Anastasios Yannoulatos è stato una figura di spicco nel panorama ortodosso del XX e XXI secolo. Nato nel 1929 a Pireo, ha dedicato la vita alla testimonianza del Vangelo e al dialogo con le altre fedi, diventando un punto di riferimento per cristiani e non, per la promozione del dialogo, della pace e della coesistenza tra popoli e culture. È morto ad Atene lo scorso 25 gennaio all’età di 95 anni. Era arcivescovo di Tirana, Durazzo e di tutta l’Albania.
Primate di Albania
Era noto ai più con il titolo di primate della Chiesa Ortodossa di Albania, che ha ricoperto per oltre 30 anni. Fu chiamato infatti dal Patriarcato Ecumenico nel 1991 a guidare la ricostruzione di quella Chiesa dopo i tanti e duri anni di persecuzione dalla dittatura di Enver Hoxha. Anastasios è riuscito a unire armonicamente la componente ortodossa albanese a quella greca e a promuovere il dialogo con la comunità musulmana locale, soprattutto con i bektashi. La sua opera di mediazione interculturale e la promozione della giustizia sociale hanno svolto un ruolo fondamentale nel contenimento delle spinte nazionaliste che emergevano nei Balcani negli anni Novanta.
Yannoulatos non è stato solo un pastore, ma anche un pioniere nello studio della missione. Fin dalla giovinezza, Anastasios si impegnò con Syndesmos, una rete internazionale di giovani ortodossi aperti al cammino ecumenico. Nel primo dopoguerra iniziò a scrivere su temi missionari, sollecitando il risveglio evangelizzatore degli ortodossi: «L’indifferenza verso la missione significa negare l’Ortodossia», scriveva.
Verso la fine degli anni Cinquanta, accettò la proposta di recarsi in Africa Orientale (Kenya, Uganda e Tanzania) in qualità di locum tenens della diocesi ortodossa locale, impegnandosi nelle missioni ortodosse che all’epoca stavano conoscendo una forte ripresa. In Africa ha studiato le religioni africane e, in seguito, avrebbe fatto lo stesso con l’Islam e le grandi religioni dell’Asia, compiendo diversi viaggi in Oriente.
A causa di problemi di salute, nel 1972 Yannoulatos fu costretto a tornare ad Atene, dove gli fu affidata la direzione della Diakonia Apostolica (l’organismo missionario della Chiesa di Grecia). Iniziò così un intenso lavoro editoriale che lo portò a distribuire opuscoli divulgativi (il periodico Panta ta Ethni – Tutte le nazioni), contenenti cronache dal panorama missionario ortodosso ed ecumenico. Nello stesso anno e fino al 1991, fu titolare della cattedra di storia delle religioni presso la facoltà teologica ateniese.
La missione come martyria
Oltre a essere un instancabile animatore missionario, Yannoulatos si è affermato come intellettuale di rara qualità. Il suo contributo all’elaborazione della missiologia ortodossa è stato fondamentale. Attraverso il Syndesmos ha partecipato al movimento missionario globale sotto il coordinamento del Consiglio Mondiale delle Chiese, di cui è stato presidente dal 2006 al 2013.
La sua produzione è ricca dal punto di vista contenutistico e concettuale: è stato lui, infatti, a parlare per la prima volta della missione come di una «liturgia dopo la Liturgia (eucaristica)», cioè come di un modo per protrarre negli itinerari della missione la vita amorosa, sacrificale e comunionale dell’eucaristia. Egli scriveva del valore olistico del Vangelo: «Tutto l’universo è stato invitato a entrare nella Chiesa, a diventare la Chiesa di Cristo, per poter diventare, alla fine dei secoli, il Regno celeste di Dio. La Chiesa è il centro dell’universo, la sfera in cui i suoi destini vengono determinati».
È stato un interprete autentico del deposito spirituale ortodosso, mosso dall’obiettivo di promuovere nel mondo la comunione che esiste in Dio: «La nostra missione è quella di collaborare con lo Spirito Santo per la santificazione di tutte le cose, per la loro ricapitolazione in Cristo e per l’accesso al Padre. Siamo collaboratori di Dio nel senso più ampio e partecipiamo allo sviluppo dell’unità, della pace e dell’amore verso cui è diretto il piano divino».
Non deve quindi stupire il fatto che, già dagli anni Cinquanta, egli utilizzasse il termine martyria come alternativo a «missione», termine quest’ultimo condizionato da accenti colonialistici e proselitistici. La sua scelta era sostenuta dal fatto che la parola biblica martyria rinviava all’esperienza diretta di Dio, alla certezza personale dell’azione divina su ogni essere umano e alla comune etimologia con il termine «martirio»: il testimone di Cristo deve essere pronto a dare la propria vita in sacrificio.
Universalità della missione
Nel suo pensiero l’universalità della missione non era una semplice qualità geografica, ma una nuova qualità della vita che abbraccia l’intera esistenza umana. «L’universalità del dovere missionario è sempre più evidente: tutta la Chiesa deve offrire a tutto il mondo il Vangelo intero, a chi è vicino e a chi è lontano, e preoccuparsi di tutto l’uomo e di tutta la vita umana».
L’universalità della missione era da lui ritenuta un aspetto fondamentale per contrastare lo spirito isolazionista che minacciava l’Ortodossia. Per sopravvivere, la Chiesa deve aprirsi costantemente agli altri, diceva; una Chiesa chiusa in sé stessa è destinata a morire. Fu memorabile il suo intervento al Concilio di Creta, nel 2016, dove definì l’egocentrismo la «maggiore eresia» e la «madre di tutte le eresie», in quanto «avvelena i rapporti umani e ogni forma di convivenza armoniosa e creativa […]. L’opposto della pace non è la guerra, bensì l’egocentrismo delle persone, degli Stati, dei diversi gruppi».
Una Chiesa che si auto-definisce in forma nazionalistica, dunque, finisce per trasgredire l’universalità del Vangelo. Ne deriva la necessità di una testimonianza comune del Vangelo da parte dei cristiani dal momento che, nonostante le «difficoltà reali, legate sia a norme canoniche che alla scarsità di persone e risorse, rimane uno spazio ampio per una ricerca teologica comune e per dare alle missioni delle basi spirituali solide». Prima che intercristiana, però, la testimonianza del Vangelo deve essere interortodossa. Yannoulatos immaginava il programma di una tale collaborazione tra le Chiese Ortodosse in Medio Oriente (di fronte all’ascesa dell’Islam), in Europa Orientale (per la ricostruzione delle società ex-comuniste), in Occidente (per fronteggiare i problemi legati alla secolarizzazione), così come in Africa e in Asia, dove fiorivano nuove comunità cristiane.
Per quanto riguarda la visione delle diverse culture, Yannoulatos era convinto che le civiltà non fossero destinate a uno scontro perpetuo, come sostenuto negli anni Novanta dalla corrente huntingtoniana o dai sostenitori dei fondamentalismi religiosi, ma che esse potessero interagire dialogicamente per sostenere la convivenza pacifica tra i popoli.
Questa convinzione derivava da una sua precisa idea sul ruolo delle religioni nel piano di Dio, ma anche da una sua disposizione personale. Yannoulatos riteneva infatti che l’universalità dell’azione di Dio andasse al di là del cristianesimo: la paternità di Dio, la ricapitolazione di tutto il genere umano in Cristo e l’azione dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, valorizzano le tante opere buone difese dai non cristiani. Perciò, diceva, ovunque si diffondano i beni della pace, della fratellanza, della giustizia e dell’amore, lì è presente l’azione dello Spirito.
Sulla chiesa autocefala ucraina
Negli ultimi anni, la sua posizione sulla questione ecclesiastica ucraina è stata oggetto di critiche. Yannoulatos si ostinava a non riconoscere la Chiesa autocefala ucraina a motivo di alcune, a suo avviso, imprecisioni canoniche nel percorso avviato dal Patriarcato Ecumenico per la concessione del Tomos. Aveva anche denunciato la decisione del Patriarcato di Mosca come forma di strumentalizzazione dell’eucaristia a fini amministrativi e aveva chiesto una riunione di tutti i capi ortodossi per discutere della questione.
Possiamo sperare che il futuro primate e la gerarchia della Chiesa di Albania rimarranno fedeli al paradigma pastorale di Yannoulatos, un paradigma autenticamente evangelico, convintamente sovranazionale e genuinamente ecumenico. Una svolta nazionalista della Chiesa di Albania rischierebbe di compromettere la sua integrità, aggiungendo un’ulteriore ferita ai traumi già patiti dal mondo ortodosso.
Grazie Dimitri, eccellente sintesi della vita di un uomo eccellente, per il quale le parole non bastano. Chiunque ha avuto la grazia di conoscerlo e incontrarlo anche solo una volta, prima ancora delle sue parole, non dimenticherà mai la luce che irradiava dal suo volto. Un autentico santo dei nostri giorni, da ogni punto di vista.
Un unica piccola nota riguardo alla chiesa Ucraina: non penso che si trattasse di “ostinazione” da parte sua, ma di una posizione ragionata anche se sofferta. Posso certamente sbagliarmi, ma, senza entrare nelle specifiche questioni canoniche intra-ortodosse, penso che Anastasios avesse precise e valide ragioni per cui, in coscienza, non riteneva di poter procedere al riconoscimento canonico della Chiesa autocefala ucraina e d’altra parte chiedeva ripetutamente che la questione fosse discussa nell’ambito di un’assise panortodossa. Questa sua parresia per me, che andava al di là degli allineamenti etnici ed ecclesiastici, per me fa parte della sua grandezza.