Se, nel millennio scorso, avessimo assistito alla preparazione di uno dei sette concili ecumenici, probabilmente non avremmo avuto – per certi versi – un’impressione molto diversa di quella prodottaci oggi dalla ridda di discussioni, controversie e notizie contradditorie.
Non lo dico per minimizzare i problemi esistenti – che sono in realtà molteplici e gravi – ma per sottolineare che la verità nella Chiesa si è sempre fatta strada nonostante e attraverso errori e ambizioni umane, come sembrano, purtroppo, quelle che hanno inceppato la macchina conciliare proprio alla vigilia dell’apertura della grande assise, dopo mesi di preparazione serena e concorde.
In ogni caso, quello che molti chiamano “Concilio pan-ortodosso” costituisce in realtà il “Grande concilio della Chiesa ortodossa” – che è più della somma delle Chiese locali – non rappresenta semplicemente una confederazione di strutture autonome e parallele ma ha in primo luogo una natura mistica e quindi, se si riunirà nei prossimi giorni, potrà in ogni caso testimoniare l’unità della Chiesa ortodossa.
Mentre scrivo queste righe, arriva la notizia che la Chiesa serba ci ha ripensato e parteciperà al Concilio. Chissà che questi pochi giorni che ci separano dalla Pentecoste ortodossa – data scelta, appunto, per celebrare il Concilio – non ci riservino liete soprese. In ogni caso, anche monca, una riunione della maggioranza delle Chiese ortodosse volta a implorare l’unità e la pace rappresenta un evento straordinario, in momenti così drammatici per il mondo, in cui la Chiesa sarebbe veramente chiamata a riprendere l’evangelico ruolo di lampada «sul candelabro, per far luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15).
Per capire la straordinarietà del prossimo Concilio pan-ortodosso va precisato che un’assemblea del genere non si riuniva dall’VIII secolo, cioè dal settimo Concilio ecumenico. In seguito, sull’impossibilità di convocare un concilio ecumenico (cioè universale) avrebbero pesato lo scisma del 1054 tra Roma e Costantinopoli, il fallimento dei tentativi di ricomporlo (in particolare attraverso il Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-1439), e anche i periodici attriti tra le singole Chiese ortodosse nazionali. D’altro canto, l’idea di sinodalità (sobornost’) è il cuore stesso dell’Ortodossia, e nel corso della sua storia la sua centralità riaffiora continuamente, attraverso i carismi di santità e il pensiero delle menti più acute: il Concilio, cioè, non è semplicemente un’assemblea organizzativa o legislativa, ma innanzitutto un’esperienza dell’azione dello Spirito che in esso prende forma e si esprime. Di qui l’esigenza, da tempo avvertita, di convocare un Concilio pan-ortodosso, che in realtà si sta preparando fin dal 1930, ma è sempre stato rimandato per l’insorgere di gravi e diverse difficoltà, tra cui i conflitti che nel frattempo hanno scosso il mondo e il crearsi dei diversi blocchi politici che hanno condizionato, talvolta pesantemente, le singole Chiese ortodosse nazionali.
La difficoltà principale, tuttavia, è più in profondità, come ha coraggiosamente messo in luce Ioannis Zizioulas, metropolita di Pergamo, denunciando il «collasso della prassi della sinodalità tra le Chiese autocefale». In altri termini, ci si è abituati a concepirsi individualisticamente, ad avere come proprio orizzonte unicamente la propria nazione e la propria tradizione culturale, a riporre le proprie speranze di salvezza in avite formule e rituali locali. Così si spiegano, in fondo, le difficoltà incontrate fin qui. Speriamo che il rombo dello Spirito sia più forte delle contraddizioni umane, e che anzi questa sofferta “preparazione” del Concilio solleciti la responsabilità di ciascuna Chiesa e di ciascuno dei suoi membri.
Certamente la sotterranea, ma neppure troppo, “rivalità” tra Mosca e Costantinopoli”, la prima accettando obtorto collo di essere considerata la V Chiesa ortodossa, secondo l’ordine protocollare in ragione dell’entrata sulla scena della storia, pesa oggi e continuerà a pesare domani.
La prima Chiesa a tirarsi fuori è stata quella bulgara, molto vicina a Mosca. Ciò non vuol dire che il Patriarcato di Mosca abbia fatto pressioni su quello di Sofia. Sono anni che Sofia non partecipa più neppure alle riunioni del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC).
Altre Chiese, la serba, la giorgiana e quella d’Antiochia, avevano chiesto una “Synassi”, cioè una riunione, di tutti i primati prima dell’apertura del Concilio per discutere certi problemi. Ma Costantinopoli ha declinato la richiesta argomentando che tutti i testi erano stati ratificati da tutte le Chiese già a gennaio 2016.
Mosca ha rimproverato a Bartolomeo di non essere capace di dialogare con le Chiese: «La situazione attuale esclude la possibilità di qualsiasi compromesso». Inoltre il Patriarcato di Mosca, per giustificare la decisione di non partecipare, ha rilevato l’assenza, dai temi conciliari, di questioni attuali, come la persecuzione dei cristiani nel mondo, la crisi della famiglia o la bioetica.
Come sopra scritto, il ripensamento della Chiesa serba lascia aperto uno spiraglio di speranza che, dietro le quinte, Mosca e Costantinopoli cerchino “un compromesso” che salvi la faccia e l’onore di entrambe le Chiese. E soprattutto eviti che il resto del mondo cristiano continui a ritenere che “il frazionamento delle Chiese Ortodosse” sia una “malattia” difficilmente sormontabile.
Antonio Mennini, già nunzio a Sofia e Mosca, è ora nunzio apostolico in Gran Bretagna.
Più chiaro di cosi. Ogni uomo o è con Dio o è contro Dio.
Chi ha orecchi per intendere intenda!
Con tutto il rispetto per Mons, Mennini, vista la complessità e delicatezza del tema, mi sarei aspettato un’analisi più articolata, incisiva, sostanziosa.