Il Segretariato Attività Ecumeniche ha organizzato il 29 settembre scorso un webinar dedicato alla Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese – C.E.C. – tenutasi a Karlsruhe, in Germania, dal 31 agosto all’8 settembre scorso. Condotto dal teologo Simone Morandini, ha visto gli interventi del pastore valdese Michel Charbonier e del monaco della Comunità Ecumenica di Bose Guido Dotti, questi ultimi partecipanti diretti all’assise.
Simone Morandini ha evidenziato il carattere particolare della Assemblea Ecumenica di Karlsruhe, in considerazione del drammatico momento in cui questa ha avuto luogo, proprio nel continente europeo. Ci si è infatti misurati con le sfide della guerra, dei cambiamenti climatici e delle tensioni nei rapporti tra le confessioni cristiane.
Karlsrue è stato un momento significativo per capire in quale direzione sta andando l’ecumenismo e il dialogo nella comunione ecclesiale.
Di seguito si estraggono alcuni passaggi degli interventi di Michel Charbonnier – rieletto membro del comitato centrale del C.E.C. – e di Guido Dotti, collaboratore del CEC.
Cristianesimo delle differenze
Michel Charbonnier ha riportato innanzi tutto le sensazioni prodotte dalla bellezza delle celebrazioni liturgiche, in particolare dai canti che immediatamente rimandano alla polifonia dell’incontro tra Chiese diverse.
Un aspetto che ogni volta colpisce, partecipando alla Assemblea, è una sensazione di inaspettata vicinanza e di benevolenza tra tutti i partecipanti e le partecipanti.
Certo esistono le differenze: culturali, etiche e teologiche, spesso difficili da capire e da accettare. Ma le crisi mondiali più pressanti – soprattutto quella climatica – hanno contribuito a «limare gli spigoli» per arrivare alle convergenze della Assemblea.
A Karlsruhe si è assistito ad un mondo che cerca di parlarsi e che cerca di farlo – anche se non sempre ci riesce – in maniera inclusiva. Parlare, peraltro, tra quattromila persone non è stato facile.
Troppa cautela?
Da delegato, Charbonnier ha visto tutti i limiti organizzativi dell’evento.
Le mattinate sono state dedicate alle sedute plenarie tematiche, spesso con sessioni piuttosto «spettacolari», in cui sono state accolte le figure ecumeniche di prestigio, oppure intonati canti, mostrati video, ecc.: tutte cose buone, che, tuttavia, hanno sottratto tempo alla discussione dei documenti e all’esercizio delle decisioni.
Ai delegati sono state messe a disposizione poco meno di tre ore al giorno per svolgere un compito così impegnativo. Questa è una delle ragioni – non secondaria – per cui si è usciti dalla Assemblea con una grande cautela – forse troppa – sui temi più importanti, specie quello della guerra tra Russia e Ucraina, oppure dell’eterno conflitto israelo-palestinese.
Il testo sull’Ucraina ha sostanzialmente ricalcato la linea del comitato centrale del C.E.C precedentemente tenutosi ad Assisi. È indubbio che questo ha portato ad un «fuoco incrociato» tra membri ucraini e membri russi della Assemblea, con questi ultimi a criticare duramente tale documento perché, a loro parere, frutto della disinformazione ucraina.
Sul Medioriente il dibattito si è cristallizzato sull’uso del termine apartheid, in relazione alla politica israeliana nei confronti dei palestinesi: in sostanza il testo ha semplicemente proposto al comitato centrale di studiare con Amnesty International e altre associazioni la legittimità dell’uso dell’espressione.
Ecologia e pace
La Dichiarazione sulla Giustizia Climatica costituisce un forte richiamo al disastro ecologico in corso e invita le Chiese ad azioni urgenti presso i rispettivi governi, proponendo, ad esempio, importanti tassazioni sui grandi patrimoni. Il documento mette in guardia dal rischio che la transizione ecologica – tanto sbandierata – si traduca nell’ennesimo sfruttamento del cosiddetto Terzo o Quarto Mondo, ove si trovano le maggiori risorse necessarie alla cosiddetta green economy.
Il documento sulla pace è, secondo Chabonnier, il più dettagliato, in quanto giunge a denunciare la responsabilità dell’industria delle armi che continua ad alimentare i conflitti del mondo, denunciando, senza mezzi termini, il rischio nucleare: cosa che non avveniva da tempo!
Charbonnier, non nasconde l’attuale debolezza del C.E.C. e una certa «incoerenza sistemica» purtroppo riconducibile alla influenza di elementi esterni, politici: emblematico, in tal senso, l’intervento della rappresentante di Religions for peace che ha invitato l’Assemblea a tornare ad essere coscienza critica e profetica del nostro mondo, piuttosto di «farsi dettare l’agenda» dai governi.
Nonostante le debolezze, le fatiche e, appunto, le incoerenze, il C.E.C. rimane uno strumento prezioso, del rapporto tra le Chiese cristiane e del dialogo tra queste e le altre religioni.
Tensioni non superate
Come anticipato da Simone Morandini, il webinar ha prestato particolare attenzione a quanto, nella Assemblea del C.E.C. di Karlsruhe, è stato speso sulla guerra in Ucraina. Charbonnier, da membro del comitato centrale, ha detto dell’ipotesi – effettivamente circolata – della espulsione della Chiesa Ortodossa Russa.
La posizione affermatasi nel confronto ha tuttavia ribadito che compito del Consiglio Ecumenico non è rimuovere i problemi con le esclusioni, bensì fasi carico degli stessi, realizzando uno spazio di dialogo persistente e non giudicante.
Il Consiglio, nella circostanza, non ha mostrato tuttavia di saper adeguatamente sostenere la tensione tra i due poli – russo e ucraino – ovvero di essere luogo di effettivo dialogo e di parrhesìa estrema. I rappresentanti della Chiesa Ortodossa russa, a giugno, avevano lamentato che il Consiglio Ecumenico fosse in balia della propaganda filo-ucraina.
A Karlsruhe hanno lamentato la stessa cosa. Ma nel frattempo non hanno fatto nulla per portare a discussione le questioni al cuore del C.E.C. Questa parte è perciò totalmente mancata. Resta la fiducia che ciò che è mancato possa essere recuperato nel corso del prossimo mandato.
Mosca sulla difensiva
Guido Dotti ha confermato gli atteggiamenti – particolarmente chiusi e difensivi – del Patriarcato di Mosca. Ma ha rilevato come non sia da sottovalutare il fatto che le “nuove” Chiese ortodosse in Ucraina – quella, di per sé, ancora in comunione col Patriarca di Mosca e quella autocefala facente capo a Costantinopoli – abbiano chiesto di aderire al C.E.C. Ciò creerà loro, inevitabilmente, problemi col Patriarcato di Mosca.
La prima era di fatto già membro del Consiglio, anche se non ha mai presenziato agli incontri; mentre, per la seconda, l’accettazione da parte del Consiglio significherà il pieno riconoscimento della autocefalìa.
I rappresentati delle due Chiese ucraine, dunque, anziché rinfacciarsi colpe per quanto non ha funzionato tra loro, hanno preferito anteporre il comune interesse umanitario nella tragedia della guerra.
Sono ben noti – da prima e a prescindere dalla guerra – episodi di sopruso degli uni nei confronti degli altri e viceversa: ora rimarcano la volontà di prendersi cura, insieme, dei fedeli ucraini, piuttosto di cercare colpe e responsabilità.
Può trattarsi, indubbiamente, di una posizione poco più che diplomatica, ma il fatto che si manifesti davanti a tutte le Chiese – e che, quindi, si stiano esponendo in una modalità «non belligerante» – risulta estremamente positivo.