Il rabbino capo dell’Ucraina, Moshe Reuven Osman, ha scritto al National Memorial Yad Vashem di Gerusalemme per chiedere di riconoscere al “servo di Dio” Andrej Szeptycki, vescovo maggiore degli ucraini greco-cattolici all’inizio del Novecento, il titolo di “giusto fra le nazioni” che un’apposita commissione ebraica riconosce a coloro che hanno difeso gli ebrei durante la Shoah, lo sterminio nazista.
Il riconoscimento è andato a oltre 2.500 ucraini e, fa questi, al fratello di Andrej, Clemente, e all’abbadessa Elenva Viter, ambedue alle dirette dipendenze del metropolita.
Alla richiesta del rabbino capo si è unito l’attuale presidente della Repubblica ucraina, Vladimir Zelenski, anche lui di origine ebraica. In occasione del 75° della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz (27 gennaio 2020) il presidente, in visita in Polonia, ha ricordato i sei milioni di morti della Shoah, i 9 milioni di morti ucraini nella lotta di liberazione e tutti coloro che si sono impegnati nella difesa degli ebrei:
«Questi sono uomini di grande cuore e di grande coraggio. Fra loro non posso dimenticare la famiglia Szeptycki, che non solo ha salvato più di 160 ebrei, ma ha coraggiosamente chiesto ai leader nazisti di fermare la loro persecuzione. (…) Mi unisco all’appello del rabbino capo di Kiev per il ripristino della giustizia storica».
Ucraina nel vortice delle guerre
Andrej Szeptycki (1865-1944) è una fra le grandi figure del popolo ucraino nella prima metà del Novecento. Di famiglia aristocratica che univa la tradizione ucraina (il padre) a quella polacca (la madre), a 22 anni chiede di passare dal rito latino a quello greco-cattolico ed entra come monaco fra i basiliani.
Con un dottorato in giurisprudenza, teologia e filosofia, viene ordinato nel 1892. Maestro dei novizi, igumeno del monastero Sant’Onofrio a Leopoli, diventa vescovo nel 1899. Entra nella dieta (parlamento) della Galizia, allora appartenente all’impero austro-ungarico, e alla Camera di Vienna.
La sua azione coerentemente legata alla valorizzazione dell’autonomia-indipendenza ucraina lo ha reso una delle figure più amate dal popolo. Anche per la sua apertura alla cultura e all’arte. Ma il suo impegno maggiore è stato quello di valorizzare la tradizione greco-bizantina e difendere l’originalità della Chiesa cattolica di rito orientale.
Conosce le prigioni, prima dello Zar, poi dei polacchi, poi dei russi. Per primo visita la diaspora ucraina nell’America del Nord e nell’Europa occidentale. Rafforza le fondazioni monastiche e alimenta le comunità greco-cattoliche con lettere, scritti e riorganizzazioni amministrative. Fonda l’Accademia teologica, il museo nazionale, scuole e ospedali.
Critica apertamente la Russia zarista, ma anche i polacchi che invadono l’Ucraina. Duro coi rivoluzionari russi e con i nazisti. Scrive ad Himmler per difendere gli ebrei e dà ordine ai monasteri di nasconderli. 15 vivono in casa sua. Nel 1942 pubblica una lettera pastorale dal titolo «Non uccidere» a garanzia delle minoranze e dei civili.
Dopo l’occupazione sovietica, ordina clandestinamente il suo successore Yosyf Slipy (1939). Muore come un padre della patria nel 1944, nonostante l’opposizione del nuovo potere comunista.
Unionismo ecumenico
Originale e coraggiosa la sua concezione dell’«uniatismo», come strumento favorevole all’ecumenismo e al legame con le diverse tradizioni cristiane. Così scrive lo storico Etienne Fouilloux:
«La regola dello scontro (latini-orientali, cattolici-ortodossi – ndr) ha delle eccezioni. Almeno due Chiese uniate hanno preso sul serio la funzione di ponte che era loro stata data e hanno tentato di giocare, con più o meno successo, un ruolo propriamente ecumenico (la seconda è quella greco-melchita – ndr). Una delle più reticenti verso l’ecumenismo da mezzo secolo, quella dell’Ucraina occidentale, non è sempre stata così. Instabilmente sostenuto da Roma, perché la strategia verso la Russia di mons. d’Herbigny non era costruita col suo apporto, il metropolita Andrej Szeptycki ha fatto molto, compatibilmente con le turbinose circostanze del suo lungo mandato (1900-1944), per convertire la sua comunità ad un “uniatismo” assai prossimo all’ecumenismo. Ha restaurato, contro l’avanzante latinizzazione, gli usi e i costumi orientali. Nella grande Polonia fra le due guerre ha teso la mano all’ortodossia senza alcuna volontà di annessione e l’ha pubblicamente difesa quando è stata repressa dal governo di Varsavia (distruzione delle chiese alla fine degli anni Trenta). Il suo nazionalismo ucraino, tanto anti-russo quanto anti-polacco, gli impediva tuttavia di impegnarsi ulteriormente su questa strada, che la persecuzione sovietica ha rapidamente sbarrato e che il suo successore, Slipy, non ha voluto sviluppare» (Chatoliques et orthodoxes: les enjeux de l’uniatisme, Paris 2003, p. 207).
Sepolto in piena era comunista nella Cattedrale di San Giorgio, a Leopoli, nel 1944, ha visto avviare il suo processo di beatificano nel 1958. Il decreto che ne attesta le virtù eroiche è del 2015. L’attesa della sua beatificazione si congiunge con la richiesta degli ebrei ucraini di riconoscerlo come “giusto”.