Nel maggio 2016, il giornale Riforma (e anche la versione online riforma.it) pubblicava un articolo firmato Luca Baratto, il cui titolo recitava «L’ecumenismo è donna»; il testo era assai efficace e il titolo era davvero azzeccato. Infatti, condensava una questione su cui le istituzioni ecumeniche, per lo più, distrattamente sorvolano: quanto il tema “donne” sia intrinseco al dialogo ecumenico.
Nella seconda parte, il pastore Baratto ricordava l’Appello ecumenico contro la violenza sulle donne, sottoscritto un anno prima circa da dieci rappresentanti autorevoli delle Chiese in Italia. Con quelle firme, aveva così preso forma compiuta una luminosa iniziativa, la cui origine risaliva alla volontà di donne del mondo evangelico.
Quel seme, però, rischiava di non portare frutto. L’eco pareva evanescente, ma qualcuna dentro il Segretariato attività ecumeniche (SAE) se n’è presa cura e lo ha fatto crescere. Nel solco dell’Appello, nacquero a Bologna le Tavole rotonde interreligiose dedicate a Religioni e violenza contro le donne, appuntamenti che si sono snodati dal 2016 al 2018 e che riprenderanno l’anno prossimo, organizzati dal SAE di Bologna, con l’ospitalità della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII della stessa città.
Interreligiose, ho scritto, poiché, se l’Appello era ecumenico, era opportuno fare altri passi nella direzione dell’inclusione. Sarebbe stato miope non estenderlo a donne di altre comunità religiose, quando l’evidenza ci mostra che le donne, in materia e in ambienti religiosi, hanno vissuto e vivono sulla propria pelle il pregiudizio sessista e il disconoscimento di una completa dignità (ciò in gradi e forme diverse a seconda delle Chiese, e come si sa, in molte Chiese evangeliche il pastorato femminile rappresenta un importante traguardo).
Dalle tavole rotonde è scaturito un libro curato da chi scrive – Non solo reato, anche peccato. Religioni e violenze contro le donne (Effatà editrice) –. Qui sono presenti i contributi di donne – teologhe o studiose – delle religioni monoteiste, di donne del mondo laico e di uomini che alle tavole rotonde hanno portato le loro analisi e pratiche per il contrasto agli stereotipi di genere o hanno offerto contributi sul tema a partire da un loro sguardo di «maschio consapevole».
Nel marzo di quest’anno, giovedì 14, abbiamo ufficializzato la nascita di un organismo inauguratosi nelle pieghe di quelle tavole rotonde: l’Osservatorio interreligioso sulla violenza contro le donne. Il gruppo costituente di tale organismo ha lavorato a lungo per redigere un Protocollo d’Intesa, dove sono esplicitate le motivazioni di fondo dell’associazione, le ragioni del suo essere, gli intendimenti comuni e le linee progettuali generali.
Nei locali della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna sono state apposte le firme al documento da ognuna delle ventidue donne facenti parte del Gruppo costituente. Siamo donne di religione ebraica, cristiana, musulmana, induista, buddista. Quella cristiana è rappresentata dalle componenti: evangelica (luterana, metodista, valdese, battista, avventista, pentecostale), cattolica (con esponenti di Gruppi donne Comunità cristiane di base) e ortodossa (Chiesa romena).
Molteplici sono le iniziative laiche che si occupano e si mobilitano sul fronte della violenza sessista, ma raramente lo fanno in una prospettiva religiosa. Il segno distintivo dell’Osservatorio è quello di inquadrare l’offesa alla dignità femminile nell’orizzonte delle fedi.
Le sfide sono tante, tra queste: realizzare una mediazione con le istituzioni religiose, nella direzione di una consapevolezza del loro ruolo storico nel campo dei rapporti di genere; le comunità religiose assai raramente ascoltano, valorizzano, e interagiscono con le donne su un piano di rispetto e di riconoscimento. Per lo più misconoscono, si servono delle donne o le relegano a funzioni “femminili”. Le giustificazioni non mancano; una delle più nobili è che questo sarebbe il piano di Dio o sarebbe scritto nei libri sacri.
In secondo luogo, rendere sempre più fecondo nel tempo il confronto e le pratiche tra donne di varie fedi nella direzione della libertà femminile (che, dischiudendosi, esalta contemporaneamente quella maschile); costituire uno spazio interreligioso dove “dal basso” si incontrino spiritualità femminili differenti, esercitino la loro ricerca libera e approfondiscano la ricchezza della propria appartenenza, valorizzando la propria soggettività, nello stile del partire da sé.
Tanti sono gli obiettivi, tra questi: che le donne non tacciano più; che le comunità religiose si rendano conto che la via del pentimento e del chiedere perdono è la via per praticare la giustizia.
In questa stagione così afflitta da ostentazioni di machismo, esibizioni di cattiveria, abusi sessuali intrinseci al dominio clericale maschile la nostra speranza è che l’Osservatorio possa essere un granello di senape.