Come in Ucraina e negli altri paesi baltici anche in Estonia la scelta del patriarcato di Mosca di giustificare in maniera insipiente l’aggressione militare al paese vicino ha prodotto lo scisma della locale Chiesa ortodossa e lo scontro con il governo che ha chiesto una netta separazione dalla Chiesa russa.
L’assemblea conciliare della Chiesa locale (20 agosto) si era conclusa con la decisione di modificare gli statuti e con la richiesta di cambiamento di nome (“Chiesa ortodossa estone”). Ma, da subito, il ministero degli interni aveva detto che non avrebbe accettato aggiustamenti solo simbolici e che il nome proposto si sovrapponeva all’altra Chiesa ortodossa di obbedienza costantinopolitana ed era difficilmente accettabile.
Dopo attenta verifica dei testi da parte dell’amministrazione pubblica, lo scontento è diventato pubblico. In una lettera del cancelliere del ministero degli interni, Tarmo Militis, al vescovo ausiliare Daniele (dopo l’allontanamento forzoso del vescovo Eugenio di Vereya che afferma di guidare la Chiesa da Mosca – cf. qui) si esprime una valutazione di insufficienza delle proposte ecclesiali, «non pienamente corrispondenti ai precisi chiarimenti espressi dallo stato nelle riunioni precedenti» e cioè la «rottura di tutti i legami con la Chiesa ortodossa russa del patriarcato di Mosca». La semplice riduzione dell’influenza amministrativa non basta davanti all’indicazione del parlamento estone che denuncia il patriarcato come un’istituzione di sostegno all’aggressione militare dell’Ucraina.
Per Militis è molto sospetta la riaffermata validità del tomo di Alessio II che, nel 1993, riconosceva l’autonomia alla Chiesa locale. È contraddittorio «che, da una parte, si formuli l’indipendenza amministrativa della Chiesa, ma, dall’alta parte, si esiga l’approvazione delle decisioni da parte del patriarca e si obblighi ad agire conformemente alle decisioni del santo sinodo del patriarcato di Mosca e ai decreti del suo patriarca».
Inoltre, l’assemblea era diretta via internet dal vescovo Eugenio, nonostante la sua espulsione come persona pericolosa per l’unità dello stato. Essere canonicamente autonomi non significa essere indipendenti.
Il nome e le relazioni
Il nome di “Chiesa ortodossa estone” – si aggiunge – non si differenzia abbastanza dalla denominazione dell’altra Chiesa ortodossa, “Chiesa ortodossa apostolica estone”, lasciando trasparire la pretesa di rappresentare in toto l’ortodossia locale.
Il vescovo ortodosso Stefano della Chiesa filo-costantinopolitana ha sottolineato che la sua Chiesa portava il nome di uso corrente di “Chiesa ortodossa estone” dal 1923, confermato dopo il crollo del regime nel 1993. Del resto, sia nel 1590 con il patriarca ecumenico Geremia, sia nel 1710 con il patriarca Atanasio V si confermava l’appartenenza di quella Chiesa alla giurisdizione del patriarcato ecumenico, consentendo a Mosca il solo sostegno spirituale agli ortodossi estoni dopo l’occupazione da parte della Russia comunista.
Il vescovo Stefano ha fatto una proposta precisa alla Chiesa filo-russa. In vista di un’auspicata unificazione, si potrebbe riconoscere alla Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca lo statuto di vicariato autonomo all’interno della Chiesa filo-costantiniana. Questo permetterebbe ad essa una totale autonomia sia per la liturgia, sia per la gestione del clero, sia per il riferimento al proprio vescovo. Un’offerta che è stata resa pubblica nella riunione dei rappresentanti di tutte le Chiese cristiane del paese.
Fa parte del contenzioso ecclesiastico anche il caso del monastero femminile di Pükhtitsa a cui è stato chiesto di rinunciare allo statuto di stavropigiale, cioè strettamente legato al patriarca di Mosca. Le monache ritengono di non poterlo fare senza il consenso di Cirillo. La questione è stata affidata al dialogo con l’amministrazione allo studio di avvocati Sirel&Partner che difende anche le ragioni della Chiesa filo-russa (cf. SettimanaNews, qui).
Le capitali sono centri spirituali
Il confronto interno fra stato e Chiesa ortodossa interessa il 16% della popolazione (1.300.000 abitanti), ma il ceppo russo raggiunge il 25% dell’insieme. La paura per una occupazione russa è elevatissima. Si comprende la preoccupazione del governo per togliere ogni ambiguità e non coltivare una “quinta colonna” interna.
Le roboanti affermazioni di Cirillo alimentano le inquietudini. «Oggi la Chiesa russa è l’unica istituzione che collega Russia, Ucraina, Bielorussia e altri paesi del cosiddetto spazio post-sovietico. Gli ortodossi sono ovunque e la responsabilità del patriarca di Mosca e di tutte le Rus’ si estende a tutto questo spazio». Le capitali delle antiche repubbliche sovietiche «restano importanti centri spirituali della santa Russia unita». «Vorrei esprimere la mia gratitudine all’episcopato e al clero in tutti i paesi che si sono formati sul territorio della Russia storica, per avere mantenuto l’unità canonica in ogni circostanza. Sono dei combattenti per l’avvenire della Russia. Resteranno dal lato buono della storia e certamente vinceranno».
La perfetta sintonia con le mire espansionistiche di Putin motivano le paure dei paesi viciniori e la ripetuta condanna del Consiglio d’Europa (rappresenta 46 stati membri e si occupa dei diritti umani) che, il 2 ottobre, ha denunciato di nuovo la Chiesa ortodossa russa come strumento di influenza e di propaganda russa del regime di Putin.
Diocesi per i cattolici
Importanti novità anche sul versante della minoranza cattolica. Anzitutto l’ingrossarsi del flusso dei rifugiati ucraini. Mons. Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore dei greco-cattolici, ha ringraziato il ministro degli interni, Lauri Läänemets, per l’accoglienza che il paese ha loro riservato e ha esortato i profughi a imparare la lingue estone e a contribuire al bene comune dello stato ospitante.
In secondo luogo, la decisione della Santa Sede di erigere a diocesi – finora era amministrazione apostolica – la sede di Tallin dando figura compiuta ai 6.000 cattolici estoni (con 13 preti).
Il riconoscimento è stato annunciato il 29 settembre e il vescovo Philippe Jourdan così ne ha dato comunicazione ai fedeli: «Diventare diocesi testimonia la stabilizzazione della nostra situazione ecclesiastica ed è anche il riconoscimento da parte della Santa Sede della maturità pastorale e organizzativa della comunità cattolica estone. Ciò significa che la Chiesa locale ha sviluppato le risorse umane, materiali e spirituali necessarie per assumere pienamente le responsabilità della diocesi. Inoltre la creazione di una diocesi permette di strutturare la comunità locale attorno al vescovo residente, che diventa padre spirituale e pastore della Chiesa locale.
A differenza di un’amministrazione apostolica, dove un vescovo può essere un pastore temporaneo o addirittura provenire da un’altra diocesi, la creazione di una diocesi consente la continuità pastorale, una maggiore vicinanza ai cattolici e a una visione a lungo termine per lo sviluppo spirituale e pastorale della comunità».