Agli inizi di novembre l’arcivescovo Anastasios, primate di Albania, è stato aereotrasportato da Tirana ad Atene con i sintomi del coronavirus per essere ricoverato nel reparto di “terapia intensiva” del più grande e prestigioso ospedale pubblico della Grecia “Evangelismos” (Annunciazione).
Quando ha potuto comunicare con i giornalisti, ha dichiarato: «Partecipare al dolore comune è un dono di Dio. E, riferendosi a san Paolo, ha concluso: “Sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore”. Questa è una grande consolazione per noi».
Colpita anche la gerarchia
Due giorni dopo dichiarava: «Sin dal primo giorno del mio ricovero in “Evangelismos” tutto sta andando bene. Per tutta la vita ci riferiamo al Dio delle sorprese, ma anche al Dio dei miracoli. Il nostro viaggio in Albania è iniziato con l’esclamazione “Dio è con noi” e la risposta in coro, “e noi con Lui”, ci ha sostenuto nella nostra certezza che “Dio non ci lascerà”».
«Un sentito ringraziamento agli illustri medici e infermieri e alla moltitudine di persone che hanno espresso il loro amore con la preghiera. Due parole tratte dalla lettura del vangelo di domenica scorsa definiscono l’atteggiamento appropriato: “Non aver paura, credi e basta”».
E, dopo 12 giorni di ricovero, lasciando l’ospedale per continuare la cura nella sua casa, dopo aver ringraziato personalmente chi si è interessato di lui, ha concluso: «La partecipazione silenziosa alla sofferenza del popolo di Dio contribuisce misticamente alla coesione sociale. L’amore spontaneo e sincero rafforza sempre le persone nei momenti difficili. “L’amore è la cosa più preziosa del mondo”».
Nel frattempo, il 17 novembre, era stato ricoverato nello stesso ospedale l’arcivescovo di Atene Geronimo per le stesse ragioni. Il 15 dello stesso mese si era spento il metropolita di Langada, 62 anni, a causa delle complicazioni da Covid-19. Intanto aumentava il numero dei metropoliti risultati positivi al coronavirus. Ora se ne sono aggiunti altri 6 e si parla di un numero elevato di preti, monaci, cantori e sacrestani positivi e anche malati.
Alcuni di questi preti ora ringraziano Dio per la buona salute ritrovata, ma prima di ammalarsi erano dei negatori dell’esistenza del coronavirus, sostenendo che non era più forte di una influenza e che il resto era propaganda per colpire la Chiesa… Anzi vietavano – come del resto alcuni vescovi – che si portasse la mascherina dentro la Chiesa, perché considerata un’offesa alla fede e a Dio stesso. Ora però sono diventati fanatici sostenitori di tutte le profilassi.
È da segnalare anche la morte a causa del Covid-19 del patriarca della Serbia, Ireneo, che aveva contratto il contagio celebrando senza nessuna profilassi le esequie dell’arcivescovo del Montenegro, Amfilochio, morto a causa del virus.
Giungevano intanto notizie che la Chiesa di Russia, dove la situazione sanitaria è diventata davvero critica, ha creato un osservatorio per monitorare il fenomeno e per impartire direttive allo scopo di contenere la diffusione dei contagi. Così anche la Chiesa greca si è data una mossa ed ha cominciato a preoccuparsi.
Nei circoli ecclesiastici molti hanno cominciato riconoscere che i festeggiamenti per il santo prodromo di Salonicco, san Demetrio, celebrati in pompa magna bizantina, con moltissimi concelebranti, metropoliti, preti, diaconi e tantissima gente, che hanno ignorato ostentatamente i canoni profilattici, ha avuto effetti deleteri.
Lo stesso si diceva per il pranzo tenuto al palazzo del Sinodo al quale hanno preso parte molti metropoliti nel giorno della festa degli Arcangeli, 8 novembre, ad Atene.
Tutto ciò ha fatto sì che almeno la gerarchia abbia abbandonato l’atteggiamento di rifiuto e altri atteggiamenti e messaggi ambigui, come, ad esempio, il ritornello che solo con la fede si può affrontare la pandemia, e abbia invece riconosciuto e accettato la serietà della situazione. Non sono mancate le accuse da parte di alcuni alla gerarchia che non prendeva chiare decisioni per paura delle reazioni degli ultra-ortodossi.
Due erano i problemi che la Chiesa Ortodossa si trovava ad affrontare: la chiusura delle chiese e il conferimento della comunione nel modo tradizionale.
Piccola nota esplicativa: la comunione dei fedeli si distribuisce dopo avere messo il pane consacrato dentro il calice col vino consacrato. Dopodiché si prende un pezzettino con un cucchiaino, chiamato lavìda, che simboleggia la Madonna che ha portato nel grembo il Signore, e lo si svuota dentro la bocca del fedele.
La chiusura delle chiese
Per quanto riguarda le chiese, anche se è di tendenza conservatrice, il governo prende la maggioranza dei voti dai fedeli che le frequentano. Dopo accese discussioni, ha deciso di imporne la chiusura, anche per la preghiera privata, restrizione che dura tuttora. Il prete può celebrare la santa messa e altre funzioni solo se accompagnato da un ristretto numero ministranti, come, ad esempio, dal cantore, ma non dal popolo.
Adesso tutta la Grecia è in totale quarantena, come nel primo periodo della pandemia. Si parla di allentare le restrizioni dopo il 30 novembre o nella prima settimana di dicembre; si sentono voci secondo cui questo avverrà solo un po’ prima di Natale. Intanto si discute negli ambiti ecclesiastici se per le feste di Natale si riapriranno le chiese. Molti metropoliti dichiarano di aspettare le decisioni del governo.
È di questi giorni (20 novembre 2020) lo sfogo del metropolita di Alessandroupoli (nel Nord, ai confini con la Turchia) in un suo scritto, dopo aver espresso il suo augurio che «tutti noi possiamo entrare nel tempio di Dio un giorno», precisando che: «Non intendo l’apertura degli edifici delle chiese per entrarvi. Il governo ha fatto molto bene a chiuderli, mentre la gente ci ha dimostrato, e in genere continua a mostrare (forse per stanchezza), insufficiente responsabilità in materia. Voglio dire che anche prima della pandemia, prima che il divieto fosse posto, i cristiani non venivano nelle chiese… I nostri cristiani praticanti e anche molti del nostro clero (compreso un certo numero di metropoliti), credevano di co-governare il nostro Stato, ma, come è evidente, lo Stato è molto meglio governato dai politici, perché alla fin fine non possiamo dirigere nemmeno il nostro gregge.
Una pia follìa ha trasformato pecore razionali in ragazzini imprevedibili che volevano sostituire i pastori. Mentre Dio stesso ci insegna a obbedire anche al potere secolare (che, dopotutto, è eletto democraticamente dal nostro popolo oggi); molti dei nostri cristiani hanno avviato contro la loro Chiesa una rivoluzione che non so se porterà una risurrezione ma che di certo finora semina morti. Credevamo che Dio, a causa della nostra fede, fosse obbligato a salvare noi (non altri), e abbiamo sbandierato questa fede. Ma questa fede si è rivelata piccola, povera, una fede tanto piccola che non solo non può smuovere le montagne, ma nemmeno il virus infinitesimale…».
Per constatare finalmente, insieme con altri metropoliti, per es. Nicola di Mesoghea e Crisostomo di Messenia, che il popolo di Dio si è diviso.
Il modo di distribuire la santa comunione
Il problema grosso è costituito dal modo di distribuire la santa comunione.
Su questo argomento ha preso posizione l’arcivescovo di Atene e primate della Grecia. Va tenuto presente che la sua autorità si estende solo nella sua diocesi ma che ha il diritto di presiedere il Santo Sinodo il quale, senza di lui, non può essere convocato né lavorare né legiferare, e quindi gode di grande autorità morale a causa del suo ufficio. Entrando nell’ospedale, ha creduto opportuno dichiarare, senza mezzi termini, che il modo tradizionale di amministrare la comunione è fuori discussione e costituisce una linea rossa, un confine invalicabile.
Il Santo Sinodo della Grecia già nel primo periodo della pandemia aveva decretato: «Per i membri della Chiesa accostarsi all’eucaristia e alla comunione al calice comune della vita non può certo essere causa di trasmissione di malattie, come credono i fedeli di tutti i tempi, anche in mezzo a una pandemia. Ciò costituisce, da una parte, una testimonianza pratica di fiducioso abbandono al Dio vivente e, dall’altra, è anche una grande manifestazione dell’amore, che supera ogni paura umana anche quando essa è giustificata: “La paura non esiste nell’amore, ma l’amore perfetto scaccia la paura” (1Gv 4,18). I membri della Chiesa sanno che la comunione è un rapporto, frutto dell’amore e dell’esercizio della libertà, proprio perché ignora i sospetti, le riserve, le paure».
La logica della difesa che sottostà a questa dichiarazione è semplice e lineare. Tutto: pane, vino, calice, lavìda, è parte integrante di un sacramento (in greco si chiama “mistero”) dove opera lo Spirito Santo che vivifica e santifica; quindi, pane e vino, calice e lavìda non possono essere veicoli di contaminazione.
La teologia poi viene fortificata dagli argomenti “medici”. Fra tutti, nell’università di Atene, rappresentativa è la prof. Giamarellu, che è anche membro della commissione governativa di esperti per monitorare la pandemia. La signora sostiene e ripete continuamente: «Chiunque si accosta per ricevere la comunione, che ci creda o no, partecipa al mistero (sacramento). Pertanto, non vi è alcun rischio per il coronavirus come per qualsiasi altro germe. Sapete che, quando avevamo i lebbrosi in Grecia, i preti amministravano la comunione ai lebbrosi, poi ad altre persone e nessuno si ammalava».
E ribadisce: «Sono convinta che il credente non possa contagiarsi con la comunione a causa del coronavirus. Questo non significa che il giorno dopo, se andrà in qualche altra parte, non rimarrà contagiato, allora però non si deve incolpare il sacramento. … È qualcosa che va oltre le nostre menti, le nostre opinioni e pensieri».
E alla domanda dei giornalisti se va anche oltre la nostra salute, la professoressa ha risposto: «Certo, anche oltre la nostra salute. Ti protegge anche nella tua salute, è fuori discussione!… Il concetto di scienza non si applica qui. È il significato del mistero (sacramento) che è al di sopra della scienza e che influenza la scienza. Pertanto, o credi di partecipare al mistero (sacramento) più grande e a qualcosa di più grande e allora vai a comunicarti e niente ti succederà o, se hai paura, non andare a comunicarti e a socializzare… Io continuerò a frequentare la santa comunione».
Alcuni metropoliti sono ricorsi a spiegazioni “scientifiche”, come il defunto metropolita Langada Ioannis (nella periferia di Salonicco) e insieme con lui molti altri. Egli sosteneva che il coronavirus non può contaminare attraverso il vino consacrato, perché, nel vino c’è l’alcol, dove i virus non reggono e, poi, perché gli ioni, contenuti nell’oro del calice e della lavìda, impediscono la sopravvivenza del virus.
Il metropolita di Serbia e Kozani, Pavlos, ha invitato i fedeli a comunicarsi con la lavìda, sottolineando che altrimenti si mette in dubbio la verità della comunione come corpo e sangue del Signore, che è una bestemmia la quale impedisce di vedere il regno di Dio.
“In nessun caso”
Per concludere, in un’intervista al KTO del metropolita Dorotheos, alla domanda del giornalista: «La Chiesa potrebbe accettare un cambiamento nel modo in cui viene amministrata la santa comunione?». Risposta: «In nessun caso».
E ha proseguito: «Lo abbiamo scritto, lo affermiamo in tutto questo tempo, che la nostra Chiesa è oggetto di una continua guerra denigratoria spietata da parte di tutti coloro che hanno pensato che la pandemia fosse una buona “opportunità” per presentare nuovamente il loro antiquato anti-clericalismo e la loro cristianofobia, toccando quasi il razzismo sociale. Il vino e il pane consacrati sono il corpo e il sangue di Cristo, sono il corpo e il sangue di Cristo risorto. Il santo corpo e il sangue di Cristo trasmettono solo salute, vita e incorruttibilità! Mai malattie!
In effetti – ha continuato il metropolita – è ora chiaro e ovvio che, dal 17 maggio scorso, quando è stato consentito il ritorno dei nostri cristiani alle Chiese, migliaia di credenti si sono comunicati ogni domenica e ogni festa principale e ogni volta che viene celebrata una Divina Liturgia.
Nessuno delle decine di migliaia di credenti, che frequentano la chiesa e ricevono il corpo e il sangue del Signore, è stato colpito da malattia, né in questo momento in cui il coronavirus minaccia l’umanità, né in passato, come è stato attestato da tanti padri e fratelli, quando c’erano situazioni ugualmente contagiose e mortali.
I nostri sacerdoti hanno amministrato la sacra comunione dove vivevano o venivano curati i malati, hanno celebrato la Divina Liturgia, hanno distribuito il corpo e il sangue di Cristo e, infine, hanno consumato il santo calice e nessuno di loro si è ammalato o è morto di una malattia contratta dal corpo e dal sangue di Cristo.
Che questa sia anche la convinzione del popolo – ha proseguito Dorotheos – lo mostra il fatto che i nostri antenati per le necessità della Rivoluzione del 1821 (liberazione dall’occupazione Turca che durava dal 1453) hanno donato al Fondo Nazionale tutto ciò che era d’oro e d’argento dei santi monasteri e dei santi templi, escluse le icone, i santi calici e le lavìdes, perché? Perché semplicemente avevano coscienza che questi oggetti erano considerati oggetti sacri, santificati dal corpo e dal sangue di nostro Signore!
Non c’è, quindi – ha aggiunto –, altra via per avere la divina comunione, se non per mezzo della lavìda che, secondo la secolare tradizione della nostra Chiesa, simboleggia la Vergine Maria, motivo per cui durante la festa dell’Assunta si prega: “Tu, lavìda mistica, che il carbone ardente [?!] Cristo hai concepito, tu esisti Miriam!”. In conclusione…, mai e con nessuno la Chiesa “negozierà” i fondamenti della fede, l’essenza e la ragione della sua esistenza, il sacramento della divina eucaristia e, attraverso di esso, la comunione dell’uomo con la fonte della vita, Dio! La nostra Chiesa non “svenderà” mai la sua “primogenitura”, che ha ricevuto da Gesù Cristo».
Ciononostante, il 67% dei fedeli pensa che il Covid-19 può essere trasmesso dalla comunione ricevuta con la lavìda.
La Chiesa cattolica in Grecia
La Chiesa cattolica in Grecia segue tutte le misure di prevenzione indicate dal governo. Ha adottato la distribuzione della santissima comunione nella mano, mentre, fino alla pandemia, il corpo di Cristo veniva immerso per un po’ nel calice e poi lo si appoggiava nella bocca del fedele. Tuttora si celebra la santa messa con un numero ristrettissimo di fedeli perché le nostre chiese sono piccole e le disposizioni severe. La nostra Chiesa usa i mezzi che la tecnologia le offre per essere in qualche modo presente e vicina ai suoi fedeli.
Solo un prete si è ammalato di Covid-19 nella prima ondata e, grazie a Dio, è guarito. Anzi il 14 settembre, festa della Croce, è stato eletto a servire la Chiesa come arcivescovo dell’arcidiocesi di Corfù, Zante e Cefalonia e il Vicariato Apostolico di Salonicco.
Il problema adesso è che, con la seconda ondata della pandemia con le chiese di nuovo chiuse, anche per la preghiera privata, bisogna aspettare di trovare il tempo adatto per l’ordinazione e l’insediamento.