Introduzione
Oggi tutte le metropoli greche e quasi tutti i grandi monasteri hanno il loro sito internet e quasi tutti aprono con una solenne aquila bicefala, segno del Patriarcato di Costantinopoli e delle varie metropoli greche. L’aquila bicefala si vede dappertutto: dalle bandiere che sventolano nelle chiese e negli edifici della metropoli, alle macchine dei metropoliti, ai pavimenti delle chiese, ai paramenti sacri.
Come si sa, l’aquila a due teste era il simbolo dell’impero nell’ultimo periodo della sua esistenza.[1] Il fatto che la Chiesa ortodossa greca lo abbia adottato come proprio simbolo, oltre a significare il legame sentimentale con l’impero bizantino e la sua cultura e quello reale con lo Stato greco d’oggi, sta anche a indicare la sua persuasione, colma di conseguenze, di continuare oggi la ρωμιοσύνη (romanicità), cioè di possedere la coscienza di continuare la civiltà greco-romano-cristiana come fu vissuta dal genio di Bisanzio e di offrirla come anima e come identità all’attuale nazione greca.
Ai tempi della turcocrazia, infatti, la Chiesa costituiva l’elemento di coesione dei popoli ortodossi sotto il dominio ottomano, perché – come è noto – dopo il 29 maggio 1453 quando Maometto II conquistava Costantinopoli, i cristiani della città come quelli sottomessi a tutto l’impero diventarono un millet, cioè un’unità etnica sotto l’amministrazione religiosa e politica dei loro capi ecclesiastici.[2] Così gli ottomani governavano i cristiani per mezzo del Patriarca e dei vescovi, dando la possibilità alla Chiesa di costituire l’unica coscienza etnica dei cristiani ortodossi.
Il Patriarca, oltre che capo religioso, era anche considerato dagli ottomani il millet-basi, cioè il capo dell’etnia (εθνάρχης) per milioni di ortodossi. Era lui responsabile di fronte al sultano per la popolazione cristiana.[3]
Scrive lo storico inglese Philip Sherrard, profondo conoscitore non solo della storia greca antica, ma anche di quella moderna: «Il fatto che il sultano, secondo la tradizione islamica, considerava i suoi sudditi di religione cristiana ortodossa, come “etnia” [millet], di cui la testa, non solo spirituale, ma anche civile, era il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha avuto come conseguenza che furono concessi ai Patriarchi dei privilegi che, dentro determinati limiti, davano loro la responsabilità per tutta l’amministrazione politica ed ecclesiastica di questa “etnia” cristiana. In pratica il Patriarca, associando i poteri dell’imperatore e del Patriarca, finiva per diventare il capo di uno stato nello stato. Mentre gli stessi cristiani ortodossi, protetti dalla sacra legge islamica che assicurava loro la libertà di religione proibendo il proselitismo forzato per i “popoli del Libro” che erano sottomessi al dominio maomettano, erano essenzialmente liberi di regolare da soli le loro faccende politiche e religiose […] In genere, si potrebbe affermare che i paesi che appartenevano alla giurisdizione del Patriarca costituivano, in un senso limitato, una ricostituzione di Bisanzio».[4]
è proprio a causa di questi privilegi che i Patriarchi e i vescovi non accoglievano di buon grado i movimenti indipendentisti del sec. XVIII. Infatti questi minacciavano i loro interessi. Anzi, abbiamo dei casi in cui i Patriarchi di Costantinopoli condannavano come anticristiano ogni tentativo di sollevazione contro il potere turco.[5]
Il caso più noto è quello del Patriarca Gregorio V, che, insieme al Patriarca di Gerusalemme Policarpo e ad altri 21 metropoliti, condannò la rivoluzione greca con un documento che fu letto il 4 aprile (domenica delle Palme) 1821 in tutte le chiese greche di Costantinopoli.[6] Tuttavia, ciò non impedì ai turchi di impiccarlo una settimana più tardi, l’11 aprile giorno di Pasqua.[7]
Fatti come questi determinarono un progressivo distacco degli spiriti illuminati greci viventi all’estero dal Patriarcato di Costantinopoli e dalla Chiesa ufficiale, cosicché, dopo l’indipendenza, la Chiesa perse il suo ruolo predominante nella società greca benché avesse contribuito in maniera determinante alla liberazione della Grecia dal giogo turco.
La Chiesa ortodossa greca e la rivoluzione contro i turchi
La rivoluzione greca era stata preparata dal punto di vista ideologico e organizzativo da grandi uomini di origine greca che vivevano all’estero, come Rigas Fereos, Adamantios Korais, Anthimos Gazis. Alcuni di questi, come Adamantios Korais (1748-1833), esercitarono un grande influsso anche sulla costituzione giuridica della Chiesa nel nuovo Stato greco. Non v’è dubbio, però, che la Chiesa greca abbia giocato un ruolo predominante nella lotta di indipendenza dal giogo turco. Tanto è vero che si considera come inizio della rivoluzione il 25 marzo 1821, giorno in cui il metropolita di Patrasso, Germano, innalzava un labaro con la croce nel monastero della Grande Laura nel Peloponneso.[8]
Si può anche affermare che, a causa del massiccio intervento di metropoliti, di preti e di monaci e del carattere religioso che se ne dava, la «rivoluzione era diventata una guerra sacra».[9] Il metropolita Germano – afferma uno studioso di quel periodo – tornò a Patrasso «a capo di mille contadini armati. Davanti alla croce marciavano preti e monaci, i quali promettevano la corona del martirio a quanti perdevano la vita combattendo i turchi. I cristiani si sono sollevati in tutto il Peloponneso, come pure nell’Attica e nella Beozia… Alcuni sacerdoti battezzavano alcuni bambini turchi per vendicarsi del fatto che i turchi avevano imposto la circoncisione ad alcuni ragazzi greci. La notte i monaci conducevano l’esercito con il trisagio».[10]
Nel 1821 sul Monte Athos vivevano 6.000 monaci. La Santa Montagna era armata con armi anche pesanti per difendersi dai pirati. Però non prese parte ufficialmente alla rivoluzione. I monaci decisero di aderire singolarmente e perciò la metà di questi lasciarono i loro monasteri per aiutare la rivoluzione.
In genere, si può dire che tutti i monasteri aiutarono l’insurrezione. Il primato in quest’opera spetta tuttavia al monastero di Mega Spileon, nel Peloponneso, allora uno dei più grandi e più ricchi della Grecia, che aiutò gli insorti con tutti i mezzi a sua disposizione. Settanta monaci combatterono come soldati. Si fusero le campane e persino le maniglie delle porte per farne delle armi.
I monasteri si aprivano per accogliere i feriti e i profughi. Durante l’intera guerra di liberazione si dice che caddero in battaglia circa 6.000 preti, monaci e anche molti vescovi.
La Chiesa ortodossa dopo la liberazione
Per aver pagato un prezzo così alto per il buon esito dell’insurrezione la Chiesa sperava di conservare nel nuovo Stato greco quella posizione di privilegio che, per altre ragioni, aveva goduto sotto il dominio turco. Di fatto, ciò si dimostrò praticamente impossibile. Il primo governatore del nuovo Stato greco fu Ioannis Kapodistrias (dal 1828 al 1831), che era stato in precedenza ministro degli esteri dello zar di Russia, ove la Chiesa era pienamente soggetta allo Stato. Egli, pur manifestando tutta la propria buona volontà di riformare la Chiesa, intendeva edificare uno Stato moderno secondo il modello europeo e, per prima cosa, fondò dei tribunali civili, sottraendo così al clero uno dei più importanti privilegi che esercitava da secoli su delega del dominatore turco.
Durante il governatorato di Kapodistrias, due sono i fatti di maggiore rilievo per quanto riguarda la Chiesa greca: la progressiva perdita del suo influsso con la conseguente sottomissione allo Stato e il distaccarsi di fatto dalla giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli.
Per quanto riguarda il primo dato, è interessante riportare le osservazioni del ministro francese, barone Jucheran de St. Denis. Egli, nell’aprile del 1829, scriveva al governo greco: «Nonostante il clero greco con grande zelo e con grande coraggio abbia cercato di rafforzare gli ideali rivoluzionari dei greci contro i loro tiranni, il suo influsso politico sul popolo e sul governo si può considerare inesistente […] Questa mancanza di stima alla quale vanno soggetti si può attribuire alla loro povertà e alla loro ignoranza. Non hanno nessuna risorsa. Vivono come se stessero ancora sotto il dominio turco e dipendono dalle incerte risorse che provengono dalla filantropia dei fedeli. Gli averi dei monasteri non solo non aumentano, ma piuttosto diminuiscono, perché, secondo i canoni antichi, hanno offerto una parte dei loro beni a soldati feriti e a persone senza tetto».[11]
Questa era la situazione della Chiesa greca alla morte di Kapodistrias, assassinato a Nauplia da due suoi avversari politici (27 settembre 1831), mentre usciva dalla chiesa.[12]
L’assassinio di Ioannis Kapodistrias gettò il paese nel caos. Le tre «Potenze Protettrici» (Russia, Francia, Gran Bretagna) decisero, perciò, di dare alla Grecia un re straniero. Questi fu Ottone I, figlio secondogenito del re di Baviera Ludovico I.[13] Egli regnò sulla Grecia, paese povero e spopolato,[14] per ben 30 anni (1833-1862). Era cattolico e restò tale nonostante tutte le pressioni politiche della Russia ortodossa, che lo spingeva ad abbracciare la religione del suo popolo.
Quando arrivò in Grecia, Ottone aveva 17 anni. In attesa che raggiungesse la maggior età, trascorsero tre anni di reggenza che si rivelarono decisivi per il futuro della Chiesa greca.
La situazione era quanto mai particolare: un re cattolico bavarese veniva a trovarsi tra sudditi a stragrande maggioranza ortodossi: e con due reggenti, Georg Ludwig von Maurer, figlio di un pastore protestante, luterano e liberale lui stesso, e il conte Joseph von Armansberg, cattolico, liberale e massone.
Questi ultimi, avendo come modello le Chiese protestanti della Germania e la Chiesa cattolica bavarese, che erano sottoposte alla giurisdizione dello Stato, procedettero alla piena sottomissione della Chiesa greca allo Stato. Per realizzare questo progetto era necessario superare sia la dipendenza giuridica dal Patriarcato di Costantinopoli sia il forte influsso del monachesimo. A tale scopo, due eruditi personaggi greci, avendo compiuto eccellenti studi in Europa, ma staccati dalla tradizione bizantina, fornirono le basi ideologiche per il grande passo. Si trattava del laico Adamantios Korais (1748-1833) e del monaco e sacerdote Theoclitos Farmakidis (1784-1860).
L’autocefalia della Chiesa greca
Per il fatto che la giovane nazione greca si era liberata dai turchi in maniera violenta e il Patriarcato rimaneva ancora a Costantinopoli, capitale dell’impero ottomano, in pratica, mancavano i contatti della Chiesa greca con il Patriarca. Se poi si aggiunge la scomunica lanciata contro la rivoluzione greca non solo da parte del Patriarca Gregorio V, ma anche del suo successore Eugenio e degli altri Patriarchi assegnati dai governi ottomani, si capisce come sembrasse ormai inevitabile l’allontanamento reale dalla Chiesa madre di Costantinopoli.[15] Infatti, in questo periodo i vescovi della Chiesa greca si riferivano al Patriarcato come se fosse vacante. Durante la messa, invece di pregare per il Patriarca, si pregava «per la gerarchia ortodossa».[16] Si può dire che esisteva un’indipendenza di fatto dal Patriarcato di Costantinopoli.[17]
Siccome i vescovi prima della rivoluzione erano eletti dal Patriarca secondo gli antichi canoni, ora le molte sedi vacanti non erano rimpiazzate da nuovi eletti, dato che l’indipendenza non ancora giuridica ma, di fatto, in quel periodo, s’identificava con lo scisma.
Lo scrittore Adamantios Korais fu uno dei personaggi che più contribuì con i suoi scritti alla liberazione del popolo greco e alla formazione della sua coscienza nazionale.[18] Personalmente egli era un uomo profondamente religioso, tuttavia, specialmente oggi, in certi ambienti ortodossi, lo si rimprovera di aver introdotto in Grecia, per quanto riguarda la Chiesa, lo spirito illuminista e laicista dell’Occidente europeo, estraneo alla tradizione del popolo greco.[19]
Egli sarebbe anche l’ideologo della separazione della Chiesa greca da quella di Costantinopoli. Nel 1821, infatti, scriveva: «Il clero di quella parte della Grecia già liberata dai turchi non ha più bisogno di riconoscere come capo ecclesiastico il Patriarca di Costantinopoli fino a quando Costantinopoli rimarrà infetta dalla sede dell’illegale tiranno [sede del sultano]. Bisogna che la Chiesa greca sia governata da un sinodo di sacerdoti, eletti liberamente dal clero e dai laici […] È umiliante che il libero e autonomo clero greco obbedisca agli ordini di un Patriarca eletto da un tiranno e costretto a venerare un tiranno».[20]
Fervido sostenitore di queste idee in Grecia nello stesso periodo era il sacerdote Theoklitos Farmakidis. Questi fece parte dei primi governi istituiti dai reggenti bavaresi e diresse tutta la politica ecclesiastica del governo.
Egli era del parere – come Korais – che ad uno Stato libero dovesse corrispondere una Chiesa autonoma e autocefala e ciò anche senza il consenso del Patriarcato di Costantinopoli, anzi, in maniera completamente indipendente da esso.
Dal connubio delle idee liberali di Farmakidis e di Korais e della mentalità protestante del primo ministro Maurer, nacque lo Statuto ecclesiastico che il nuovo governo greco proclamava a Nauplia il 27 luglio 1833.[21] In esso si proclamava la Chiesa greca autonoma e autocefala, senza tener per nulla presente il parere del Patriarcato.[22]
Questa autocefalia era gestita sulla falsariga della Chiesa luterana bavarese. Così nella Chiesa greca l’autorità suprema fu rappresentata dal Sinodo permanente, formato da un gruppo di cinque o sette vescovi nominati, come nel concistoro luterano, dallo Stato.
Il commissario regio sarebbe stato il rappresentante dello Stato nel Sinodo. Questi, con diritto di voto, avrebbe garantito che le decisioni del Sinodo fossero legittime, cioè, in accordo con le leggi dello Stato e gli interessi del governo. Il Ministro del culto, inoltre, sarebbe stato l’unico arbitro delle questioni riguardanti lo Stato e la Chiesa.
Così «dopo undici secoli di unità, la Chiesa greca, nello spazio di qualche ora, aveva fatto il gravissimo passo di tagliarsi fuori dal Patriarcato di Costantinopoli».[23] Praticamente si trattava di uno scisma dalla Chiesa madre di Costantinopoli, che sarebbe durato ben 17 anni, dal 1833 al 1850. Anni che avrebbero determinato in gran parte la storia ecclesiastica, teologica e canonica della Chiesa greca, praticamente fino ai nostri giorni.
La Costituzione ecclesiastica conteneva elementi positivi e negativi e le discussioni circa la sua importanza continuano ancora oggi. Quelli che la condannano, basandosi sul fatto che essa è stata fatta da stranieri, non tengono in considerazione che anche il Patriarcato non era libero da influssi esterni. Il pericolo degli interessi turchi e russi, che usavano le dignità ecclesiastiche in Grecia per i loro interessi nazionali, era una realtà nota a tutti. Da questo punto di vista si può affermare che la Costituzione ecclesiastica aveva evitato questo rischio.
D’altra parte, come si è già accennato, la Chiesa greca aveva cercato di separarsi dal Patriarcato prima del 1833. Difficoltà di comunicazione con Costantinopoli e una specie di avversione per il Patriarcato, per cui il nome del Patriarca non si menzionava nella messa, indicavano che si era venuta a creare una specie di separazione pratica da Costantinopoli. Di questo fatto non erano responsabili gli «stranieri». Maurer non aveva fatto altro che confermare un dato di fatto.
La sua vera colpa fu quella di fare della Chiesa un organo sottomesso ad uno Stato assoluto. L’errore di fondo suo e dei suoi collaboratori consisteva nel fatto che essi interpretavano l’unità della Chiesa come dipendenza politica e, arbitrariamente e violentando la verità storica, confondevano il sistema sinodale della Chiesa ortodossa con i sinodi protestanti. Questo fatto avrebbe avuto gravi conseguenze negative per la coscienza ecclesiologica della Chiesa e della teologia greca, almeno in quei tempi, ma con strascichi che arrivano fino al presente.
Bisogna notare che la Chiesa greca fu la prima a proclamare la sua indipendenza dal Patriarcato, e a dare, per così dire, il «cattivo esempio» ad altre Chiese dei nuovi territori balcanici, i quali, man mano che acquistavano la loro indipendenza dalla Turchia, creavano anch’essi le loro Chiese di Stato.
Infatti, in pratica, la Chiesa greca era diventata una «Chiesa di Stato» (Staatskirchentum),[24] isolata dalle altre Chiese d’Oriente, perdendo così il senso della cattolicità, dell’ecumenicità, e chiudendosi sempre di più in un provincialismo religioso che – si può affermare – non è stato superato neppure oggi; anzi proprio questa frammentazione amministrativa dell’ortodossia appare ai nostri giorni in tutta la sua debolezza.
Le reazioni a tale stato di cose non sono mancate fin da principio. Il gruppo che si opponeva alla politica religiosa di Farmakidis era capeggiato da Costantino Oiconomos, un uomo di grande cultura e di grande fede. Il contrasto tra i due, però, fu interpretato come lotta tra il progressismo (Farmakidis) e il conservatorismo (Oiconomos).[25]
Perdeva così il suo vero significato, quello del progressivo introdursi in Grecia dello spirito illuminista e laicista dell’Europa del XIX sec., uno spirito estraneo alla tradizione del popolo e della Chiesa greca, che lascerà a lungo il suo segno anche nella teologia. Da una parte, saranno i tentativi di portare in teologia un intellettualismo privo di cuore e, dall’altra, l’impegno per conservare una teologia più vicina alle sue radici patristico-bizantine.[26]
Lo stato di separazione canonica da Costantinopoli durerà fino al 1850, quando il Patriarca con il suo «Sinodo Endemusa» (permanente), mediante il Tomo Sinodale, riconoscerà la Chiesa greca come «autocefala». Spiritualmente essa sarà in comunione con il Patriarcato, mentre la sua amministrazione dipenderà dal «Sacro Sinodo della Chiesa greca», presieduto dal Metropolita di Atene[27] e composto da tutti i metropoliti dei territori già liberati dai turchi.[28]
Tuttavia il Parlamento, nell’approvare il Tomo Sinodale, votò due leggi con le quali si assicurava ancora il controllo della Chiesa. Nessuna decisione del Sinodo Permanente poteva aver valore senza che fosse stata approvata dal commissario regio.
In seguito, le relazioni tra Chiesa e Stato sono state migliorate con diverse Carte Costituzionali della Chiesa della Grecia. L’ultima in ordine di tempo è quella del 1977 e attualmente se ne sta preparando una nuova.
In concomitanza con una revisione della Costituzione si sta assistendo ad un appassionato dibattito sull’opportunità o meno di separare la Chiesa greca dallo Stato. La gerarchia greca insiste sul fatto che sarebbe estremamente pericoloso questo divorzio tra Chiesa e Stato, perché, nel caso si realizzasse tale separazione, l’etnia greca perderebbe la sua identità e la sua coscienza nazionale, con grave pericolo per la sua stessa «sopravvivenza».
Vogliamo qui ricordare alcuni degli articoli dell’attuale Carta Costituzionale della Chiesa della Grecia, perché denotano una mentalità di fondo e rivelano l’atmosfera che attualmente si respira in Grecia riguardo alla religione. Non si tratta, infatti, di un «Concordato» tra lo Stato greco e la Chiesa ortodossa greca, ma di una legge dello Stato, discussa e approvata dal Parlamento greco e non dall’autorità ecclesiastica. Possiamo così renderci conto di come, malgrado i grandi progressi fatti, la Chiesa greca sia ancora sotto l’influsso del potere civile. Maurer e Farmakidis non sono morti del tutto.
L’Art. 1 par. 1 stabilisce: «La Chiesa della Grecia è divinamente fondata e ha come Capo il nostro Signore, è inseparabilmente unita, dal punto di vista dogmatico, alla Grande Chiesa di Costantinopoli e a tutte le altre Chiese ortodosse, è in armonia con la sacra Scrittura e conserva fermamente, come le altre Chiese ortodosse, i dogmi, i sacri canoni apostolici e sinodali come pure le sacre tradizioni». L’art. 1 par. 2 dice: «La Chiesa della Grecia è autocefala, si autoamministra mediante i metropoliti in servizio a tenore degli articoli della Costituzione che si riferiscono alla religione».
L’art. 2 stabilisce: «La Chiesa della Grecia coopera con lo Stato quando si tratta di questioni di interesse comune, come l’educazione cristiana della gioventù, il servizio religioso nell’esercito, l’elevazione dell’istituzione del matrimonio e della famiglia, la cura per l’assistenza dei bisognosi, la conservazione dei sacri cimeli e dei monumenti cristiani, lo stabilire nuove feste religiose, domanda la protezione dello Stato ogni qualvolta viene offesa la religione».
E l’art. 3 asserisce: «Autorità suprema della Chiesa della Grecia è il Sacro Sinodo della Gerarchia, composto dal suo presidente, l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, e da tutti i vescovi che hanno la cura pastorale delle metropoli. L’organo amministrativo ordinario è il Sinodo permanente». Le sue decisioni non acquistano valore di legge se non sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dello Stato. I parroci e i metropoliti sono impiegati statali.
Anche la Costituzione greca del 1975, che incomincia «Nel nome della santa, consustanziale e indivisibile Trinità», si occupa largamente di cose squisitamente religiose, fino a proibire la traduzione della Bibbia in greco moderno senza il consenso del Sacro Sinodo e del Patriarca di Costantinopoli e senza riportare accanto il testo originale della Settanta. L’art. 3 par. 3, infatti, stabilisce: «Il testo della sacra Scrittura si conserva intatto. La sua traduzione ufficiale in altre lingue è proibita senza l’approvazione della Chiesa autocefala della Grecia e della Grande Chiesa di Cristo di Costantinopoli».
La riduzione del monachesimo
Il monachesimo, dopo la formazione dello Stato greco, nonostante una certa ripresa nel numero dei monaci e dei monasteri, aveva bisogno di una riforma urgente. Perciò la prima lettera enciclica del Sacro Sinodo trattava proprio della riforma dei monasteri. I monaci avevano certo grandi meriti per il loro apporto alla lotta di liberazione e la loro offerta di sangue. Lasciavano, però, molto a desiderare per quel che riguardava la disciplina monastica. Spesso essi giravano di città in città e, mostrando icone e reliquie, predicavano e raccoglievano soldi per i monasteri. Il Sacro Sinodo proibì loro, perciò, di spostarsi senza il permesso del loro igumeno (abate), e di predicare senza l’approvazione del vescovo locale.
Dei monasteri si interessava, tuttavia, anche il governo. In quell’epoca, infatti, un quarto della terra coltivabile in Grecia apparteneva alla Chiesa e specialmente ai monasteri.[29]
Lo Stato, estremamente privo di mezzi, era intenzionato ad appropriarsi di queste terre e a ridurre sensibilmente il numero dei monaci.
D’altra parte, i monaci erano i più accaniti avversari della Costituzione ecclesiastica del 1833 e in politica parteggiavano per il partito filorusso; andava perciò ridotta la loro opposizione per completare la sottomissione della Chiesa allo Stato.
Si cominciò con il ridurre i privilegi concessi ai monasteri dalle autorità precedenti, persino dai turchi. Si proibì di celebrare nei monasteri i sacramenti del battesimo e del matrimonio, e si rese difficile la libera elezione degli igumeni.
Nel tentativo di ridurre i monasteri, si iniziò da quelli che avevano subito gravi danni durante la guerra o erano stati abbandonati completamente, e da quelli che erano abitati da un numero esiguo di monaci. Per questo il Sacro Sinodo (composto per di più da metropoliti fedeli a Maurer e a Farmakidis) aveva suggerito di chiudere tutti i monasteri che avessero meno di tre monaci.
La Reggenza, però, innalzò il numero a sei, e, con decreto del 25 settembre 1833, il governo chiudeva tutti i piccoli monasteri del paese. Il decreto disponeva la chiusura anche dei monasteri danneggiati dalla guerra indipendentemente dal numero dei monaci.[30]
Complessivamente i monasteri soppressi furono 412. Le loro grandi proprietà furono incamerate dallo Stato. Di quasi 8.000 monaci ne erano rimasti meno di 2.000, che dovevano stabilirsi nei circa 148 monasteri rimasti.[31] Alla fine. i monasteri si erano ridotti a ottanta, che – secondo Maurer – era ancora «un numero relativamente molto alto per la popolazione della Grecia».[32]
Questi erano sottoposti a pesanti tasse sia dal governo centrale, sia da quello locale. Le tasse erano raccolte da persone private incaricate dall’autorità governativa, che, in maniera molto soggettiva, dovevano stimare il valore dei beni monastici e, secondo questa valutazione, prelevare la tassa e prendere pure i propri proventi. Si possono immaginare gli abusi e lo sfruttamento subiti dai monasteri.[33]
A quanto pare, il Governo bavarese, in questo suo infierire contro i monasteri aveva anche un certo sostegno popolare. Infatti, stando al viaggiatore inglese William Mure, che visitò la Grecia nel 1838, l’opinione pubblica di quell’epoca non aveva una grande stima dei monaci. Parlando con la gente, si era fatto l’idea che «in genere i monasteri erano considerati come semplici alveari di inutili fuchi. Approvavano il Governo per quanto aveva già fatto per la loro riduzione e speravano che ben presto il paese si sarebbe liberato definitivamente da loro».[34]
I cattolici latini, la rivoluzione e i rapporti con la Chiesa ortodossa greca
Non è senza interesse accennare all’atteggiamento dei cattolici latini delle isole greche di fronte all’insurrezione greca.
Nel 1821 i cattolici delle isole dell’Arcipelago greco erano circa 16.000. La maggior parte di essi si trovava a Syros, Tinos, Santorini e Naxos. Altri vivevano nelle isole Ionie, specialmente a Corfù e a Cefalonia. Erano discendenti dei crociati, dei veneziani e dei franchi, ma molti anche erano veri greci convertiti al cattolicesimo. L’isola di Tinos era caduta nelle mani dei turchi solo nel 1714.
Al contrario degli ortodossi che erano riconosciuti come millet, i cattolici sarebbero stati in balìa dei vari signorotti turchi se non fossero stati protetti dalla Francia. Perciò si sentivano più vicini alla Francia e all’Italia che al millet ortodosso. Del resto, la maggior parte dei vescovi di queste isole erano italiani.[35]
Le relazioni tra cattolici e ortodossi fino alla fine del secolo XVIII erano buone. A partire, però, dall’inizio del secolo seguente erano diventate tese, per non dire piene di animosità. Una parte accusava l’altra di perseguitare i suoi fedeli. Il matrimonio tra i membri delle due comunità era quasi impossibile. Il clero era quello che più si accaniva nel contrasto, ma anche i semplici fedeli delle due confessioni si erano allontanati l’uno dall’altro, tanto da non voler partecipare reciprocamente alle feste delle due comunità.
Era questa la situazione quando scoppiò la rivoluzione caldeggiata con tanto entusiasmo dalla Chiesa ortodossa. I cattolici erano più attaccati alla loro fede che alla loro cultura e alla lingua greca. Essi, che si sentivano respinti dalla comunità ortodossa, avevano paura che, come minoranza, una volta nominato il nuovo Stato greco indipendente, sarebbero stati discriminati. Era questo uno dei maggiori motivi per cui, almeno all’inizio, non vollero partecipare all’insurrezione. A Tinos, durante i primi anni della rivoluzione, essi continuavano a pagare le tasse al Sultano nonostante la Chiesa ortodossa si opponesse con forza.[36]
Nell’isola di Naxos, il metropolita ortodosso, dopo una processione alla testa della quale marciavano due preti con le spade sguainate, esortò tutti a prendere parte alla rivoluzione. Al rifiuto dei cattolici di parteciparvi, il metropolita aizzò la folla affinché sterminassero questi ultimi insieme ai turchi. I cattolici, per salvarsi, si barricarono all’interno delle chiese e dei monasteri.[37]
A Syros, dove allora la quasi totalità della popolazione era cattolica, si continuava a innalzare sopra le chiese la bandiera francese.[38] «Il risultato di questo atteggiamento dei cattolici era l’amarezza che aumentava tra cattolici e ortodossi. Si susseguivano accuse e contro accuse, c’erano congiure, assassini e tutto questo ratificato dalla convinzione che ognuno avesse Dio e il giusto dalla sua parte».[39]
Il 18 maggio 1821 il Governo provvisorio rivolgeva ai cattolici la seguente lettera: «Cristo ha comandato l’amore del prossimo. Ma chi è a noi più prossimo di voi, nostri concittadini, benché ci siano alcune differenze nei riti? Noi abbiamo l’unica patria, siamo di un unico popolo; noi cristiani della Chiesa orientale e della Chiesa occidentale siamo fratelli per la Santa Croce, sotto la cui bandiera facciamo la guerra santa per la liberazione della Grecia dalla potenza dei barbari. Perciò insorgete con i vostri fratelli di rito orientale! Lo stesso sole splende sul nostro orizzonte e c’illumina coi suoi raggi; noi siamo figli dello stesso suolo, la stessa tribolazione ha pesato da secoli sopra di voi come sopra di noi. I vostri nomi devono splendere accanto ai nostri nella storia di questa guerra memorabile».[40]
Anche più tardi, quando lo Stato greco si stava organizzando, si cercò di far capire ai cattolici che non avevano niente da temere dalla nuova situazione venutasi a creare con la rivoluzione e, anzi, dovevano anch’essi contribuire alla lotta.
Nell’estate del 1823 il ministro greco degli interni scriveva ai cattolici: «Solo le nazioni barbare collegano la religione con la nazionalità, in maniera tale che piccole differenze religiose creino delle divisioni. La Costituzione greca dice che tutti i cristiani [viventi nel territorio greco] sono greci. Per conseguenza, cristiani della Chiesa d’Occidente che abitate in Grecia siete parte integrante della nostra Nazione».
In seguito, la lettera esorta i cattolici a pagare le tasse e conclude: «Non è più ammissibile per chiunque parli in greco e viva in terra greca, credere di far parte della nazione francese o austriaca perché capita che sia cristiano occidentale. Bisogna convincersi che una nuova situazione è venuta a crearsi».[41]
Il contenuto di questa lettera è molto più moderno e più obiettivo di tante prese di posizione religioso-nazionaliste di parecchi greci di oggi. In tutti i casi, la posizione dei cattolici non cambiò molto e ciò scatenò contro di loro l’ira degli storici greci di ieri e di oggi.
A parte il fatto che i cattolici greci in seguito hanno contribuito con coscienziosità alla costruzione del nuovo Stato greco, non è senza significato l’osservazione di Hofmann: «Invero, come ai Patriarchi greci di Costantinopoli, Gregorio V, Eugenio II, Antimo III, che hanno pubblicato lettere pastorali contro i greci insorti, si concede legittima scusa anche dai greci ortodossi, l’equità e anzi la giustizia esigono che non si condannino i greci cattolici senza aver considerato i gravi motivi che avevano per un rifiuto».[42]
Per questo studioso gesuita i cattolici delle isole, oltre ai motivi più sopra riferiti, si aggiunge il fatto che essi non avevano libertà di opzione. Infatti, essi non potevano svolgere un’attività contraria alle Potenze protettrici, la Francia e l’Austria, che consideravano ogni insurrezione come una minaccia contro lo status quo garante della loro tranquillità politica. D’altra parte – fa notare lo stesso studioso – i cattolici greci, se non presero parte direttamente al conflitto, non fecero niente per impedirlo, la loro fu una prudente neutralità per non essere abbandonati dai loro protettori e così, esigua minoranza quale erano, non essere massacrati dai turchi.
D’altra parte, i timori dei cattolici greci, che avrebbero avuto difficoltà nella nuova situazione politica, non erano infondati. Nell’isola di Chios 54 famiglie cattoliche domandarono l’aiuto dei francesi per mezzo dei cattolici di Smirne, perché le loro case erano state saccheggiate e derubate dai greci ortodossi che consideravano i cattolici come loro nemici.[43]
La loro situazione non cambiò molto neppure con il primo re della Grecia, Ottone di Baviera, un cattolico convinto. La politica di Ottone e dei suoi consiglieri, infatti, era quella di non manifestare pubblicamente la fede cattolica del re e di non favorire i suoi sudditi cattolici. Abbiamo molti esempi di discriminazione contro i cattolici in quel periodo.
Il problema giuridico dei cattolici greci si risolverà con il cosiddetto Protocollo di Londra del 1830, sottoscritto dalle tre potenze protettrici della Grecia (Gran Bretagna, Francia e Russia), in cui si riconoscono ai cattolici delle isole e della terraferma il diritto di esercitare liberamente e pubblicamente il proprio culto, di rispettare i possedimenti della Chiesa e i diritti e i privilegi della gerarchia. Insomma, la Chiesa cattolica in Grecia doveva continuare a godere di tutte quelle libertà e di quei privilegi di cui usufruiva durante il dominio turco sotto la protezione e la garanzia della Francia.
Il Protocollo di Londra fu ratificato il 28 febbraio del 1832 dal Convegno Nazionale dei greci tenutosi a Nauplia allora capitale del giovane Stato.[44]
La situazione della Chiesa greca ortodossa oggi
Oggi benché l’ortodossia nel territorio greco appaia all’esterno come una Chiesa omogenea, in realtà non si presenta in maniera uniforme per quel che riguarda la sua amministrazione interna. Esiste la Chiesa greca del territorio principale greco con il suo Santo Sinodo di cui è a capo l’arcivescovo di Atene.
A questa Chiesa si aggiungono le metropoli di Tessalonica, di Giannina, e le altre cosiddette «Nuovi Territori», cioè quelle province che, dal punto di vista politico, sono state aggiunte allo Stato greco dopo le guerre di indipendenza del 1912-13.
Questi «Nuovi Territori» di per sé appartengono alla giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli; però esso, con l’Atto Sinodale del 4 settembre 1928, affidò il governo di tali province alla Chiesa greca, pur – come afferma lo stesso documento –: «tenuti presenti i diritti canonici supremi relativi a queste province del santissimo trono Patriarcale ecumenico».
Esiste anche il sinodo della Chiesa di Creta, completamente indipendente da quello greco dal punto di vista amministrativo. Tuttavia, benché esista in Grecia più di un sinodo, nell’economia generale dell’ortodossia, la Chiesa ortodossa del territorio greco è considerata un’unica Chiesa negli incontri panortodossi ed ecumenici.
Oggi si nota nella Chiesa greca una netta ripresa in molti campi. Il monachesimo maschile e femminile è in aumento sia nel numero che nella qualità. Si incontrano sempre più monaci e monache che provengono dall’università e, spesso, sono ben preparati anche in teologia. S’incontrano più spesso metropoliti di grande preparazione culturale, che svolgono notevoli attività pastorali e caritative. Non è fenomeno raro trovare dei preti che abbiano svolto gli studi superiori e conducano una intensa attività pastorale nelle loro parrocchie.
Il Sacro Sinodo, in collaborazione con lo Stato greco e con la Facoltà teologica di Atene, nel 1939 fondò l’organizzazione ecclesiastica Apostoliki Diakonia (Servizio Apostolico), con il compito della predicazione delle missioni interne, dell’evangelizzazione mediante la stampa. Pubblica il giornale settimanale Ekklisiastiki Alithia. Il suo organo pubblico è Ekklisia, distribuito insieme ad una rivista per i parroci intitolata Efimerios.
Quasi tutte le metropolie hanno bollettini propri, alcuni molto ben fatti come quello della Metropolia del Pireo. Parecchie di loro possiedono anche stazioni radiofoniche che trasmettono programmi di grande interesse culturale e religioso.
Questi aspetti positivi, ed altri, che la Chiesa greca presenta al suo attivo, non l’hanno liberata ancora da alcune strettoie che compromettono seriamente il suo sforzo di rinnovamento. Secondo il nostro parere le malattie croniche della Chiesa ortodossa greca sono tre: la stretta dipendenza dallo Stato, il suo esagerato nazionalismo, la sua chiusura ecumenica e, quindi, la mancanza di rispetto per le minoranze religiose.[45]
La Costituzione garantisce la libertà di culto e di espressione per le religioni riconosciute ufficialmente come tali. Tuttavia, per costruire un luogo di culto non ortodosso si richiede il permesso del locale metropolita ortodosso, il quale quasi sempre lo rifiuta!
Il proselitismo diretto è proibito e costituisce un delitto punibile con il carcere. Un cattolico greco, per es., non può frequentare la facoltà teologica delle Università di Stato. I cattolici hanno dovuto lottare per diventare maestri di scuola elementare, incarico vietato loro fino a qualche anno fa per paura che non insegnassero ai bambini la religione ortodossa.
Ancora recentemente il Governo greco fu obbligato a riconoscere la Chiesa cattolica come ente morale di diritto pubblico da una recente sentenza della Corte Europea di Strasburgo. Tuttavia il problema non è stato ancora risolto. Altri problemi sono in fase di soluzione attraverso il dialogo della gerarchia cattolica greca con il Governo greco. La Grecia, in quanto membro della Comunità Europea, a poco a poco è costretta a riconoscere, non solo di diritto ma anche di fatto, tutte le libertà delle minoranze religiose del suo territorio.
Alcune difficoltà rimangono. Dal momento che non solo Chiesa, ma anche la maggior parte degli uomini politici (ad eccezione della sinistra), identificano la Grecità con l’Ortodossia e quest’ultima costituisce l’identità nazionale, il non ortodosso finisce per non essere considerato un vero greco, per cui le minoranze religiose si sentono psicologicamente isolate e discriminate.
Sebbene ci siano delle persone illuminate, aperte al dialogo e alla collaborazione con i cattolici, in genere si può dire che la Chiesa ortodossa greca sia piuttosto restia all’ecumenismo. Anzi, per alcuni teologi e qualche metropolita l’ecumenismo rappresenta la «sintesi di tutte le eresie».
Questo è dovuto alla lunga tradizione antilatina coltivata lungo tutta la storia dell’impero bizantino, ed anche dopo la caduta della capitale. Infatti, poiché il sultano temeva ancora un intervento militare da parte dell’Occidente, cosa che avrebbe interrotto le sue conquiste, esigeva, in particolar modo dal Patriarca e dagli altri vescovi, che nutrissero un forte sentimento antilatino e antipapale. Esempio classico fu il primo Patriarca eletto dagli ottomani, Georgios (Gennadios II) Scholarios, conosciuto per i suoi sentimenti antilatini. Per Scholarios la caduta di Costantinopoli segnava addirittura la definitiva vittoria sui «latinofroni», cioè su quei bizantini che desideravano un’unione con Roma.
I sentimenti antilatini erano stati provocati anche dai veneziani e dai genovesi, i quali, con le loro attività commerciali e con la loro sete di guadagno, si rendevano esecrabili alle popolazione ortodosse.[46]
Del resto, anche il comportamento dei missionari cattolici, che cercavano in tutti i modi di convertire gli ortodossi della terraferma[47] e delle isole greche al cattolicesimo, creava forte malcontento, soprattutto tra la gerarchia. Questo fatto costituì una delle cause per cui il Patriarca di Costantinopoli cessò di riconoscere la validità dei sacramenti dei cattolici.
Durante il dominio turco si riteneva valido il battesimo dei cattolici, perciò non venivano ribattezzati coloro che abbracciavano l’ortodossia; a loro si concedeva solo la crismazione. Nel secolo XVIII, però, la situazione cambiò radicalmente. Durante il quarto Patriarcato di Cirillo V, un monaco di nome Aussenzio, a causa della forte presenza di religiosi cattolici nelle isole del Mar Egeo, specialmente dei gesuiti e dei cappuccini, considerati fattore di proselitismo, sollevò la questione della validità del battesimo dei non ortodossi. Il Patriarca si schierò con lui e dichiarò nulli tutti i sacramenti della Chiesa cattolica, contro la volontà del Sacro Sinodo che ribadiva la dottrina tradizionale (settembre 1755).
Il Patriarca fece esiliare i sinodali ed emanò un documento in cui dichiarò nulli i sacramenti cattolici e lo fece approvare anche dai Patriarchi di Alessandria e di Gerusalemme.
Su questa decisione si basano ancora oggi le Chiese ortodosse, specialmente quella greca. Ecco perché la Chiesa ortodossa greca non ha voluto accettare il cosiddetto Documento di Balamand del 1993, in cui la commissione teologica mista cattolico-ortodossa riconosceva validi i sacramenti delle due Chiese considerate «Chiese sorelle».
Al contrario del Sacro Sinodo della Chiesa romena, che, nel dicembre del 1993 approvava il Documento di Balamand,[48] il Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa greca rigettò una gran parte di questo.
In seguito, indirizzò una lettera al Patriarca ecumenico Bartolomeo I firmata da Serafim, l’allora arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia e presidente dello stesso Sinodo, in cui giustificava questo suo rifiuto.
Crediamo che, per capire l’attuale stato d’animo della Chiesa ufficiale greca, non sia inutile riportare una parte di questo documento. Sua Beatitudine Serafim, dopo aver evidenziato che in quell’incontro, da parte ortodossa, mancavano ben sei Chiese,[49] tra l’altro, scrive: «Nel… testo redatto a Balamand in modo pregiudiziale e senza aver prima eliminato le tradizionali differenze teologiche e ecclesiologiche, si tenta una piena comunione tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolico-romana attraverso il mutuo riconoscimento del sacerdozio e degli altri sacramenti che si celebrano da coloro che lo possiedono. In altri termini la Commissione mista con il documento sull’uniatismo arbitrariamente propone, da una parte, la rinuncia da parte della Chiesa ortodossa dell’autocoscienza di essere in modo esclusivo solo essa la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, dall’altra, riconosce queste note alla Chiesa cattolica-romana prima che si giunga, attraverso il dialogo, all’unità nella giusta fede… Il Sacro Sinodo Permanente della Chiesa della Grecia considera inaccettabile il testo sull’uniatismo di Balamand, come pure del tutto estraneo alla secolare tradizione ortodossa».[50]
Come ci si può rendere conto da questo testo, la Chiesa ortodossa greca non è in grado di riconoscere la Chiesa cattolica come Chiesa sorella e, per conseguenza, neppure di riconoscere la validità del sacerdozio cattolico, dal quale deriva la validità di tutti gli altri sacramenti. Essa abbraccia completamente la tradizionale teologia greca sulla validità dei sacramenti come l’abbiamo esposta precedentemente.
Anche la Sacra Sinassi della comunità dei Monaci del Monte Athos, prima ancora della Chiesa greca, rifiutò in blocco il Documento di Balamand. In una lettera firmata dagli igumeni dei 20 monasteri del Monte Athos e indirizzata al Patriarca Bartolomeo I, i firmatari sono più che persuasi dell’invalidità dei sacramenti dei cattolici, considerati scismatici ed eretici, e della necessità che tutti coloro che provengono dal cattolicesimo siano ribattezzati. Naturalmente si rigetta con sdegno anche solo l’idea che la Chiesa cattolica possa essere considerata dagli ortodossi «Chiesa sorella».[51]
Basandosi su questi principi, il nuovo arcivescovo non accetta per nessun motivo la separazione tra Chiesa e Stato. D’altra parte, nella elaborazione della revisione della Costituzione greca i due più grandi partiti, che rappresentano più dell’ottanta per cento dei votanti, si sono accordati di non cambiare niente della Costituzione riguardo i privilegi della Chiesa ortodossa.
Con quanto abbiamo riferito fino a questo momento, si potrebbe dare l’impressione che nelle relazioni con la Chiesa ortodossa greca tutto sia negativo. Non è precisamente così. Esistono in Grecia delle persone veramente illuminate disposte al dialogo, contrarie a certe forme di nazionalismo tanto in voga oggi in Grecia e che tanto male hanno procurato a questo paese e alla Chiesa stessa.
Dopo il viaggio del papa in Grecia si costata che il clima anticattolico esistente in quel paese ha avuto un certo cambiamento in meglio. Il primo segno di questo cambiamento è costituito dalla visita in Vaticano di quattro metropoliti rappresentanti il Santo Sinodo. Di recente (febbraio 2003) il cardinale Walter Kasper, allora Prefetto del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, restituì la visita ad Atene e fu accolto con grande rispetto dal Sacro Sinodo della Chiesa greca e dalle istituzioni accademiche della capitale.
Si nota, inoltre, nella Chiesa greca una grande ripresa di vita spirituale, specialmente nel contesto monastico, e la teologia si esprime in forme nuove e originali. Se questa spiritualità è autentica, presto o tardi i nostri fratelli ortodossi dovranno superare quel momento di dialettica che li oppone alla Chiesa cattolica, e capiranno che le intenzioni della Santa Sede sono sincere. Bisogna che anche loro facciano una purificazione della memoria storica e capiscano che non siamo più all’epoca dei domini veneziani in Grecia, e quindi nessuno vuole più fagocitarli e umiliarli.
Il mondo cattolico oggi ha una grande stima della tradizione orientale greca e fa di essa sempre più tesoro nella sua spiritualità e nella sua teologia. Quello che la Chiesa cattolica chiede ai fratelli ortodossi non è una sottomissione ad essa, come si faceva fin quasi alla vigilia del concilio Vaticano II. È necessaria una reciproca conoscenza e un superamento dei pregiudizi per affrontare insieme, in un clima di collaborazione, le sfide del terzo millennio.
A questo proposito sono attuali le parole di Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Ut unum sint. Si tratta – afferma quel pontefice – di possedere un nuovo atteggiamento che può portare anche a considerare in maniera nuova l’eredità del passato, che tanto incide nella coscienza e nella memoria collettiva dei popoli e che crea dei risentimenti e dei rancori che anche gli avvenimenti recenti mostrano come non possano essere facilmente superati: «L’impegno ecumenico deve fondarsi sulla conversione dei cuori e sulla preghiera, le quali indurranno anche alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la grazia dello Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati dall’amore, dal coraggio della verità e dalla volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua purtroppo a provocare ancora oggi. Sono invitati dalla forza sempre giovane del Vangelo a riconoscere insieme con sincera e totale obiettività gli errori commessi e i fattori contingenti intervenuti all’origine delle loro deprecabili separazioni».[52]
Solo la conversione del cuore e la preghiera possono portare le due Chiese a purificare la memoria storica e, quindi, a riconciliarsi. Afferma lo stesso documento: «L’impegno ecumenico deve fondarsi sulla conversione dei cuori e sulla preghiera, le quali indurranno anche alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la grazia dello Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati dall’amore, dal coraggio della verità e dalla volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua purtroppo a provocare ancora oggi. Sono invitati dalla forza sempre giovane del Vangelo a riconoscere insieme con sincera e totale obiettività gli errori commessi e i fattori contingenti intervenuti all’origine delle loro deprecabili separazioni».[53]
In modo particolare per i cristiani la storia non deve servire per fomentare e nutrire gli antichi rancori. Essa dovrebbe funzionare eminentemente come forza catartica; in caso contrario, essa imprigiona nel passato senza aprire varchi per il futuro. In questo caso ci troviamo di fronte ad una storia non ancora redenta da Cristo. Solo Lui può condurre le vicende della storia verso gli orizzonti della speranza.
Yannis Spiteris è arcivescovo emerito di Corfù, Zante e Cefalonia. Ha anche ricoperto la carica di amministratore apostolico del vicariato apostolico di Salonicco.
[1] Questo simbolo è usato soprattutto dalla dinastia dei Paleologi, da Giovanni VI Cantacuzeno per ornare il suo sgabello. La troviamo come elemento ornamentale nel pavimento della metropoli di Mistra, dove fu incoronato Costantino XI Paleologo, ultimo imperatore di Bisanzio. Gli storici non sono d’accordo sul significato della duplice testa. Per alcuni si riferisce al fatto che l’impero era affacciato contemporaneamente a est e a ovest, per altri alla presenza contemporanea per un certo tempo di due imperatori (coimperatori) sull’unico trono. Cf. G. Gerola, «L’aquila bizantina e l’aquila imperiale a due teste», in Felix Ravenna 43 (1934) 7-36; A. Fourlas, «Adler und Doppeladler», in Philoxenia, Münster 1980, 97-120.
[2] Bisogna qui ricordare che nell’impero ottomano esistevano quattro millet, quello greco ortodosso, quello armeno, quello ebraico e quello turco sunnita. I cattolici esistenti nell’ambito dell’impero non erano compresi in nessun millet. Così i cattolici maroniti del Libano, i cattolici ungheresi, i croati, gli albanesi, i cattolici greci delle isole, gli armeni della Cilicia e della Palestina uniti con Roma, erano considerati come elemento estraneo all’impero e quindi giuridicamente come se non esistessero.
[3] Cf. C.G. Papadopoulos, Les privilèges du Patriarcat oecuménique dans l’Empire ottoman, Paris 1924.
[4] Ph. Sherrard, Saggi intorno alla neo-grecità (in greco), Atene 1971, 41-42.
[5] Cf. H. Papadopoulos, Studies and Documents relating to the History of the Greek Church and People under Turkish Domination, Bruxelles 1952 (Ristampa New York 1973), 143-145.
[6] Il documento della condanna della rivoluzione greca si può trovare in J. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Graz 1961, XL, 151-154.
[7] Il Patriarca Gregorio, considerato martire dalla Chiesa greca, è una tragica figura della crudeltà turca. La condanna della rivoluzione greca fu fatta non per convinzione, ma per salvare i cristiani dei territori non ancora liberati. Egli, pur potendo scappare, preferì rimanere a Costantinopoli aspettando la sua tragica fine. Il pomeriggio del sabato santo del 10 aprile 1821 celebrò la santa messa della risurrezione. Mentre ancora celebrava la messa, i poliziotti del sultano lo arrestarono e, vestito ancora con i paramenti liturgici, lo impiccarono nella porta centrale del palazzo Patriarcale di Fanari, di fronte ai fedeli che seguivano la messa pasquale. Siccome il suo corpo era molto leggero rimase così impiccato per ore senza morire. Spirò a notte inoltrata. Rimase così impiccato per tre giorni e chi doveva entrare nella casa era costretto a spostare con la mano il cadavere che penzolava. Dopo lo trascinarono per le città e lo buttarono in mare, al largo. Fu trovato, però, dai marinai e trasportato a Edessa dove fu sepolto con grandi onori dalla Chiesa ortodossa russa. Insieme a Gregorio, ma in altri luoghi, i turchi impiccarono alcuni suoi sacerdoti e i metropoliti di Nicomedia, di Efeso e di Anchiale. Nei giorni seguenti, i turchi, prima incarcerarono e poi impiccarono Cirillo, predecessore di Gregorio che all’epoca aveva 90 anni, i metropoliti di Tessalonica, di Derco, di Tirnobo e di Andrianopoli. Per diverso tempo la gente, aizzata dai governanti, distrusse le chiese cristiane, depredò il Patriarcato e massacrò molti cristiani ortodossi non solo a Costantinopoli, ma anche in altre parti dell’impero.
[8] Germano, metropolita dell’Antica Patrasso, rappresenta la più importante figura della rivoluzione contro i turchi nel Peloponneso. Era nato Dimitsana nel 1771 da genitori molto poveri. Ordinato diacono, andò prima a Smirne e poi a Costantinopoli. Dopo un lungo periodo passato al Monte Athos, nel 1806 fu ordinato metropolita dell’Antica Patrasso. Di lì guidò il popolo che, con il proprio scarso armamento, combatteva l’esercito turco. Il metropolita Germano cercò di guadagnare alla causa dell’insurrezione greca anche il papa Pio VII. In una lettera mandata a lui in occasione del congresso dei monarchi europei a Verona nell’ottobre del 1822, il metropolita Germano scriveva tra l’altro: «Il Governo ellenico testimonia a Vostra Santità la sua gratitudine per la carità che avete mostrato ai figli della Grecia. Molti dei nostri compatrioti che, perseguitati dagli infedeli, sono fuggiti nel Vostro Stato, ci hanno assicurato che Voi li avete ricevuti con misericordia evangelica e benevolenza veramente paterna. Queste virtù sono l’ornamento ordinario di vostra Santità; il carattere apostolico che avete mostrato in questi difficili tempi è conosciuto in tutto il mondo. E benché i popoli d’Europa siano divisi in diverse religioni, tuttavia sono concordi nella lode e nell’ammirazione di quelle virtù che sono la gloria della religione e del suo fondatore divino. Perciò osiamo indirizzare quest’umile supplica alla Santità Vostra. Abbiamo sentito che i monarchi cristiani, dei quali la più parte appartiene la Chiesa di cui Voi siete il capo, si sono radunati per prendere consiglio sopra la situazione d’Europa. DegnateVi, Santissimo Padre, d’essere il nostro Mediatore, affinché siamo liberati dall’infelicissima condizione alla quale i nemici del nome cristiano ci hanno ridotti… Già da molto tempo soffriamo il martirio per la fede in Gesù Cristo; da oramai quattro secoli ricevemmo il battesimo delle lagrime e delle ingiurie. Che per l’assistenza della Santità Vostra spunti per noi il giorno della felicità!». Lettera riportata da G. Hofmann, «I Cattolici di fronte all’insurrezione greca», in La Civiltà Cattolica (1821-1829), (A 1950) 169. Testo originale greco in S. Trikoupis, Storia della Rivoluzione greca (in greco), Londra 1856, 21-22. Il metropolita Germano, insieme ad altri, fu incaricato dal Governo greco di visitare personalmente il papa e di porgli la domanda di aiuto. Per varie vicende, Germano, dopo il suo sbarco in Italia, non ha potuto incontrare Pio VII. Il papa, però, trovò il modo, tramite il cardinale Spina, di fare pervenire ai principi riuniti a Verona, la petizione greca. Cf. Hofmann, 170.
[9] Cf. Frazee, La Chiesa ortodossa e l’indipendenza greca 1821-1852 (in greco), Atene 1987, 38. L’originale di quest’opera è in inglese: The Orthodox Church and Independent Greece, 1821-1852, Cambridge 1969. Ci serviamo della traduzione greca.
[10] Cf. Frazee, La Chiesa ortodossa, 36, 38.
[11] Cf. Frazee, La Chiesa ortodossa, 110.
[12] Sulla figura di Kapodistrias ci sono diversi studi. Il più accessibile è quello di O.W. Kaldis, John Kapodistrias and the Modern Greek State, Madison-Wisconsin 1963.
[13] Su Ottone I cf. T. Evaghelidis, Storia di Ottone, Re della Grecia (in greco), Atene 1893; L. Bower-B. Bolitho, Otho I, King of Greece, London 1939.
[14] Nel 1833, quando Ottone arriva nel suo Regno, la Grecia libera contava una popolazione tra 500.000 e 700.000 anime, mentre Atene era ridotta ad un villaggio di 300 persone.
[15] Il Patriarca Eugenio fu costretto anche lui dai turchi a condannare la rivoluzione. In una lettera, mandata nel mese di agosto del 1821 a tutte le Chiese ortodosse dell’impero ottomano, il Patriarca invitava tutti ad esaminare «la base sulla quale è fondato questo governo forte e invincibile [quello del sultano] e allora sarà costretto a confessare l’inesauribile oceano della sua benignità e l’infinita e senza confronto sua filantropia». La lettera, dopo aver ricordato i privilegi accordati dal sultano ai cristiani ortodossi, deplora l’ingratitudine dei greci che, spinti dalla pazzia, si sono sollevati contro questo governo che ama e cura tutti ugualmente. Il Sacro Sinodo – conclude la lettera – «ingiunge a tutti i greci di deporre immediatamente le armi e tornare ad essere nella condizione di prima, cioè in una perfetta e legale sottomissione… Solo allora la Chiesa ritrarrà la scomunica da quelli che hanno abbandonato la lotta». La lettera si può trovare in A. F. von Prokesch-Osten, Geschichte des Abfalls der Griechen von Türkischen Reiche in Jahre 1821 und der Gründung des hellenischen Königreiches, III, Vienna 1867, 153. Questa lettera fu rigettata dalla Chiesa greca e in una lettera, firmata da mille sacerdoti e da ventotto vescovi, si annunzia la libertà della Grecia e l’intenzione di combattere per essa. Il Patriarca è scomunicato ed è chiamato nuovo Giuda e lupo vestito da agnello.
[16] Cf. J. Konidaris, Storia ecclesiastica della Grecia (in greco) Atene 1954, I, 353.
[17] Cf. J. Konidaris, «La nascita del regime dell’autocefalia della Chiesa greca» (in greco), in E. Chrysos, Nasce un nuovo mondo (in greco), ed. Aktitas, Atene 1996, 207-222.
[18] A. Daskalakis, Adamntios Korais e la libertà dei greci (in greco), Atene 21979.
[19] Su questo punto cf., tra l’altro, D.S. Balanos, Le idee religiose di Adamantios Korais (in greco), Atene 1920; Idem, Le idee di Adamantios Korais intorno alla Chiesa e al Clero (in greco), Atene 1933; G.D. Metallinos, Adamantios Korais e l’Ortodossia (in greco), in Idem, Tradizione e alienazione (in greco) Atene 1986, 149-190.
[20] A. Korais, Prolegomena alla Politica di Aristotele (in greco) Paris 1821, 120.
[21] «Nel complesso c’erano 25 articoli, ognuno dei quali assoggettava sempre di più la Chiesa allo Stato. Se mai è esistita una Chiesa senza nessun prestigio e completamente soggiogata allo stato, questa è stata la Chiesa greca con lo statuto di Maurer». Frazee, La Chiesa ortodossa, 149.
[22] La bibliografia. su questo punto è numerosa. Citiamo solo alcuni lavori: M. Fougias, La via verso l’autocefalia nella Chiesa ortodossa (in greco), Atene 1958; S.D. Sachpelidou, L’autocefalia della Chiesa della Grecia e Costantino Oikonomos (in greco) Atene 1972; B. Giorgiatos, Istituzioni fondamentali del governo della Chiesa ortodossa greca con considerazioni storiche (in greco), Atene 1967; G.D. Metallinos, L’autocefalia greca. Presupposti e conseguenze (in greco) in Idem, Tradizione e alienazione (in greco), Atene 1986, 227-257; Idem, Paralipomena dell’Autocefalia greca (in greco), Atene 1987.
[23] Frazee, La Chiesa ortodossa, 145.
[24] Scrive Frazee, La Chiesa ortodossa, 139: Infatti «Maurer considerava la Chiesa come una delle funzioni dello Stato e sottomessa ad esso. Per lui il modello era quello che esisteva nella sua patria, dove il potere civile della Baviera dominava sopra la Chiesa cattolica e protestante. I vescovi cattolici potevano avere corrispondenza con Roma solo per mezzo del re… La Chiesa riformata della Baviera si trovava nella strana situazione di avere come suo vescovo supremo un re cattolico».
[25] Per quanto riguarda queste due tendenze impersonate nella loro radicalità, da una parte, da Farmakidis e Korais e, dall’altra, da Oikonomos, cf. A. Papaderos, Metakenosis. Das Kulturelle Zentralproblem des neuen Griechenland bei Korais and Oikonomos, Mainz 1962.
[26] In nome di questa fedeltà alla tradizione, però, ogni tentativo di rinnovamento e di attualizzazione della teologia greca verrà respinto come infetto di illuminismo e come estraneo alla tradizione patristico-bizantina dell’Ortodossia. Resterà a lungo negli ambienti teologici greci, e in alcuni fino ad oggi, una specie di complesso di “modernismo”.
[27] Qui bisogna ricordare che, dal primo gennaio 1835, la capitale era passata da Nafplion ad Atene. La sede arcivescovile, perciò, era ormai Atene.
[28] Per quanto riguarda il «Sacro Sinodo» dal punto di vista storico e canonico cf. G.I. Konidaris, La struttura e l’organizzazione del Sinodo nella Chiesa autocefala della Grecia (in greco), Gerusalemme 1929.
[29] Cf. G. Hertzberg, Geschichte Griechenlands seit dem Absterben des antiken Lebens bis zur Gegenwart, III, Gotha 1878, 82.
[30] Per quanto riguarda i monasteri femminili, le regole erano più drastiche. Un decreto governativo del 1834 obbligava tutte le monache dello Stato greco a concentrarsi solo in tre monasteri: uno nel Peloponneso, uno nell’Attica ed uno, per le isole, a Santorini. Si dava il permesso alle monache che non avevano raggiunto i 40 anni di lasciare definitivamente il monastero per qualsiasi ragione.
[31] Non esiste un parere concorde sul numero di monaci esistenti in Grecia in quel periodo. Da alcune testimonianze si ricava che, prima della “riforma” esistevano in Grecia 8.000 monaci e 545 monasteri. Lo storico greco Ch. Papadopoulos afferma che esistevano 3.000 monaci, mentre una rivista del 1840 (Sôter) parla di un numero che va da 1.100 a 1.834 e di 128 monasteri.
[32] Cf. G. von Maurer, Das Griechische Volk in öffentlicher, kirchlicher und privatrechtlicher Beziehung von und nach dem Freiheitskampfe, II, Heidelberg 1835, 182.
[33] Per le vicende di questa forte riduzione del monachesimo cf. K. Dyoboyniotis, «La soppressione dei monasteri nella Grecia libera nel 1834» (in greco. in Ieros Syndesmos 2 (1916).
[34] W. Mure, Journey of a Tour in Greece, II, London 1842, 297.
[35] Cf. G. Hofmann, Das Papsttum und der Griechisches Freiheitskampf (OCA, 136), Roma 1952, 19 e 47. In generale per quanto riguarda la Chiesa latina in Grecia cf. le varie opere di G. Hofmann tra cui la Chiesa cattolica in Grecia (1600-1830), (OCP, II), Roma 1936. Si veda anche G. Fedalto, Le Chiese d’Oriente, III, Dal Seicento ai nostri giorni. Complementi alla Storia della Chiesa diretta da H. Jedin, Jaca Book, 210-213.
[36] Cf. S. Trikoupis, Storia della Rivoluzione greca, 184.
[37] Cf. Frazee, La Chiesa ortodossa, 64.
[38] A Syros la popolazione era rimasta quasi tutta cattolica fino al 1822, quando, per sfuggire ai massacri dei turchi, si rifugiarono nel suo territorio più di 15.000 greci. I cattolici li accolsero, li rifocillarono e li aiutarono a riprendere la loro vita. Da allora hanno pagato le tasse al governo greco e così hanno contribuito al proseguimento della liberazione dal giogo turco. D’altra parte, hanno dovuto soffrire i saccheggi di 2.000 albanesi che anch’essi si erano rifugiati nella loro isola.
[39] Frazee, La Chiesa ortodossa, 73.
[40] Cf. Hofmann, I Cattolici di fronte all’insurrezione greca, 174.
[41] Cf. Frazee, La Chiesa ortodossa, 86.
[42] Hofmann, I Cattolici di fronte all’insurrezione greca, 174.
[43] Frazee, La Chiesa ortodossa, 111.
[44] Sul contenuto, l’interpretazione e le vicende del Protocollo di Londra cf. D. Salachas, La posizione giuridica della Chiesa cattolica nel territorio greco (in greco), Atene 1978, 56-64.
[45] Queste difficoltà non sono nuove, precedettero e accompagnarono tutta la storia del nuovo Stato greco e della Chiesa greca. Scrive uno studioso greco: «Il mito della grecità si è basato e continua a basarsi sull’egemonia ideologica dell’ortodossia e l’identificazione della Chiesa con lo Stato nonostante la lettera della Costituzione. Durante il XIX secolo, il Patriarcato di Costantinopoli lottò con lo stato greco per salvare la sua autonomia. La tradizione bizantina della sottomissione della Chiesa allo Stato, alla fine, condusse la Chiesa della Grecia a identificarsi con lo Stato e diventare portavoce del nazionalismo greco. A questo ha contribuito anche la non divisione tra Chiesa e Stato. Ma, oltre a questo, aiutò anche il precedente atteggiamento del Patriarcato nei confronti della grecità. Prima del 1830 non esisteva uno stato nazionale greco e la Chiesa aveva un carattere ecumenico. Ciononostante, il carattere “imperiale” della Chiesa portava chiaramente il sigillo dell’imperialismo ellenocentrico dal momento che anche le popolazioni ortodosse dei Balcani e dell’Asia Minore di lingua non greca erano influenzati dalla cultura tradizionale greca. Questo fatto portava a delle conseguenze negative per lo sviluppo di uno spirito libero e di una comunità di cittadini, dal momento che nell’Ortodossia non si sviluppò mai un diritto naturale e neppure la libertà di coscienza e il concetto dei diritti dell’uomo e del cittadino». Th. Lipovats, «La frantumazione dell’identità greca e il problema del nazionalismo» (in greco), in La cultura politica greca oggi (in greco), a cura di N. Demertzis, ed. Odysseas, Atene 1994, 127-128.
[46] A questo proposito è sintomatico il fatto che, quando nella seconda metà del secolo XVII, i veneziani condotti dal famoso Morosini, conquistarono Morea, non trovarono alcun aiuto dalla popolazione locale, anzi essi non celavano di preferire piuttosto i turchi agli odiati “franchi” come chiamavano tutti i cattolici.
[47] I gesuiti erano venuti ad Atene nel 1645 mentre i cappuccini francesi nel 1658.
[48] Sulla posizione della Chiesa ortodossa della Romania riguardo il Documento di Balamand cf. il teologo romeno A. Plãmãdealã, Documentul de la Balamand: text si comentariu, Bucarest 1993.
[49] Precisamente le Chiese di Gerusalemme, Serbia, Bulgaria, Georgia, Grecia e Cecoslovacchia.
[50] Tutto il testo della lettera è stato pubblicato nel quindicinale Ekklisiastikì Alithia, 1-15. 1. 1995, nelle pp. 1 e 7.
[51] Tra l’altro si può leggere nel documento: «Il Filioque, il primato, il fuoco del purgatorio, l’immacolata concezione, la grazia creata appartengono alla confessione della fede apostolica? È possibile che noi ortodossi riconosciamo ai cattolici romani una fede e una confessione apostolica malgrado tutto ciò? Queste gravi deviazioni teologiche di Roma sono, sì o no, delle eresie? Se la risposta è sì, come i concili e Padri ortodossi hanno affermato, non consegue allora che i sacramenti e la successione apostolica di questi eterodossi siano assolutamente invalidi?… E come si può considerare due Chiese come “Chiese sorelle”, non basandoci sul fatto della loro comune origine prima dello scisma, ma bensì sulla loro pretesa professione comune attuale, sulla grazia santificante, sul sacerdozio comune, nonostante che esista una fossa dogmatica che le separi?… La Verità della Chiesa non si può dividere, perché essa è Cristo stesso. Dove esistono differenze nel dogma, non ci può essere unità in Cristo. La storia della Chiesa ci insegna che solo le Chiese ortodosse sono state da sempre considerate sorelle tra di loro, ma mai la Chiesa ortodossa lo è stato con le Chiese eterodosse… Noi siamo obbligati, per gli stessi cattolici romani come per l’universo intero, per i quali l’immacolata ortodossia costituisce l’ultima speranza, di mai accettare l’unione, né di riconoscere la Chiesa cattolica romana come “Chiesa sorella” o il papa come vescovo, canonicamente eletto, di Roma, o la Chiesa di Roma come fosse in possesso di una regolare successione apostolica e avesse il sacerdozio e i sacramenti, senza che prima essa abbia rigettato esplicitamente il Filioque, l’infallibilità, il primato, la grazia creata e le altre cacodoxie che noi non considereremo mai come delle differenze insignificanti o come dei teologumeni, perché esse alterano irrimediabilmente il carattere teandrico della Chiesa e costituiscono delle bestemmie». Cf. Istina 40 (1995) 407-417.
[52] Ut unum nist, n. 2.
[53] Ivi.