Il documento («Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune»), frutto dell’incontro fra cristiani e musulmani del 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, firmato dai rappresentanti delle due rispettive comunità, papa Francesco e l’imam Al-Tayyeb, rappresenta un punto fermo nel lungo cammino di dialogo e riconoscimento reciproco partito con le storiche dichiarazioni di più di mezzo secolo fa del concilio Vaticano II.
Punto fermo ma non punto d’arrivo, perché, come dichiarato fin dalla prima pagina, sono state condivise «le gioie, le tristezze e i problemi del mondo contemporaneo», per «una dichiarazione comune di buone e leali volontà». Punto fermo quindi da cui ripartire con rinnovato impegno senza tuttavia ignorare o sottovalutare gli sforzi fin qui compiuti, da entrambe le parti.
Fratellanza umana
Il documento parte da quello che viene definito «valore trascendente», enunciato nelle prime righe: «La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia – il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana […]».
Per noi musulmani «il credente è lo specchio del credente» («al mu’min mir’atu-l-mu’min», hadith del profeta Muhammad), ma anche «il credente è lo specchio del Credente», dove il secondo al-Mu’min, uno dei 99 più bei nomi di Dio, non è altro che un attributo e una qualità di Allah, che ci ricorda come soltanto l’impronta divina presente in tutti gli esseri umani possa suscitare in ciascuno una vera fede.
Non solo: giustamente del Dio creatore viene qui ricordato un suo attributo fondamentale, la misericordia, forse il suo aspetto più citato e ricordato dal fedele musulmano, «il Misericordioso», Al-Rahman, secondo la cui forma, per l’islam, è stato creato l’uomo, la forma del Misericordioso, ‘ala surati-r-Rahman.
Purtroppo il richiamo alla fede in Dio creatore e misericordioso è necessario ma non sufficiente ad attestare il dovere della fratellanza fra esseri umani; esso non ci esime dalla necessaria e precisa diagnosi dei mali che ostacolano una realizzazione corale, se non unanime, di questa fratellanza da parte degli «uomini di buona volontà».
Per comportamenti concreti
Ed è in questo senso che le analisi e le argomentazioni che accompagnano questa dichiarazione congiunta di intenti verso un bene comune e condiviso, sembrano necessarie affinché un segno concreto di fratellanza fra cristianesimo e islam, nel nome di San Francesco e del pio sultano d’Egitto già alla loro epoca incompresi da tutti, non rimanesse nella vaghezza delle dichiarazioni di principio, ma si disponesse fin da subito ad essere applicato in ogni circostanza della vita pubblica.
Colpiscono in questo documento alcuni riferimenti a problematiche cruciali dei nostri giorni, quali la necessità di «salvaguardare il creato» o la denuncia di «sistemi di guadagno smodato» o «la mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali», già oggetto di recenti encicliche papali come Laudato si’, sulla cura della casa comune o Caritas in veritate, in modo particolare il suo terzo capitolo su «Fraternità, sviluppo economico e società civile», che hanno trovato la comunità islamica sostanzialmente concorde nelle analisi e nelle possibili soluzioni.
Al di là dei singoli problemi, tuttavia, fra le righe del documento sembra emergere la legittima preoccupazione che la religione venga più o meno esplicitamente relegata a fatto privato, esautorandola da ogni influenza nel pensiero e nella vita pubblica. Ma perché questo non avvenga, serve tra le diverse religioni dell’unico e stesso Dio un’alleanza anche tangibile, e questo documento ne è senza dubbio un chiarissimo segno.
Il consenso della Coreis
Per questo motivo la Coreis (Comunità religiosa islamica italiana), il cui presidente, l’imam Yahya Pallavicini era nella delegazione islamica ad Abu Dhabi, sta contribuendo alla diffusione e discussione del documento in sedi nazionali e internazionali anche attraverso il Consiglio Europeo dei Saggi Musulmani (European Muslim Leaders Majlis – EuLeMa), un coordinamento di autorità religiose musulmane d’Europa che condividono responsabilità istituzionali, teologiche e accademiche, impegnati nel dialogo interreligioso e nell’educazione interculturale, riunitosi recentissimamente a Bucarest sotto la presidenza dell’Unione Europea per studiare piste e programmi operativi per aggiornare le attività alla luce dei punti espressi nella Dichiarazione di Abu Dhabi e favorirne il pieno successo.
Troviamo molto toccante la formula ben articolata che presenta «Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente – insieme alla Chiesa cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente», questo richiamo nuovo all’Oriente e all’Occidente riunificati senza essere confusi, sia per l’islam sia per il cristianesimo, che sembra far trasparire anche un’attenzione di papa Francesco per il cristianesimo delle origini, ancora pochi giorni fa evocato nel discorso ai governanti delle repubbliche Ceca e Slovacca, dove il pontefice propone l’esempio del vescovo Cirillo come modello per un dialogo interculturale radicato in una profonda fede e identità cristiane orientato «a riconoscere e a realizzare il bene, la verità e la bellezza».
In nome di…
Queste ultime parole ci incoraggiano a vedere, nell’accento particolare sul carattere di fratellanza «umana» che deve unire i fedeli delle diverse religioni, un richiamo innanzitutto a una ritrovata pienezza dell’umanità, nella centralità della funzione dell’uomo e della donna come «vicari di Dio sulla terra» e quindi custodi della creazione in tutte le sue componenti e dinamiche di economia spirituale e materiale, di salvaguardia fisica e di orientamento al vero bene. E di conseguenza, anche in una fratellanza tra gli uomini che sia protesa verso il divino, che sia un reciproco richiamo a una contemplazione trascendente, in definitiva che abbia origine e ritorno in Dio.
Ci sembra opportuno osservare che la diffusa mancanza di una qualità veramente spirituale nei rapporti interpersonali, spesso ridotti a mera sentimentalità o convenzione formale, è una delle cause inespresse che stanno portando la società contemporanea a una perdita del senso stesso di comunità e di famiglia, in primis nel senso di «famiglia umana».
Colpisce anche il lungo elenco di istanze «in nome di…», che richiama in quella che ci sembra una preghiera di sintesi fra le diverse voci «di buona volontà» che concorrono in diversi modi al bene comune di ogni società, per poterle far convergere nel «nome dell’Unico Dio» che conclude e sigilla l’elenco. Un accompagnamento alle diverse sensibilità, da quelle per i diritti umani come riflesso di un diritto divino universale e primordiale, ai richiami coranici al valore e all’inviolabilità della vita umana, alle beatitudini evangeliche verso la povertà di spirito, l’umiltà dei cuori, la difesa della giustizia, ancora alla sensibilità per quelle categorie dei deboli a cui si rivolgono esplicitamente le attenzioni di entrambe le dottrine religiose nell’esercizio anche materiale della carità.
Rispetto a documenti passati, questo, sotto l’apparenza di una nuova semplicità nelle espressioni, unita ad una concretezza nelle proposte operative, ci apre ad una nuova speranza per il futuro, al di là delle pur necessarie espressioni e declinazioni di confronto teologico che hanno caratterizzato altri momenti storici, di cui forse oggi si possono raccogliere alcune ricadute positive.
Grazie
Non bisogna naturalmente sottovalutare anche il rischio di una dispersione nei flutti delle molteplici sfide dei tempi, se ogni passaggio del documento non viene costantemente ricondotto a quella fede in Dio dal quale esso è partito, o di più, se non viene ricondotto all’insegnamento più globale di un papa Francesco che tempo fa richiamava i suoi teologi alla priorità di «inginocchiarsi nella preghiera» e di un rettore dell’università religiosa di Al-Azhar, custode del patrimonio dottrinale e religioso dell’Islam in una terra d’Egitto storicamente crocevia di tutte le scuole giuridiche e di tutte le confraternite contemplative dell’islam tradizionale.
Ringraziamo papa Francesco per la coraggiosa e non scontata scelta di onorare questo ottocentenario che rende giustizia al santo patrono d’Italia in quanto testimone della convergenza spirituale fra cristiani e musulmani, pur nei travagli e nelle vicende della temporalità che già ottocento anni fa non erano meno gravi di quelli che viviamo oggi.
Da parte nostra, esprimiamo l’auspicio che questo importante sforzo congiunto di riaffermare il primato del servizio al Misericordioso nell’esercizio della fraternità umana possa avere esito in un progressivo risveglio delle coscienze e coraggio nella libertà dello spirito che svincola gli uomini e le donne dall’asservimento ad ogni logica di potere o ideologia vana di questo mondo.
Abd al-Ghafur Masotti
Coreis (Comunità religiosa islamica) Italiana,
Commissione dialogo interreligioso