti quei bambini costretti a passare 12/14 ore al telaio per fabbricare i rinomati tappeti del Punjab. Per il suo coraggio e la sua determinazione fu ucciso, ma la sua lotta non fu vana perché da allora le condizioni di lavoro dei piccoli tessitori sono notevolmente migliorate.
Il Pakistan continua ad essere uno straordinario laboratorio per le diverse componenti che vi abitano e per il dialogo religioso che vi è praticato da tanto tempo.
In questa situazione si inserisce – purtroppo – la violenza e il fanatismo dei talebani, alcuni originari dal Pakistan altri dall’Afghanistan che vogliono riportare indietro le lancette della storia al medioevo islamico, costringendo le donne a mettersi il burka e gli uomini a non tagliarsi la barba e obbligando tutti a praticare solo ed esclusivamente la religione islamica. Ogni forma di diversità viene stroncata con gesti criminali, com’è successo a Lahore.
Doveroso offrire, da parte nostra, tutto il sostegno materiale e spirituale a questi fratelli perseguitati.