Uno schiaffone politico a Cirillo di Mosca, il difficile equilibrio dell’assemblea delle Chiese (CEC) e l’obiettiva sintonia con l’atteggiamento di papa Francesco: sembrano questi gli elementi maggiori dell’attuale situazione delle Chiese cristiane davanti all’aggressione russa in Ucraina.
Lo schiaffone è quello del presidente della Repubblica federale tedesca, Frank-Walter Steinmeier, all’inaugurazione della dell’undicesima Assemblea del Concilio ecumenico delle Chiese a Karlsruhe (Germania, 31 agosto – 8 settembre 2022).
L’assemblea, composta da 400 delegati e quasi 4.000 presenti di 120 paesi, in rappresentanza di 352 Chiese e di 580.000 milioni di credenti, ha rinnovato un appuntamento ecumenico la cui ultima tappa era stata a Busan in Corea del Sud nel 2013.
Cirillo il guerrafondaio
Il patriarca Cirillo di Mosca ha confermato nei sette mesi di guerra la sua funzione di «chierichetto di Putin» come lo ha definito papa Francesco. Cito alcune delle sue ultime prese di posizione che non si discostano dalla prime e sembrano impermeabili alla valanga di critiche che esse hanno provocato contro la sua Chiesa.
Il 13 agosto ha ripetuto il parallelo fra partecipazione alla guerra e martirio: «Il ricordo dei nuovi martiri (del Novecento) ci aiuterà ad essere fedeli non tanto in condizione di persecuzione, ma in mezzo a quelle tentazioni che la moderna civiltà empia ci scarica addosso. Avere, cioè, la forza di resistere a ciò in cui inciampa un numero enorme di persone. Alludo alle basi morali della vita» per le quali sta combattendo la nostra patria.
Il 28 agosto esalta il coraggio dei militari di affrontare la morte: «L’assenza di paura della morte rende una persona invincibile. Ecco perché la fede ortodossa molto spesso aiuta coloro che sono sul campo di battaglia, che hanno bisogno di andare all’attacco per il dovere di difendere la loro patria. Se una persona in questo momento è guidata dai suoi profondi sentimenti religiosi e dalla sua fede, allora va coraggiosamente all’attacco».
Il 1° settembre torna sul contrasto metafisico fra bene e male: «C’è una lotta fra il bene e il male cosmico… Il nostro paese ha oggi una missione speciale. Siamo fra i pochi che chiamano male il male e bene il bene… Quella che ci viene imposta è l’idea terribile che il bene e il male non esistano, ma solo una pluriformità di comportamenti, in cui ciascuno ha diritto di scegliere il modello che più gli aggrada».
In questo scontro apocalittico vi è la centralità della città di Mosca, della sua autorità religiosa e politica. Ricordando l’avvio del cristianesimo a Kiev e la successiva migrazione a Mosca, in un intervento del 6 settembre afferma: «Era un’unica Chiesa il cui centro si spostava di pari passo con il trasferimento della capitale, in modo che il patriarca fosse sempre vicino al principe e il centro spirituale fosse nello stesso luogo del centro politico».
La denuncia di Steinmeier
Mentre Vladimir Putin enfatizza la nuova e grande guerra antinazista, Cirillo usa il richiamo della fede e dei valori morali. Incurante delle censure che gli piovono addosso. Gran Bretagna, Canada, Lituania, oltre all’Ucraina, lo giudicano persona non gradita.
Solo per il ricatto di Viktor Orban, presidente dell’Ungheria, l’Unione Europea non ha seguito la stessa strada. Non risponde alle voci coraggiose interne che chiedono di rendere pubbliche le sue ricchezze personali e tanto meno a quanti, in maniera carbonara, aspettano un diverso giudizio sulla guerra.
Le parole urticanti del presidente tedesco, Steinmeier, di fede evangelica, risuonano nell’assemblea del CEC con la forza di un tuono: «I capi della Chiesa ortodossa russa stanno attualmente guidando i loro fedeli e la loro Chiesa in un cammino pericoloso e sostanzialmente blasfemo che va contro tutto ciò in cui credono. Stanno giustificando una guerra di aggressione contro l’Ucraina, contro i propri e i nostri fratelli e sorelle nella fede. Dobbiamo parlare qui in questa sede, in questa assemblea contro una propaganda che attenta alla libertà e ai diritti dei cittadini di un altro paese, contro un nazionalismo che alimenta arbitrariamente i sogni dell’egemonia imperiale di una dittatura in nome della volontà di Dio».
«Qui, oggi, non possiamo tacere. Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome. Dobbiamo denunciare. Come comunità cristiana dobbiamo esprimere il nostro impegno per la dignità, la libertà e la sicurezza del popolo ucraino». Ricorda il coraggio degli oltre 300 preti russi che hanno osato dissentire, la responsabilità delle fedi in ordine alla pace e la corresponsabilità della dirigenza ecclesiale russa con i crimini commessi in Ucraina.
CEC luogo di dialogo
L’intervento ha costretto le stesse Chiese protestanti tedesche ha moderare la sua recezione per evitare l’estromissione o l’abbandono della delegazione russa all’assemblea.
L’intera dirigenza del CEC si è impegnata a difendere l’istituzione come luogo di dialogo e di confronto, prezioso proprio nei momenti di massima tensione internazionale. Ciò non ha impedito che l’assemblea approvasse una severa mozione contro l’aggressione bellica della Russia. Il documento richiama le oltre 13.000 vittime, i 14 milioni di sfollati, il pericolo grave di un’esplosione atomica a Zaporizhzhia e qualifica la guerra come «illegale e ingiustificabile».
Essa «è incompatibile con la natura e la volontà di Dio per l’umanità e contro i nostri principi cristiani ed ecumenici fondamentali. Di conseguenza, rifiutiamo qualsiasi abuso di linguaggio e di autorità religiosa per giustificare l’aggressione armata e l’odio».
Si conferma il ruolo del Concilio ecumenico delle Chiese come «piattaforma e spazio sicuro per l’incontro e il dialogo». «Il compito della ripresa post-bellica sarà arduo e lungo, con enormi costi umani, finanziari ed ecologici. Le Chiese sono chiamate a svolgere un ruolo chiave nella guarigione delle memorie, nella riconciliazione e nella cura diaconale. Riconosciamo che, in guerra, non ci sono “vincitori” e che nessuno dovrebbe mai ricorre alla guerra».
Si invitano gli stati ad operarsi per la pace e per la risoluzione non violenta dei conflitti, piuttosto che investire nelle armi e nelle divisioni. Il testo proposto in assemblea non ha subito particolari variazioni. Solo una a vantaggio di Mosca, quando si parla di «delegazione multinazionale» da parte della Russia e una contro di essa: invece di «guerra» si dice «invasione russa dell’Ucraina».
Il vero evento che molti auspicavano era l’incontro diretto fra le due delegazioni, quella russa e quella ucraina. Sarebbe stato un segnale di grande significato, simile alla lettera che, alla fine del concilio Vaticano II, l’episcopato polacco scrisse a quello tedesco nel 1965 per avviare la riconciliazione delle memorie. Ma questo non è successo.
Anche se la loro contemporanea presenza nell’assemblea non è priva di significato positivo. Il voto sul documento ha visto la delegazione russa scegliere l’astensione e non il rifiuto. A testimonianza di uno sforzo, in particolare del capo delegazione, il metropolita Antonio, presidente del dipartimento delle relazioni ecclesiastiche estere del patriarcato, che ha apprezzato la prudenza del testo, la difesa della partecipazione della delegazione da parte dei vertici CEC e l’accenno alle azioni umanitarie della Chiesa russa nei confronti delle popolazioni coinvolte nel conflitto. Ma la politicizzazione dello scritto ne violerebbe l’imparzialità.
Ecumenismo della sofferenza
L’assemblea che si è occupata di molti altri temi (migrazioni, ruolo della donna, ecologia, diverse situazioni mondiali – Medio Oriente, Africa, Corea, Nagorno-Karabakh ecc. – persecuzioni anticristiane, ingiustizie sociali, xenofobia, razzismo, diritti umani, pandemia ecc.), non ha nascosto le profonde divisioni tra le Chiese, in particolare ortodosse.
Il vescovo ucraino Yevstratiy, in un’intervista a Orthodoxtimes, ha sottolineato l’intervento indebito e urtante di Mosca sulle Chiese di Alessandria, Grecia e Cipro e sulla Georgia. Il filo-russismo pregiudiziale è attivo in Romania, Antiochia, Bulgaria e Serbia.
La Chiesa russa, e soprattutto i suoi vertici, appaiono condannati all’isolamento e a pesanti critiche. Ci vorranno anni e scelte coraggiose per recuperare fiducia. Non casualmente l’arcivescovo anglicano Welby ha parlato a Karlsruhe di un «ecumenismo della sofferenza», di un tempo in cui le migliaia di morti per la fede nelle persecuzioni anticristiane attive in centinaia di stati nel mondo, in cui le appartenenze confessionali e le distinzioni teologiche non hanno alcun peso, dovrebbero indurci ad «abbeverarci dello spirito di amore del Cristo» relativizzando le differenze. «Non possiamo più permetterci il lusso della separazione».
Il modo in cui il CEC ha affrontato il tema della guerra in Ucraina, tenendo aperti tutti i varchi possibili, cercando di non demonizzare nessuno, di combinare verità e comprensione, di non confondere i vertici politici con il popolo e i responsabili ecclesiali con le comunità dei fedeli, è vicino all’approccio di papa Francesco e alla sua volontà di non fare il «cappellano dell’Occidente», senza tacere le responsabilità dell’aggressore.
Giusto provare a costruire la pace. Giusto cercar moderazione per permettere una speranza di dialogo tra le chiese interessate al conflitto. D’altronde nel cammino ecumenico ci è voluto tanta pazienza in situazioni normali, immaginiamo quanta ne occorre ora.
Avanti a costruire la pace!
Saluti