Continua l’appoggio del patriarca Cirillo a Putin contro le minacce “più pericolose e terribili”. Lo ha fatto parlando ai minatori e ai carcerati.
In singolare sincronia con la crisi dell’operazione militare in Ucraina e con l’emergere delle prime crepe nel consenso allo zar, il patriarca Cirillo ha alzato ulteriormente il consenso ecclesiastico nei confronti del potere.
I 6.000 chilometri quadrati riconquistati dall’esercito di Kiev hanno motivato le proteste di due gruppi consiliari a Mosca e San Pietroburgo che hanno chiesto le dimissioni del presidente, senza peraltro impensierire troppo i vertici.
Anche fra i sostenitori dei circoli nazionalisti e dei commentatori più fedeli cominciano a prendere voce le sorde frustrazioni dell’elettorato russo dopo sette mesi di guerra, davanti a risultati finora deludenti.
A questo si aggiunga il modesto consenso internazionale raccolto fra i paesi non occidentali. India e Cina hanno fatto capire la loro distanza, assai malamente ovviata dal consenso di due paesi come la Corea del Nord e l’Iran.
Non commetterà mai crimini di guerra
Il patriarca Cirillo ha alzato l’asticella del consenso. E l’ha fatto sostenendo per nome il comandante supremo e agendo, in basso, con l’incoraggiamento ai ceti più modesti, come i minatori di Skalisty e i prigionieri di Norilsk.
Il 12 settembre, nella memoria liturgica di Alexander Nevsky, dopo averne ricordato le vittoriose imprese militari, ha aggiunto: «Oggi, lo ripeto, viviamo un momento molto difficile, e quindi la nostra speciale preghiera è per il capo del nostro stato, per il comandante supremo Vladimir Vladimirovich Putin, che ha una responsabilità apicale, così come per tutti i leader militari e le autorità civili. Affinché il Signore lo renda saggio, lo rafforzi, lo illumini, lo protegga dai peccati e dagli errori e, allo stesso tempo, ispiri a lui azioni che proteggano la nostra patria da tutte le minacce esterne, anche le più pericolose e terribili».
Pochi giorni prima della scoperta del massacro di Izium nelle aree del Donbass riconquistato, e delle centinaia di fosse nei boschi attorno all’abitato, suonano francamente problematiche altre affermazioni che sostengono la convergenza fra spada militare e corona politica: «Tale combinazione è una garanzia che un paese con una simile leadership non commetterà mai crimini di guerra».
Qualche giorno dopo (17 settembre) il patriarca ha visitato le miniere e ha incontrato i rappresentanti dei lavoratori. «Nelle difficili condizioni in cui si trova il nostro paese, i frutti del vostro lavoro hanno un grande significato economico, ma anche politico. In altre parole, state facendo una cosa grande e importante per l’intero paese e per il nostro popolo».
Lo stesso giorno incontra alcuni carcerati della colonia penale n. 15 a Norilsk e li esorta a utilizzare il tempo del carcere per una rinnovata coscienza fisica e spirituale, a trasformare la prova in sfida, rendendo più forte l’intero popolo russo.
Il nonno prete e il suo esempio in carcere
Come esempio e incoraggiamento ricorda la vicenda di suo nonno che vale la pena riprendere per intero, se non altro per la biografia del patriarca: «Ricordo mio nonno che ha attraversato 49 carceri e ha trascorso gran parte della sua vita adulta in prigione e in esilio. Non era un criminale: era un cristiano ortodosso. E quando iniziò la persecuzione della Chiesa sotto il regime sovietico, si espresse contro i persecutori, contro la chiusura delle chiese, contro vari tipi di scismi che il regime sovietico provocava all’interno della comunità cristiana.
Praticamente dal 1922 al 1954 fu in carcere e in esilio. E così mio nonno venne a Leningrado, dove allora viveva la mia famiglia. L’ho incontrato assieme a mia madre. Alla stazione ho visto un uomo anziano con la barba. Aveva in mano una grossa valigia di compensato. La mamma gli corse incontro e disse “papà, papà! Chiamo un facchino”. E lui “per fare cosa? No, non è necessario”. E l’anziano ha preso la valigia di compensato e l’ha sollevata con facilità. E, successivamente, quando ho conosciuto meglio mio nonno, ho capito che era uomo per nulla schiacciato dalla vita. Dopo qualche tempo, ricevette l’educazione ecclesiastica e in età molto avanzata divenne sacerdote.
Morì a più di novant’anni. Vi sto raccontando questa parte della mia storia familiare perché mio nonno ha attraversato prove che nessuno di voi ha conosciuto. Dopotutto una cosa è trovarsi in prigione nei nostri giorni, e altra cosa negli anni ’20 del secolo scorso. Ma il nonno ha vissuto, come vi ho detto, una lunga vita e non si è mai considerato infelice.
Ha sempre parlato dei tempi trascorsi in carcere come eventi di grande importanza, ma non tragici. Perché dalla sua permanenza in prigione – e quelli sono stati gli anni più duri! – ha sopportato qualcosa che lo ha reso un uomo forte e felice».