Parlare del possibile concordato fra Chiesa serba e governo del Montenegro (cf. SettimanaNews, qui) in un contesto geopolitico che registra un altissimo allarme per la possibile invasione russa in Ucraina e uno, meno percepito ma non meno grave, di guerra etnica in Bosnia Erzegovina (ambedue aree di appartenenza e influenza dell’ex Unione Sovietica) può apparire una divagazione barocca e impropria.
Senonché è stata l’efficace azione politica della Chiesa serba in Montenegro a convincere la Chiesa filo-russa ucraina a ingrossare le file delle processioni anti-governative a favore della Chiesa locale non autocefala, mettendo in difficoltà il governo.
Ed è la crescita del pan-serbismo e la sua identità ortodossa ad alimentare la volontà della regione serba in Bosnia Erzegovina a chiedere un’autonomia più simile all’indipendenza che al rafforzamento dell’amministrazione locale.
Il primo Accordo ortodosso
Una regolamentazione fra stato e religioni in Montenegro è già funzionante per i cattolici e gli islamici. Da una decina d’anni si discute sulla legge che disciplina quelli con la Chiesa ortodossa locale il cui riferimento è alla sede patriarcale di Belgrado (Serbia).
Una proposta penalizzante dell’ex presidente Dukanović è stata rifiutata e ha rappresentato la miccia per la caduta del suo governo e la perdita della maggioranza (30 agosto 2020). Profondamente corretta dalla nuova maggioranza del governo di Zdravko Krivokapić ha aperto la possibilità (per la prima volta in contesto politico ortodosso) di un concordato o accordo di base fra la sede patriarcale di Belgrado e il governo del Montenegro.
Sembrava cosa fatta, ma Krivokapić, che pure era volato a Belgrado per questo, non ha firmato (maggio 2021). La vicenda ha irritato favorevoli e oppositori per opposte ragioni.
La tensione è cresciuta con la rocambolesca consacrazione episcopale del nuovo vescovo montenegrino, Ioannice, nell’antico monastero di Cetinje (settembre 2021), bloccato dai dimostranti, che hanno procurato un momento di panico anche per il patriarca Porfirio.
Il contenuto del concordato, pubblicato in bozza dal quotidiano Vijesti, prevede nei suoi 20 articoli una particolare posizione del clero nei confronti della giustizia, l’introduzione dell’insegnamento religioso a scuola (regolato da una successiva intesa), un libero accesso della Chiesa ai media nazionali e una particolare protezione dei beni ecclesiastici.
Le opposizioni e gli ambienti accademici hanno criticato il privilegio sulla responsabilità penale del clero, la priorità del concordato sulle leggi nazionali, il dubbioso riconoscimento della continuità storica della Chiesa ortodossa serba dal 1219, quando uno statuto giuridico certo porta la data del 1836.
Spinte nazionalistiche e gestione prudente
In una lunga intervista a International Life (edita in Russia), il patriarca Porfirio ha così affrontato la questione: «Nessuno deve essere leso o privato dei suoi diritti a danno di altri. Siamo pronti a esaminare tutte le opzioni poste sul tavolo. La nostra équipe giuridica pensa sia possibile migliorare il testo.
Se è necessario, possiamo cominciare dalla pagina bianca. Finalizzando il tutto al bene del popolo. Come in ogni impresa, anche in questa voglio rispettare e proteggere gli interessi delle due parti in forma equilibrata, tanto più che le due parti appartengono in maggioranza allo stesso popolo credente. Come tutti nella Chiesa, sono molto ottimista sulla questione. In un prossimo avvenire, la cui durata è principalmente determinata dall’appianamento delle divergenze politiche in Montenegro, arriveremo a una soluzione per il bene di tutti».
Il governo montenegrino di Krivokapić è caduto il 4 febbraio. L’approccio dialogico e irenico del patriarca viene confermato dal versante della minoranza cattolica in Serbia, da mons. Ladislav Nemet, presidente della Conferenza episcopale che unisce Serbia, Montenegro, Kosovo e Macedonia del Nord): «In Serbia la Chiesa cattolica ha gli stessi diritti e le stesse libertà della Chiesa ortodossa che è quella maggioritaria. Tuttavia, solo la Chiesa ortodossa può usare per legge l’aggettivo “serbo”. Non può esserci la Chiesa cattolica serba, ma solo la Chiesa cattolica in Serbia.
E io non posso essere un vescovo serbo. Anche le parrocchie cattoliche, dopo la riforma del 2010 per la loro registrazione come entità giuridica, hanno una denominazione di matrice croata. È discriminazione? Diciamo che è un modo per far capire che siamo altro» (Avvenire, 30 gennaio 2022).