Anatoly Krasikov, già giornalista della Tass e noto scrittore, dirige il Centro per gli studi religiosi e sociali presso l’Accademia russa delle scienze. Conosce a perfezione la Chiesa ortodossa russa, di cui è un laico fedele. Gli abbiamo sottoposto alcune domande.
– Signor Krasikov, nel libro Le catacombe sotto il Muro (EDB, 2015), lei anticipava di un anno lo storico incontro di papa Francesco con il patriarca Kirill. Un po’ prima del Natale 2015 promosse e organizzò insieme con il prof. Tomas Garcia, direttore dell’Istituto cattolico san Tommaso di Mosca, e padre Marani, del Pontificio Istituto Orientale di Rom, un simposio sul tema Dialogo delle Chiese dopo il concilio Vaticano II, fissando la data al 18 febbraio 2016, cioè sei giorni dopo l’incontro a L’Avana. Aveva previsto l’incontro?
Non è stata affatto una previsione. Si era a conoscenza che una commissione mista cattolico-ortodossa era da anni al lavoro per togliere gli ostacoli accumulatisi lungo i secoli del secondo millennio. La percezione dell’incontro di papa Francesco con Kirill era nell’aria. Soprattutto dopo che il metropolita Ilarion, il 28 giugno 2015, aveva detto che l’incontro poteva essere realizzato «in prospettiva prossima e in un territorio neutro».
– Perché il lasso di tempo tra l’annuncio dell’imminente incontro, il 5 febbraio, e la sua realizzazione, il 12 dello stesso mese, è stato ridotto a soli sette giorni?
L’ha spiegato lo stesso patriarca Kirill: bisognava neutralizzare le manovre delle «forze ostili che volevano impedire l’incontro». E non si è sbagliato, scegliendo questa tattica.
– Come è stata percepita in Russia la notizia subito dopo di essere stata diffusa ufficialmente?
La grande maggioranza dei miei concittadini l’ha accolta positivamente. Parlo della società civile e di gran parte dei media. La curiosità comunque prevaleva sulla sostanza dell’incontro.
Reazioni
– E dopo l’incontro?
Come ci si poteva attendere, agli echi più positivi provenienti dagli organismi ufficiali della COR, si sono successivamente aggiunte le critiche da parte dei radicali ortodossi, sia quelli noti sia quelli in ombra, compresi non pochi sacerdoti di base educati in uno spirito ferocemente anticattolico. Il loro portabandiera è il presidente del cosiddetto Sobor degli intellettuali ortodossi, il padre Alessio Moroz che paragona la situazione attuale a quella del Cinquecento, quando si combatté l’eresia dei giudaizzanti. Si trattava allora dell’eliminazione fisica dei seguaci di un teologo di origine ebraica, Zaccaria Givodin, arrivato nella città di Novgorod da Kiev al seguito del principe Michail, inviato nel 1470 dal re polacco per governare la città anseatica. Più critici ancora si sono mostrati quelli del sito internet Mosca la Terza Roma, che, attraverso la rete, hanno diffuso un appello, rivolto soprattutto ai giovani ortodossi. Secondo loro, «le autorità della Chiesa hanno compiuto un atto di tradimento. Ogni cristiano sa che la fede dev’essere difesa anche a prezzo della vita fino alla morte. È venuto il tempo del martirio per salvare i templi». Si battono per la convocazione del concilio locale della COR per destituire il patriarca Kirill e il metropolita Ilarion, il quale ha reagito definendo questi interventi contrari all’avvicinamento cattolici-ortodossi un peccato.
– Qualche altra reazione?
È interessante riportare l’opinione di un vescovo fuori del comune, Tikhon Scevkunov, vicario di Kirill, igumeno di uno dei monasteri più conosciuti a Mosca, redattore capo del portale Pravoslavie-Ru e – cosa di non poco conto – confessore di Putin. Ha definito l’incontro di Cuba un «evento senza precedenti». Ma si è premurato subito di stillare un elenco di differenze teologiche tra cattolici e ortodossi, a partire dal Filioque fino al dogma dell’Immacolata concezione, al primato pontificio, all’infallibilità papale e ad altre, che «sono state alla base della nostra separazione e che lo sono tuttora».
Passando poi alla storia, ha ribadito che «non si possono dimenticare le vere crociate lanciate contro la Rus’ nel Duecento e la feroce espansione cattolica all’inizio del Seicento con la partecipazione dei legati pontifici. Anche in questi ultimi tempi, l’attività degli uniati nel territorio canonico della Chiesa ortodossa russa continua a creare problemi reali e molto dolorosi. Non trascuriamo quindi la verità: per ben mille anni le nostre divergenze ideali e dogmatiche con i cattolici si sono trasformate anche in scontri civili. Certo, non c’è niente di più grande della pace. Siamo chiamati e siamo pronti a fare ogni sforzo. Il patriarca ha scelto questa via. Per quanto riguarda l’unità dei cristiani, essa è possibile, ma non a prezzo di compromessi riguardo alla nostra fede ortodossa».
Detto questo, il vescovo Tikhon si è espresso a favore di una fruttuosa collaborazione con i cattolici per garantire il mantenimento del carattere cristiano della civiltà europea. «La Chiesa cattolica – ha aggiunto – ha esperienza del calo della propria presenza all’interno della società; ha anche l’esperienza di conservare l’esistenza delle sue comunità nell’ambiente ateo. In Francia il 12% della popolazione partecipa alla messa una volta la settimana o più di una volta al mese, mentre da noi la partecipazione dei credenti è meno frequente. Perciò l’esperienza delle sue comunità ecclesiali nel mondo d’oggi ci è molto utile e importante».