Il vicario generale dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta del Trono Ecumenico (Costantinopoli), l’archimandrita Evangelos Yfantidis, ci manda, dalla sede di Venezia, questo testo su indicazione dell’arcivescovo, il metropolita Gennadios. «A motivo del progetto da parte del Patriarcato Ecumenico di concessione dello stato di autocefalia ecclesiastica all’Ucraina, sono state formulate opinioni, perfino da rappresentanti di enti istituzionali, secondo le quali è in discussione il diritto canonico della Chiesa di Costantinopoli di procedere a tale azione. Come principale argomento, si sostiene che l’Ucraina “costituisce territorio canonico del Patriarcato di Mosca” e, di conseguenza, tale azione del Patriarcato Ecumenico costituirebbe un’“ingerenza” in un’altra giurisdizione ecclesiale. Di conseguenza, si giudica necessario che il Patriarcato Ecumenico rammenti a tutti la verità storica sulle relazioni della Chiesa di Costantinopoli in rapporto alla Chiesa di Ucraina, come risulta dai documenti ufficiali salvati, che purtroppo, sia per ignoranza sia intenzionalmente, vengono nascosti per ovvie ragioni». Il testo, che porta la data del 29 settembre 2018, può essere recuperato sul sito dell’arcidiocesi». Lo pubblichiamo integrale per l’importanza che esso riveste in ordine al confronto fra Mosca e Costantinopoli sul “caso” Ucraina.
Il Trono Ecumenico e la Chiesa di Ucraina. Parlano i testi
A motivo del progetto, da parte del Patriarcato Ecumenico, di concedere lo stato di autocefalia ecclesiastica all’Ucraina, sono state formulate opinioni, perfino da rappresentanti di enti istituzionali, secondo le quali è in discussione il diritto canonico della Chiesa di Costantinopoli di procedere a tale azione. Come principale argomento, si sostiene che l’Ucraina «costituisce territorio canonico del patriarcato di Mosca» e, di conseguenza, tale azione del Patriarcato Ecumenico costituirebbe un’«ingerenza» in un’altra giurisdizione ecclesiastica. Di conseguenza, si giudica necessario che il Patriarcato Ecumenico rammenti a tutti la verità storica sulle relazioni della Chiesa di Costantinopoli in rapporto alla Chiesa di Ucraina, come risulta dai documenti ufficiali salvati, che purtroppo, sia per ignoranza sia intenzionalmente, vengono nascosti per ovvie ragioni.
La relazione del patriarcato di Costantinopoli con la Chiesa di Ucraina.
Breve rievocazione storica.
Com’è noto a tutti, gli ucraini e tutti i popoli che provengono dall’antica Rus’, devono la loro fede cristiana e l’Ortodossia al Patriarcato Ecumenico. È superfluo ricordare qui gli eventi storici, da tutti conosciuti, che hanno portato al battesimo degli abitanti dello stato di Vladimir, attorno a Kiev, nel decimo secolo e la diffusione dopo di ciò, dell’Ortodossia nell’intera area della Rus’ kievana.
Il Patriarcato Ecumenico costituisce la Chiesa madre di tutto il popolo ucraino, come anche di tutti i russi, i bielorussi e gli altri popoli dell’immenso Paese.
La Metropolia di Russia viene indicata negli antichi atti ufficiali del Patriarcato di Costantinopoli, ad esempio nel Breve di Leone il Saggio (sec. XI),[1] come sessantesima eparchia del Trono Ecumenico. Era inizialmente unita sotto il titolo di “Kiev e di tutta la Rus’”, con sede a Kiev. In seguito, i metropoliti di Kiev trasferirono la loro dimora a Vladimir e, infine, a Mosca, avendo sempre, tuttavia, quale loro sede canonica, la città di Kiev.
A metà Circa del XV secolo, la Metropolia di Kiev e stata divisa in due, a seguito dell’elezione del metropolita Giona a Mosca (1448) e di Gregorio, sotto il patriarca uniate Gregorio Mama (1458).
Il metropolita Gregorio tornò più tardi all’Ortodossia e venne accolto dal patriarca ecumenico Dionisio I (1470), mentre a Mosca, nel 1561, era stato insediato un nuovo metropolita, Teodosio, senza un accordo con il Patriarcato Ecumenico.
Dopo l’elevazione della Metropolia di Mosca a patriarcato, da parte del patriarca ecumenico Geremia II (1589), la Metropolia di Kiev continuò ad essere sottomessa ai patriarchi ecumenici, i quali esercitarono la vigilanza sia attraverso esarchi plenipotenziari, sia di persona, come avvenne nel 1589, quando il patriarca Geremia II visitò Kiev e depose Onesiforo di Kiev, per bigamia, come altri chierici colpevoli e ordinò, per Kiev, Michele (Ragoza). In più, ratificò e benedisse la Confraternita della Teofania (Vogoiavlienskj), che poi fu trasformata in Accademia, e dispose la convocazione del Sinodo eparchiale di Ucraina.
Ma, forse, il contributo più importante del Patriarcato Ecumenico alla Chiesa di Ucraina avvenne quando questa Chiesa era stata completamente latinizzata e aderì con i suoi vescovi all’uniatismo. Allora (1620) il patriarca ecumenico delegò il patriarca di Gerusalemme Teofane a recarsi in Ucraina, dove ordinò vescovi ortodossi, ricostituì il Sinodo eparchiale di Ucraina ed elesse il metropolita locale con la ratifica del patriarca ecumenico. L’ordinazione dei vescovi della Metropolia di Kiev da parte del patriarca di Gerusalemme non significava, ovviamente, che la metropolia fosse assoggettata al suo patriarcato.
Quando, nel 1654, l’Ucraina venne unita politicamente alla Russia, iniziò a diffondersi anche la domanda di unione ecclesiastica di questo paese con il Patriarcato di Mosca. Tuttavia i metropoliti, i vescovi, il clero, i fedeli e tutto il popolo dell’Ucraina respinsero duramente l’unione. Vani furono anche i tentativi della Russia di separare la Metropolia di Kiev nel 1684 dal patriarca ecumenico Iakovos.
Silvestro di Kiev e i suoi successori, Dionisio, Iosif e Antonio, nonostante le pressioni, non accettarono di essere ordinati dal patriarca di Mosca. Solo il loro successore Gedeone, nel 1685, venne convinto ad accettare la sua ordinazione dal patriarca di Mosca Ioakim, ma anche allora gran parte del Sinodo, riunitosi a Kiev, dichiarò invalida l’elezione e illecita l’ordinazione, poiché era stata fatta all’insaputa del patriarca ecumenico.
Questa azione del patriarca di Mosca costituì una grave ingiustizia canonica. Promuovere un vescovo di un’altra eparchia a metropolita senza l’accordo del locale patriarca costituisce un’infrazione dei sacri canoni come: 35 degli Apostoli, 6 del Primo Concilio Ecumenico, 13 e 22 del Concilio di Antiochia, e 15 del Concilio di Sardica.
Parallelamente, questo fatto significava un’intromissione in un’altra eparchia, condannabile secondo i canoni: 2 del Secondo Concilio Ecumenico, 13 e 22 del Concilio di Antiochia, 3 del Concilio di Sardica. L’usurpazione di un’altra eparchia viene condannata espressamente dai canoni come una violazione degli antichi diritti delle Chiese, come in: 8 del Terzo Concilio Ecumenico e 34 del Concilio Ecumenico Quintosesto in Trullo.
In seguito a ciò, Gedeone e Mosca compresero che non era possibile agire senza il consenso del patriarca ecumenico e volsero ogni loro tentativo a convincere (o a costringere) l’allora patriarca ecumenico Dionisio IV a riconoscere l’ordinazione di Gedeone.
Questo tentativo fu fatto, a nome della famiglia regnante e del governo di Russia, dall’ambasciatore Nikita Alexeev, che si recò ad Adrianopoli, dove il patriarca ecumenico Dionisio IV era di passaggio. Le trattative e i retroscena sono raccontati nel Dodecabiblon del patriarca di Gerusalemme Dositeo – anche lui lì di passaggio – il quale, forte delle sue relazioni personali con la famiglia reale, svolse un ruolo essenziale nei colloqui.
Il risultato dei loro colloqui e delle loro negoziazioni confluì nell’Atto Patriarcale e Sinodale, o Lettera di Notifica del giugno dell’anno 1686, firmato dal patriarca ecumenico Dionisio IV e dal suo Sacro e Santo Sinodo, come dagli altri metropoliti del Patriarcato Ecumenico.
La versione originale dell’Atto è andata perduta; si sono salvate, tuttavia, oltre alle traduzioni russe, alcune copie autentiche in greco dell’epoca del patriarca Callinico II (1688, 1689-1693, 1694-1702), a partire dalle quali è stato ricostruito con attendibilità l’originale testo greco.[2]
Si è salvato anche l’originale greco della Lettera che il patriarca Dionisio IV ha inviato ai reali di Russia, Giovanni e Pietro, e alla principessa Sofia, pubblicato nella Collezione degli scritti ufficiali del governo russo nel 1826.[3]
Si sono salvati ovviamente anche altri documenti ufficiali su questo tema; uno solo testo in greco e i rimanenti in traduzione russa dell’epoca, tra i quali traduzioni ufficiali del Ministero degli Esteri russo, conservate nel suo archivio, insieme ad altri; e ovviamente quelli, in traduzioni ufficiali, conservati in manoscritti dell’associazione Ikona, che contiene diversi testi riguardanti il Patriarcato di Mosca.[4]
È superfluo ricordare il fatto che il primo tra questi testi, che costituisce non solo un documento patriarcale ma sinodale, prevale per il valore canonico e normativo e che lo si deve preferire a ogni altro come manifestazione autentica del volere del Patriarcato Ecumenico, laddove, eventualmente, esistano divergenze.
Cosa risulta dallo studio dei testi?
Dallo studio di questi due testi fondamentali, e principalmente l’Atto Patriarcale e Sinodale o, in modo più preciso, la Lettera di Notifica, risulta quanto segue:
1. La subordinazione della metropolia di Kiev, è avvenuta «in modo accondiscendente» e «per economia», a causa degli accordi storici specifici di quell’epoca e «per la distanza assai grande del luogo e per le battaglie che avvenivano tra i due Regni», in conseguenza delle quali il nemico della retta, vera, santa e immacolata fede dei cristiani ortodossi ha disseminato zizzania e rovi tra il grano, cioè l’Ortodossia, esponendola al pericolo di dottrine estranee e ostili. Il carattere provvisorio della disposizione per economia e accondiscendenza, previsto dall’Atto Patriarcale e Sinodale del 1686, è testimoniato in modo esplicito anche dal dotto eminente patriarca di Gerusalemme Dositeo, il cui ruolo nelle trattative fu, come è stato detto, cruciale, quando scrive di aver dichiarato all’ambasciatore mediatore Nikita Alexiovitch «che fosse dato… Kiev alla Moscovia a modo di tutela, per l’usurpazione a cui soggiace e fino al giorno della visita divina».[5]
2. Come risulta dall’Atto Patriarcale e Sinodale del 1686, il significato della “subordinazione” della metropolia di Kiev al Patriarcato di Mosca consiste, in sostanza, solamente nel permesso di ordinare il metropolita di Kiev, «affinché la santissima eparchia di Kiev sia soggetta al santissimo trono della grande città della Moscovia salvata da Dio, cioè perché sia ordinato il metropolita di Kiev in essa, qualora se ne fosse presentata la necessità». La delucidazione (“cioè”) spiega il significato di “soggetta”. L’Atto dice in modo esplicito: «l’obbedienza della metropolia di Kiev è stata posta sotto il santissimo Trono patriarcale della Moscovia»; ciò significa che il patriarca di Mosca può ordinare il metropolita di Kiev, in nome del patriarca ecumenico, e niente di più.
I documenti salvati, in copia in lingua greca, dicono: «essere stato dato il permesso… di ordinare», «e di avergli dato tale permesso per economia».
Il solo documento salvato in originale (Lettera ai reali) dice in modo esplicito: «Il beatissimo patriarca della Moscovia… ha il permesso di ordinare il metropolita di Kiev», cioè il patriarca di Mosca può procedere all’ordinazione del metropolita di Kiev con il permesso del patriarca ecumenico.
Il fatto che non si tratti di una piena cessione dell’eparchia di Kiev al patriarca di Mosca è evidente dal fatto che l’Atto a) priva il patriarca citato del diritto di eleggere il metropolita di Kiev e, b) obbliga ogni metropolita di Kiev a commemorare il patriarca di Costantinopoli “in primo luogo” durante la Divina Liturgia. È necessario che venga accentuata l’importanza di queste due condizioni.
3. Il permesso dato al patriarca di Mosca di ordinare il metropolita di Kiev, e soltanto quello che viene scelto dal clero e dal popolo dell’Eparchia di Kiev, rivela un significativo grado di autonomia e di indipendenza di questa eparchia, autonomia che non viene concessa dal patriarca di Mosca, quasi fosse un capo del paese in questione. Egli è obbligato ad accettare il limite posto dal patriarca ecumenico ed è obbligato a rispettarlo. Il patriarca di Mosca, secondo questo limite, non ha il diritto di procedere all’incorporazione o allo smembramento o alla soppressione di questa metropolia. È escluso, cioè, il suo assorbimento amministrativo da parte del Patriarcato di Mosca.
4. L’obbligo di ogni metropolita di Kiev di commemorare “in primo luogo”, durante la Divina Liturgia, il patriarca ecumenico rivela la più chiara dimostrazione che l’Eparchia di Kiev non è stata data al Patriarcato di Mosca come suo territorio canonico. La commemorazione, “in primo luogo” nella Divina Liturgia, del nome del patriarca dimostra la dipendenza canonica del commemorante e non costituisce una semplice manifestazione di preghiera o di cortesia. Nello specifico Atto Patriarcale e Sinodale viene motivato in modo esplicito il termine della commemorazione del patriarca ecumenico quale “fonte e principio” dei vescovi a lui sottomessi. Invece, la commemorazione del patriarca di Mosca dopo quello di Costantinopoli viene attribuita alla sua persona in quanto “padre spirituale e primate”, essendosi costituita una relazione spirituale dell’ordinato nei confronti di colui che lo ha ordinato.[6]
Si deve evidenziare che l’Atto relativo al metropolita di Filadelfia a Venezia, che gli concede il diritto di ordinare i vescovi di Cefalonia e di Kythiron, stabilisce anche la commemorazione del metropolita di Filadelfia da parte dei vescovi da lui ordinati, senza che questo significhi che il metropolita di Filadelfia sia diventato il loro capo.
Per analogia, anche la commemorazione del patriarca di Mosca da parte del metropolita di Kiev, dopo il patriarca di Costantinopoli, non allude ad alcuna concessione di giurisdizione su questi territori. Per tali motivi il ricercatore russo Vadim Mironovich Lurie,[7] che ha studiato i documenti sinodali riguardanti il metropolita di Kiev del 1686 – come anche altri storici russi, – è giunto alla conclusione che questi limiti hanno chiaramente come fine il mantenimento dell’autorità canonica di Costantinopoli sull’Eparchia di Kiev.[8]
5. Il diritto, che è dato dal vescovo ordinario a vescovi stranieri di ordinare chierici nella propria eparchia è sancito dai canoni ed è assai usuale ancora oggi, quando questo avviene con il permesso esplicito del pastore locale, senza che questo significhi un’invasione del territorio canonico. Questo lo rivela precisamente anche l’Atto Patriarcale e Sinodale del 1686, quando dichiara che i chierici e i laici dell’Eparchia di Kiev «hanno il permesso, come consuetudine buona e secondo quanto previsto dai canoni», di inviare il candidato da loro eletto a metropolita di Kiev al patriarca di Mosca per l’ordinazione. Si tratta, cioè, di una concessione – ha il permesso – da parte del vescovo primate della concessione di ordinare un vescovo, sottoposto alla sua giurisdizione, da parte di un vescovo straniero.[9]
6. La concessione da parte del patriarca ecumenico Dionisio IV al patriarca di Mosca del permesso di ordinare ogni metropolita di Kiev è avvenuta attraverso una Lettera di Notifica sinodale, titolo che tutti i relativi documenti hanno e che anche il principale tra di essi riporta. Il termine “notifica” è tecnico e significava, in quell’epoca, in senso lato, “permesso”, e, nel caso specifico, permesso di ordinazione o di trasferimento. Non si tratta, di conseguenza, di un Atto o Tomos di cessione di un territorio canonico ad un’altra Chiesa autocefala da parte del Patriarcato Ecumenico, com’è avvenuto nel caso di concessione di un’autocefalia (per esempio: alle Chiese di Grecia, Serbia, Romania, Bulgaria, Georgia, Polonia, Albania e Cechia e Slovacchia); come anche di una cessione di specifici territori ad un’altra Chiesa autocefala (per esempio: la cessione alla Chiesa di Grecia delle Isole Ionie, della Tessaglia o della Diaspora nel 1908 e la loro restituzione al Patriarcato Ecumenico nel 1922).
Non è mai stata data parte di un territorio canonico del Patriarcato Ecumenico ad un’altra Chiesa autocefala attraverso una Lettera di Notifica. Anche l’elevazione a patriarcato della Chiesa di Russia, con la quale si stabiliscono anche i confini della sua giurisdizione, è avvenuta con la pubblicazione di un Tomos.[10] Se il Patriarcato Ecumenico avesse voluto cedere il proprio territorio canonico (l’Ucraina) al Patriarcato di Mosca, avrebbe adoperato un documento analogo a quello che è stato redatto per tutti gli altri casi.
Tutto ciò chiarisce il senso dell’Atto Patriarcale e Sinodale del 1686 secondo il famoso patriarca di Gerusalemme, Dositeo, il quale conosceva i fatti di prima mano avendo partecipato alle avvenute trattative, e cioè «che, da una parte, era Eparchia di Costantinopoli e che, dall’altra, era tutelata dal santissimo patriarca della Moscovia»,[11] e ciò, secondo lo stesso patriarca, «per l’usurpazione a cui soggiace e fino al giorno della visita divina», cioè fino al momento opportuno.
La situazione fino ad oggi
Ciò che è avvenuto dopo il 1686 è noto a tutti. Il Patriarcato di Mosca non ha mai osservato l’Atto Patriarcale e Sinodale, sia per quanto riguarda il modo di elezione del metropolita di Kiev (dal clero e dal popolo del Paese), sia per la commemorazione “in primo luogo” del nome del patriarca ecumenico da parte di ogni metropolita di Kiev, durante la Divina Liturgia. In questo modo, e principalmente attraverso la soppressione subdola della commemorazione del patriarca ecumenico da parte di ogni metropolita di Kiev e la separazione de jure della Metropolia di Kiev (e della Chiesa di Ucraina) dal Patriarcato Ecumenico, si è compiuta arbitrariamente una annessione e incorporazione dell’Ucraina al Patriarcato di Mosca.
Tutte queste cose sono avvenute in un arco di tempo durante il quale il Patriarcato Ecumenico, tremendamente provato, era impossibilitato, «a causa dei tempi difficili, ad alzare la propria voce contro tali azioni arbitrarie».[12] Ma «ciò che è privo di fondamento fin dall’origine non è confermato dal passare del tempo», secondo l’assioma generale del diritto romano riconosciuto anche dai sacri canoni.[13] La Chiesa di Ucraina non ha cessato di costituire de jure territorio canonico del Patriarcato Ecumenico.
La prescrizione dopo 30 anni, prevista dai canoni 17 del Quarto Concilio Ecumenico e 25 del Sesto, non può essere applicata nella circostanza attuale, poiché questi canoni si riferiscono alle parrocchie «di campagna» o «di un luogo» e non a vescovadi o a metropolie. Su ciò sono d’accordo tutti gli antichi interpreti di questi canoni.[14]
Il Patriarcato Ecumenico è sempre stato a conoscenza di tutto ciò, nonostante la tolleranza dimostrata da esso «a causa dei tempi difficili», ossia di quanto era stato attuato arbitrariamente dal Patriarcato di Mosca. Lo si è visto bene nel caso della concessione dell’autocefalia da parte del Patriarcato Ecumenico alla Chiesa di Polonia nel 1924. Nel relativo Tomos si afferma in modo esplicito che il territorio di Kiev, al quale era sottoposta anche la Polonia, non ha mai cessato di appartenere alla giurisdizione canonica della Chiesa di Costantinopoli, come anche che i termini dell’Atto del 1686 non sono mai stati rispettati dal Patriarcato di Mosca.
Conclusioni
Dallo studio dei documenti ufficiali, così come sono stati conservati o ripristinati dall’ermeneutica storica, non solo da ricercatori greci ma anche russi, si evince che:
1. Il Patriarcato Ecumenico non ha mai ceduto la Metropolia di Kiev perché diventasse territorio canonico del Patriarcato di Mosca. I confini canonici della Chiesa di Russia sono stati stabiliti quando questa Chiesa è stata elevata a patriarcato nel 1589 e non sono mai stati cambiati attraverso un Tomos Patriarcale e Sinodale. La Metropolia di Kiev non era inclusa dentro questi confini. Ogni regione geografica, al di fuori dei confini che sono delineati dal Tomos di autocefalia di qualsiasi Chiesa ortodossa, si trova al di fuori dei confini canonici di questa, come è appunto previsto per ogni Chiesa autocefala.
2. La Metropolia di Kiev (e l’intera odierna Ucraina) era, fin dalla sua fondazione, un’eparchia del Trono Ecumenico, avente fin dall’inizio la dovuta posizione nella Costituzione, mentre ogni metropolita riceveva la sua ordinazione dal patriarca di Costantinopoli ininterrottamente fino al XVII secolo. Il legame della Chiesa di Ucraina con il Patriarcato Ecumenico era talmente forte che, anche dopo l’unione politica della regione con Mosca nel 1654, ogni sforzo del patriarca di Mosca di ordinare il metropolita di Kiev incontrava la dura opposizione del clero e del popolo dell’Ucraina.
L’ordinazione subdola di Gedeone come metropolita di Kiev da parte del patriarca di Mosca Ioakim nel 1675 incontrò ancora una volta l’opposizione del clero e del popolo della metropolia. Solo quando l’allora patriarca ecumenico Dionisio IV, dopo forte pressione, concesse nell’anno 1686 il permesso al patriarca di Mosca di ordinare ogni metropolita di Kiev, il clero e il popolo di questa regione accettò l’ordinazione di Gedeone e, in seguito, quella dei suoi successori da parte del patriarca di Mosca.
3. I documenti ufficiali, sulla base dei quali è stato dato il permesso al patriarca di Mosca, sono ormai conosciuti, e rivelano che:
a) Il documento, con il quale è stato dato il permesso al patriarca di Mosca viene definito e denominato in tutti i testi ufficiali esistenti come Lettera di Notifica (“di notifica dico della lettera”) che, nella terminologia tecnica dell’epoca, ma anche oggi, significa concessione del permesso di celebrare un’ordinazione o un’altra azione liturgica, mentre non viene mai adoperata per la totale incorporazione di un territorio canonico in un’altra Chiesa autocefala.
b) In accordo con tutti i documenti esistenti, il permesso di ordinazione del metropolita di Kiev da parte del patriarca della Moscovia è stato dato «per economia», «per la necessità del momento», cioè «per la distanza assai grande del luogo e per le battaglie che avvenivano tra i due Regni». Questo permesso rivestiva, quindi, un carattere e un valore provvisorio, fino a quando sussistessero i motivi per i quali era stato concesso.
c) La caratterizzazione della “soggezione” della Metropolia di Kiev al patriarca di Mosca – che risponde al testo dell’Atto – è chiaramente spiegata dal testo stesso, dove si legge che «il metropolita può essere ordinato per essa (per la metropolia di Kiev)» dal patriarca di Mosca. Lo scopo e il senso dell’Atto consistono nel “permesso” di celebrare l’ordinazione del metropolita di Kiev da parte del patriarca di Mosca e non la cessione del territorio canonico ad esso. Questa era soltanto, d’altra parte, la domanda al patriarca ecumenico, come è compresa e registrata dall’Atto Patriarcale e Sinodale, che cioè «sia dato il permesso al beatissimo patriarca della Moscovia di ordinare un metropolita di Kiev, allorché questa metropolia fosse rimasta priva di un legittimo vescovo». Il patriarca ecumenico Dionisio IV e il Sinodo del patriarcato non avevano motivo di concedere più di quanto era stato richiesto.
d) I limiti posti dall’Atto Patriarcale e Sinodale confermano, al di là di ogni dubbio, il fatto che non è stato ceduto il territorio canonico della Metropolia di Kiev al Patriarcato di Mosca. Non è mai accaduto che fosse ceduto un territorio canonico ad un’altra Chiesa autocefala, limitando alla stessa il diritto di amministrare pienamente le cose della propria regione, ivi compreso il modo di elezione dei suoi vescovi e, ciò che è più interessante, con il dovere di commemorare “in primo luogo” nella Divina Liturgia, il capo della Chiesa dalla quale proviene.
Il Patriarcato di Mosca, naturalmente, era a conoscenza di tutto questo e perciò ha arbitrariamente violato questi confini e non li ha mai osservati, dal momento che aspirava ad incorporare di propria iniziativa la Metropolia di Kiev (e l’Ucraina) nella propria giurisdizione canonica. Ma questo costituisce – purtroppo – anche una violazione dei Sacri Canoni[15] e dell’Atto sul quale si basa l’intero rapporto del Patriarcato di Mosca nei confronti di questa regione. La non osservanza dei limiti contenuti in un Atto, rende nullo l’Atto nel suo insieme.
E, poiché non si tratta di un testo comune o riguardante l’ambito civile, bensì un testo ecclesiastico, ossia sacro, richiamiamo a coloro che hanno violato i confini le parole che concludono l’Atto: «Colui che ha pensato, al di là delle cose scritte o, in qualche altro modo, ha voluto manifestare disobbedienza o contrarietà, si metterà contro la disposizione del Signore e, inoltre, sarà punito come spregiatore dei patriarchi, che sono icone di Dio, animate e viventi».
4. Il Patriarcato Ecumenico, a causa delle condizioni storiche avverse nelle quali era venuto a trovarsi, ha tollerato e messo sotto silenzio la violazione da parte del Patriarcato di Mosca e la non osservanza dei termini dell’Atto Patriarcale e Sinodale del 1686, ma non l’ha neppure mai cancellata o dimenticata. Una dimostrazione di ciò è costituita dalla concessione dell’autocefalia alla Chiesa di Polonia, nel 1924, da parte del Patriarcato Ecumenico attraverso la pubblicazione di un Tomos, nel quale si dichiara esplicitamente che questa decisione si regge sul fatto che la Polonia apparteneva alla Metropolia di Kiev sotto il Patriarcato Ecumenico e che non erano stati rispettati, da parte del Patriarcato di Mosca, i limiti previsti.
La concessione dell’autocefalia alla Chiesa di Polonia venne accettata da tutte le Chiese ortodosse, ad eccezione di quella di Russia, la quale concesse una propria autocefalia a questa Chiesa nel 1949. In questo modo, venne indirettamente accettato da tutte le Chiese ortodosse, ad eccezione di quella di Russia, il diritto sovrano del Patriarcato Ecumenico sulla Metropolia di Kiev e dell’Ucraina.
***
Quando, nel 1757, la Metropolia di Aleppo, per difficoltà di ordine amministrativo, venne data al Trono Ecumenico da parte del patriarcato di Antiochia, al quale canonicamente apparteneva, il patriarca ecumenico Neofito VII accentuava, nel relativo Atto Patriarcale e Sinodale di restituzione di questa metropolia al patriarcato di Antiochia nel 1792, le seguenti cose: «Il nostro Santissimo Patriarcale, Apostolico Trono Ecumenico è portato fin dai tempi antichi ad essere davvero vicino anche agli altri santissimi patriarcali e apostolici troni per comprendere e aiutare, per quanto possibile, nei bisogni. Non sopporta, però, né che siano fatte, né udire che vengano sottratte le cose giuste di quelli, facendole diventare ingiuste per avere vantaggio. Quello che per se stesso è giusto e degno, al contrario è ingiusto e sconveniente alla dignità patriarcale».[16]
Il Patriarcato Ecumenico è sempre accorso in aiuto e in soccorso alle Chiese ortodosse in difficoltà. Mai, tuttavia, «sopporta di udire» l’usurpazione dei diritti canonici di una Chiesa da parte di un’altra. Tutti i relativi documenti ufficiali esistenti prevedono che ogni metropolita di Kiev debba essere eletto dalla Chiesa di Ucraina e commemorare, come suo “primo” canonico, “in primo luogo” il patriarca ecumenico nella Divina Liturgia. La non osservanza di questi limiti fondamentali costituisce usurpazione di un’altra giurisdizione. L’esistenza di questi limiti in tutti i testi ufficiali esistenti testimonia che la Chiesa di Costantinopoli non ha mai rinnegato de jure i suoi diritti canonici sulla Chiesa di Ucraina. Bisogna, inoltre, che sia ribadito anche uno dei basilari principi del diritto, cioè che chi ha redatto un Atto ha la priorità assoluta nella sua interpretazione. Di conseguenza, nel caso specifico, l’interpretazione degli Atti Patriarcali e Sinodali appartiene principalmente al Patriarcato Ecumenico.
Il Patriarcato Ecumenico ha, quindi, il diritto ed è obbligato a prendere la dovuta cura materna nei confronti della Chiesa di Ucraina in ogni situazione che giudichi necessaria.
[1] Darrouzès, Notitiae episcopatuum Ecclesiae Constantinopolitanae, Paris, 1981, p. 388.
[2] В. Г. Ченцова (V. G. Tchentsova), Синодальное решение 1686 г. о Киевской митрополии, Древняя Русь. Вопросы медиевистики 2 [68] (2017) 100-102.
[3] Собранiе государственныхъ грамотъ и договоровъ, хранящихся въ государственной коллегiи иностранныхъ дѣлъ, Часть четвертая, Москва, 1826, pag. 514-517.
[4] Архив Юго-Западной России, Часть 1, Том V, Киев, 1859, pag. 166-193.
[5] Δοσιθέου, Πατριάρχου Ἱεροσολύμων, Ἱστορία περί τῶν ἐν Ἱεροσολύμοις Πατριαρχευσάντων, Βιβλ. 11, § 28, ΤΟΜΟΣ ΣΤ’, (ἐκδ. Βασ. Ρηγοπούλου), 1983, pag. 240
[6] Οἱ ὅροι «γέρων» καί «προεστώς» προέρχονται ἀπό τήν μοναστηριακήν ὁρολογίαν καί δηλώνουν πνευματικήν σχέσιν. Βλ. Παντελεήμονος Καρανικόλα, Κλείς Ὀρθοδόξων Κανονικῶν Διατάξεων, 1979, pag. 298-299.
[7] Лурье, В., Русское православие между Киевом и Москвой очерк истории русской православной традиции между XV и XX веками, Москва, 2009.
[8] Vedi: K. Vetochnikov, «La “concession” de la métropole de Kiev au patriarche de Moscou en 1686: Analyse canonique», Proceedings of the 23rd International Congress of Byzantine studies, Belgrade, 22–27 August 2016 : Round Tables, Editors Bojana Krsmanović, Ljubomir Milanović, Belgrade 2016, pag. 780-784.
[9] Ὁ Πατριάρχης Δοσίθεος προέτεινε κατά τάς διαπραγματεύσεις ὡς πρότυπον τούς κανόνας Ἀγκύρας 13, Ἀντιοχείας 10 καί Ζ’ Οἰκ. 14. Πλησιέστερον χρονικῶς πρός τήν «Πρᾶξιν» τοῦ 1686 παράδειγμα χορηγήσεως ἀδείας πρός χειροτονίαν εἶναι τό χρυσόβουλον τοῦ 1651, μέ τό ὁποῖον ὁ Οἰκουμενικός Πατριάρχης δίδει ἄδειαν εἰς τόν Μητροπολίτην Φιλαδελφείας Ἀθανάσιον Βαλεριανόν, διαμένοντα εἰς τήν Βενετίαν, νά χειροτονῇ τόν Κεφαλληνίας καί τῶν Κυθήρων λόγῳ τῶν ἐχθροπραξιῶν μεταξύ Βενετίας καί Ὀθωμανῶν, αἱ ὁποῖαι δέν ἐπέτρεπαν τήν χειροτονίαν αὐτήν ἀπό τόν Μονεμβασίας (περίπτωσις ἀνάλογος πρός ἐκείνην τοῦ Κιέβου τό 1686). Τό χρυσόβουλον αὐτό ἔχει, κατά τούς ἐρευνητάς, πολλάς ὁμοιότητας πρός τήν «Πρᾶξιν» τοῦ 1686 καί, ἴσως, ἀπετέλεσε τό πρότυπον διά τήν σύνταξιν τοῦ ἐγγράφου περί τῆς μητροπόλεως Κιέβου. Vedi. V. G. Tchentsova, pag.. 94 e seg.
[10] Vedi: Καλλινίκου Δεληκάνη, Ἐπίσημα ἐκκλησιαστικά ἔγγραφα τοῦ Οἰκουμενικοῦ Πατριαρχείου, Τομ. Γ’, 1905, pag. 24: «Συνοδικόν Χρυσόβουλον ἤ Τόμος …»
[11] Vedi:. V. G. Tchentsova (vedi nota 2), pag. 98.
[12] Vedi: Κυζίκου Καλλινίκου (Δεληκάνη), «Ἡ αὐτοκέφαλος Ἐκκλησία Πολωνίας», Ἐκκλησία, 1924, pag. 6
[13] Lo stesso.
[14] Vedi: Ράλλη – Ποτλῆ, Σύνταγμα τῶν Θείων καί Ἱερῶν Κανόνων, ΙΙ, 1852, pag. 259 e seg. e 361.
[15] Οἱ κανόνες, οἱ ὁποῖοι παραβιάζονται εἰς τήν περίπτωσιν αὐτήν εἶναι πολλοί, ὅπως οἱ 35 τῶν Ἁγίων Ἀποστόλων, 13 καί 22 τῆς Ἀντιοχείας, 15 τῆς Σαρδικῆς, 2 τῆς Β’ Οἰκ. κ.ἄ.
[16] Καλλινίκου Δεληκάνη, Ἐπίσημα ἐκκλησιαστικά ἔγγραφα, Τομ. Β’, 1904, pag. 217
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