C’è un’opposizione dentro le Chiese ortodosse a Cirillo e alla sua giustificazione dell’aggressione russa all’Ucraina?
«Credo che sia una questione di tempo. C’è un’opinione pubblica, anche all’interno della Chiesa, che sta maturando e che sta, a mio avviso, crescendo. Ma, per ora, è minoritaria»: così si esprimeva l’8 marzo sulla SIR, il pope Giovanni Guaita, prete cattolico convertito all’ortodossia e firmatario della protesta di circa 300 pope ortodossi contro la guerra in Ucraina.
Prima vi era stata la clamorosa e fondamentale presa di posizione dell’arcivescovo ucraino della Chiesa filo-russa, Onufrio, che il 24 febbraio diceva: «La Russia ha tragicamente cominciato operazioni militari contro l’Ucraina e, in questo momento storico vi esorto a non cedere al panico, ad essere coraggiosi e ha manifestare l’amore alla patria e fra voi».
Pochi giorni dopo, il sinodo della sua Chiesa condivide la sua posizione: «La Chiesa ha sempre sostenuto e continua a sostenere la sovranità statale e l’integrità territoriale dell’Ucraina». Sono cinque i vescovi delle diocesi ucraine filo-russe a sospendere la menzione di Cirillo nella preghiera eucaristica.
Ad uno di questi, il metropolita Eulogio (Sumy e Akhtyka), il patriarca di Mosca risponde: «È uno scisma e chi lo commette risponderà davanti a Dio». Ciò non impedisce al vescovo filo-russo di Leopoli di chiedere la rottura con Mosca: «I nostri preti stanno subendo una enorme pressione… Se si prolunga troppo, la situazione può diventare pericolosa per i nostri fedeli».
Servire il Vangelo, non il potere
All’inizio di marzo un gruppo di preti ortodosso-russi (diventeranno quasi 300) sottoscrive una petizione pubblica per chiedere l’immediato cessate il fuoco. Non vogliono che la Chiesa porti la responsabilità delle maledizioni delle madri dei soldati che moriranno nel conflitto e dell’abisso che si sta scavando tra i familiari e le generazioni che si collocano sui due fronti.
Bisogna chiedere il perdono a quanti sono stati feriti e umiliati e astenersi dalla repressione di chi in patria protesta contro la guerra. Sergey Chapnin, già collaboratore del patriarca, in un testo pubblicato su Wiez in Polonia, attacca Cirillo che è abituato «ad evitare costantemente qualsiasi valutazione morale delle decisioni delle autorità politiche, nonostante la sua autorità nella società» e invoca il dono della profezia per la sua Chiesa.
«Negli ultimi anni i vescovi della Chiesa ortodossa in Russia, e soprattutto lo stesso patriarca, si sono preoccupati per il consenso all’ordine ideologico del Cremlino, alla cooperazione con le autorità politiche che ignorano del tutto i comandamenti evangelici, sostituendoli con i “valori tradizionali”». Kirill Hovorun, teologo ortodosso che insegna a Stoccolma, denuncia la confusione fra progetto pastorale di Cirillo e neo-imperialismo di Putin.
La pretesa di una “civilizzazione ortodossa” (in parallelo allo “scontro di civiltà” in voga qualche decennio fa) giustifica un rapporto egheliano di Putin con la storia e una riduzione del cristianesimo a etnia da parte di Cirillo. Scompare la dimensione profetica e rimane l’obbedienza ecclesiale al nuovo imperatore. Anche Vitaly Vlasenko, battista e segretario generale dell’Alleanza evangelica in Russia, scrive a Putin appoggiando la richiesta dei responsabili religiosi ucraini di una soluzione pacifica al conflitto.
Divisioni fra Chiese
I rappresentanti di tutte le religioni e confessioni ucraine scrivono il 24 febbraio: «Sosteniamo le forze armate dell’Ucraina e tutti i nostri difensori» e fanno appello ai capi religiosi del mondo per invocare la pace.
Il vescovo della Georgia in Belgio, Chiesa finora schierata con Mosca, chiede il riconoscimento della Chiesa autocefala in Ucraina (contro le attese russe). Un suo collega, Stefano di Tsageri, chiede a Cirillo di dimettersi e di scusarsi. In Francia, fra le tre giurisdizioni ortodosse, quella del vescovo Giovanni e della sua Chiesa di tradizione russa, parla di «guerra mostruosa e insensata» , distinguendosi dalle altre due, più inclini a sostenere la posizione di Mosca.
Durissime e ripetute le parole del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli. La guerra è contro il Vangelo, «il mondo intero è contro la Russia. Stiamo entrando in un nuovo periodo della guerra fredda». Epifanio, primate della Chiesa autocefala ucraina, continua a comunicare il grido del popolo ucraino e ammette, sulla base dei servizi segreti, di essere uno dei predestinati alla morte.
Il giudizio dei teologi
Mentre i responsabili ortodossi di Antiochia, Cechia, Canada, Bulgaria, Gerusalemme e Serbia si nascondono dietro la posizione russa e non parlano di guerra in atto, le Chiese di Romania, Finlandia, Corea e Lituania si esprimono per condannare l’azione militare russa. In Olanda un’intera comunità con i propri responsabili passa all’obbedienza di Costantinopoli.
Il primate ortodosso di Atene ammette: «la guerra tra popoli della stessa confessione cristiana diminuisce la nostra credibilità in quanto cristiani» e penalizza la presenza ortodossa nel mondo e tra le confessioni cristiane.
Il 13 marzo diventa pubblico un argomentato appello di 500 teologi ortodossi (per gran parte di tradizione ellenica e operanti in Occidente) in cui si denuncia la cattiva teologia del Russky Mir (Mondo russo).
«Tale insegnamento sostiene che questo “mondo russo” ha un centro politico comune (Mosca), un centro spirituale comune (Kiev, quale madre di tutte le ‘Rus), una lingua comune (il russo), una Chiesa comune (la Chiesa ortodossa russa, il patriarcato di Mosca) e un patriarca comune (il patriarca di Mosca), che lavora in “sinfonia” con un presidente-capo nazionale comune (Putin) per governare questo mondo russo, oltre che per sostenere una spiritualità, moralità e cultura comuni, distinte da quelle del mondo non russo».
Un impianto che confonde l’impero con il Regno di Dio del Vangelo, che divinizza lo Stato, che è prigioniero di una etnia, che abbandona l’universalità della salvezza e che istiga all’odio e alla divisione. Non solo. Questa posizione teologica annulla la responsabilità storica del cristiano e ne impedisce i doni di parresia e profezia. La Chiesa russa, che rimane un gioiello della cristianità, nonostante i suoi attuali errori, ha bisogno di un cambiamento di leadership.
Hilarion defilato e prudente
Finora nessun vescovo della Russia si è espressamente opposto alla leadership di Cirillo e dei suoi immediati collaboratori, ma c’è ragione di credere che il blocco non resterà tale a lungo. Un qualche segnale è possibile individuarlo persino nella cabina di comando.
Molti hanno notato il defilarsi, le parole sommesse e il silenzio di Hilarion Alfeyev, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Posizione forse strumentale e strategica, ma non priva di interesse. Il 14 marzo pronuncia un’ampia relazione sul contributo di Cirillo all’unità della Chiesa ortodossa, ma si limita a ricostruire con accuratezza le relazione di Mosca con Costantinopoli prima e dopo il concilio di Creta e non dice una sola parola circa le sue posizioni dopo due settimane di guerra in Ucraina.
Nelle ultime righe si limita a sottolineare la convergenza delle Chiese ortodosse nell’aiuto all’Ucraina, a denunciare l’attività settaria di Epifanio e Bartolomeo, e a prevedere una lotta importante per l’unità della Chiesa russa. Tanto più che quattro giorni prima assiste alla spiegazione che Cirillo offre a tutta la dirigenza della sua Chiesa riconducendo lo scontro russo-ucraino a quello fra Russia e Occidente.
Un certo disagio è riconoscibile anche nella lettera di risposta al decano della facoltà di teologia di Friburgo (Svizzera), M. Delgado, che lo informava della sospensione del suo insegnamento: «Dopo il 2014, data di inizio del conflitto nell’Ucraina dell’Est, ho investito molti sforzi ed energie per arrivare alla riconciliazione e alla pace fra i popoli russo e ucraino e ho aiutato molti cristiani ucraini a sopravvivere. Se si vogliono ottenere risultati non si ricorre generalmente alle dichiarazioni pubbliche, ma piuttosto attraverso un lavoro quotidiano difficile e sfinente che si svolge per gran parte a porte chiuse. Un lavoro molto intensificato in questi ultimi giorni e che proseguirà fino alla fine del conflitto».
Nel suo programma televisivo settimanale si fa interrogare su molte questioni (dalle critiche provenienti da altre Chiese ortodosse ai casi personali discussi nei media locali, da varie proposte di legge alle pubblicazioni letterarie), ma mai sulla guerra. Accetta la questione sui rapporti fraterni fra popolo russo e ucraino, ma si limita a dire che la questione è aperta. Le radici rimontano al battesimo del principe Vladimir e la relazione non può essere distrutta. «Perciò quelle forze che operano contro la nostra unità, operano sia contro la Chiesa che contro Dio».
Il sito Orthodox Times (Grecia-Costantinopoli) ironizza: «Il solitamente ciarliero metropolita Hilarion sul sito del Dipartimento (in 12 lingue), dopo dieci giorni dell’attacco russo all’Ucraina, non ha ancora espresso una sola parola sulla guerra».
E il vescovo della Chiesa autocefala ucraina, Yevstatiy di Cherniyiv, ha proposto per lui, Cirillo e altre due figure apicali, di venire incluse «nell’elenco di quanti sono oggetto di sanzioni internazionali e ucraine, come membri attivi del regime del Cremlino, responsabili della pianificazione, esecuzione e attuazione della guerra contro l’Ucraina».
La guerra non è mai giusta
Per fortuna restano i dialoghi diretti fra i massimi responsabili religiosi. Cirillo ha riposto per lettera al p. Ioan Sauca, segretario generale temporaneo del Consiglio ecumenico della Chiese (CEC) che l’aveva invitato ad adoperarsi presso Putin per la sospensione della guerra.
Ricorda il pericoloso avvicinarsi della Nato alla Federazione, il peso delle sanzioni sulla popolazione e la missione del CEC di essere un luogo di dialogo imparziale, chiamato ad astenersi da ogni atto incompatibile con relazioni fraterne. Più importanti i due successivi colloqui, con papa Francesco e l’arcivescovo di Canterbury.
Il papa gli ha espresso la necessità di superare i temi della guerra giusta: le guerre sono sempre ingiuste perché chi paga è il popolo di Dio. Da parte sua Cirillo ha sottolineato l’importanza centrale dei colloqui bilaterali avviati fra Russia e Ucraina.
Simile il dialogo con Justin Welby a cui Cirillo ha ricordato la persecuzione subita dagli ortodossi del Donbass.
J.-F. Colosimo sottolinea l’opportunità di Cirillo di compensare la perdita di credito interna con i colloqui internazionali, per sfuggire all’incomoda posizione di «aiuto di campo di Putin». E conclude: «Non ha alcuna influenza vera su Vladimir Putin. Le sue posizioni accompagnano la retorica politica del capo, ma Cirillo non è l’ideologo del Cremlino».
La sua incapacità di denunciare la guerra testimonia la fragilità del suo potere.
Capisco le critiche che – è evidente – sono condivisibili, eccezion fatta da quella parte cattolica conservatrice che condivide invece la visione di Cirillo. Hilarion sarà sicuramente defilato, ma così influente (almeno in questo momento). Non credo che nel mondo ortodosso russo ci sia una reale critica al suo patriarca perché vige un cesaropapismo.
Mi avevano insegnato che dove tacciono le campane suonano le mitraglie. Questa immane tragedia scoppiata nel cuore della “cristianità” sembra dimostrare che dove più suonano le campane, più esplode la violenza, crescono le mafie, vengono calpestati i diritti umani. La tanto decantata spiritualità ortodossa crolla alla prova dei fatti e si dimostra solamente capace di generare utili idioti al servizio del regime. E noi cattolici?
Salvatore
Ecumenismo accoltellato!
Solo per ringraziare Prezzi e la redazione per il preziosissimo servizio che sempre, e soprattutto ora, rendono a noi tutti.
Grazie,
D. Augusto