Il card. Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria, fu beatificato da Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1998. Ora tutto è pronto per la canonizzazione, ma la Chiesa ortodossa di Serbia vi si oppone con ogni tipo di argomentazione. Tanto che una delegazione si è fatta ricevere da papa Francesco, il quale, pur essendo convinto della santità dell’eroico cardinale, ha dato l’assenso alla costituzione di una speciale commissione mista cattolico-serbo ortodossa per far luce sull’attività dell’arcivescovo di Zagabria. Ne sono membri il card. Josip Bozanić, mons. Antun Škvorčević, mons. Ratko Perić,il dott. Jure Krišto (storico) e il dott. Mario Jareb (storico).
Il 28 maggio 2015, la presidente croata, Kolinda Grabar-Kitarović, ricevuta da papa Francesco gli chiese quando si sarebbe proceduto alla canonizzazione che i croati aspettano. In un incontro a Belgrado con il presidente del Pontificio consiglio per la promozione dei cristiani, il card. Kurt Koch, il presidente della Serbia, l’ultra nazionalista Tomislav Nikolić, non usò mezzi termini, anzi disse fuori dai denti che la canonizzazione di Stepinac distruggerebbe ciò che di buono finora è stato fatto: la Chiesa cattolica non deve canonizzare Stepinac senza il consenso dei serbi, altrimenti tutto salta nei rapporti tra le due Chiese.
Il gruppo di esperti sta indagando su tutte le circostanze storiche e cercherà con il dialogo e in un clima di reciproca comprensione di arrivare al punto fondamentale: la canonizzazione di Stepinac.
La figura e l’opera del cardinale fin dagli anni ’80 hanno sempre interessato l’opinione pubblica. Agli inizi del 1981 il suo “caso” andò a riempire le pagine del settimanale pornografico Start. Ne parlarono tutti i giornali, la radio e la televisione della Iugoslavia. E non sempre in modo obiettivo. Stepinac morì nel 1960 e la sua tomba nella cattedrale di Zagabria è sempre coperta di fiori e la gente, tanta, va a pregare. Il 10 febbraio di ogni anno si ricorda la sua vita, se ne commemora il forte spirito, se ne fa un eroe cattolico e croato. Stepinac, sotto il regime comunista, fu arrestato una prima volta il 17 maggio 1945 e rimase in carcere fino al 3 giugno. Dopo la liberazione fu chiamato da Tito, il quale, seguendo la prassi in voga nei paesi comunisti, propose di metterlo alla guida di una “Chiesa cattolica popolare”, separata da Roma, con la promessa di dargli grandi onorificenze. Stepinac disse no, firmando la sua condanna. Venne di nuovo arrestato, fu sottoposto a un processo-farsa (tipico nei paesi comunisti), fu condannato a sedici anni di reclusione in un carcere duro. Dopo cinque anni di prigionia nel carcere di Lepoglava, dove subì ogni tipo di maltrattamenti e dove si tentò più volte di avvelenarlo, fu mandato al confino nella parrocchia natia di Krašić, nei pressi di Zagabria, dove rimase prigioniero fino al 1960, quando morì a motivo delle conseguenze dell’avvelenamento.
Negli anni ’80, quando percorrevo con enormi difficoltà e rischi i paesi dell’Est, mi fermavo spesso a Zagabria. Allora era arcivescovo il card. Kuharić, un francescano tutto d’un pezzo, cordiale e schietto. Difese la figura del card. Stepinac, attirandosi le ire del Partito comunista. Anche il suo ausiliare Kocsa, un tipo intelligente e brioso, spesso argutamente polemico, ne prendeva le difese. Ce l’aveva con il pubblico ministero Blažević, che nel 1946 lo accusò di simpatizzare per il governo fascista ustascia negli anni ’40. Negli ambienti cattolici di quegli anni, prima della caduta del comunismo nel 1989, si diceva che era ancora presto per dare una valutazione storica, obiettiva e corretta del comportamento del card. Stepinac, al quale peraltro si riconoscevano una fede profonda, un indiscusso attaccamento alla Santa Sede, ma anche una buona dose di nazionalismo e un’accanita avversione nei confronti del comunismo. Niente di nuovo per la verità, ma allora la tensione tra Chiesa cattolica croata e regime comunista non era affatto da sottovalutare. E di mezzo c’erano la dimensione del caso-Stepinac, la solennità del personaggio croato e la risonanza all’estero, dove vi erano più di 2 milioni di croati.
L’ausiliare Kocsa, rosso in volto, mi disse: «Ma, i comunisti che cosa vogliono? Non hanno mai cessato di sostenere che noi, Chiesa, dobbiamo sparire. Prenda in mano i testi scolastici. Ma cosa dicono della religione, della Chiesa, del papa, di Stepinac, del clero? Loro non hanno mai smesso di condurre questa lotta. La religione? È una cosa magica, superstiziosa».
Prima della caduta del muro di Berlino, si aveva la netta sensazione che il regime comunista anche in Iugoslavia fosse al collasso. Vi era stata la visita di Gorbačëv, che si era reso conto che il paese si trovava in piena crisi: economica, politica, sociale, morale. La Iugoslavia era in preda alle “spinte nazionalistiche”. Chiesi a Svete, già ambasciatore presso la Santa Sede, presidente della commissione del governo croato per gli affari religiosi, membro del governo, come vedeva il caso-Stepinac. Mi rispose: «Lasciamo stare la questione! È storia passata. Lei sa che anche all’interno della Chiesa ci sono ripensamenti sulla figura del cardinale Stepinac. Noi non abbiamo alcuna intenzione di riprendere in mano il passato. C’è chi lo vorrebbe. Ma a che serve? Abbiamo perso cinque anni dietro a questa questione. Vi sono stati errori da ambo le parti e i nostalgici ci sono ancora. Ma lasciamo stare!».
Ora si dice con un certo humour: ci sono i cardinali “in pectore”, i cui nomi vengono resi noti quando le circostanze lo consentono; ci sono anche i santi “in pectore” e Stepinac è uno di questi. Fino a quando?