«I cristiani di tutta Europa si sono incontrati a Tallinn, in Estonia, per l’assemblea generale 2023 della Conferenza delle Chiese europee (KEK)… All’assemblea è stato ricordato che essere benedetti significa essere liberati dall’ansia per la nostra stessa sicurezza o controllo… che la teologia è pubblica, che noi cristiani dobbiamo accettare la sfida di contribuire a un discorso politico sempre più secolarizzato».
Trecento partecipanti in rappresentanza delle 114 Chiese europee (protestanti, anglicane, ortodosse) che appartengono alla KEK, hanno sviluppato il tema «Sotto la benedizione di Dio: dare forma al futuro» (14–20 giugno).
Fondata nel 1959, l’istituzione rappresenta 380 milioni di cittadini europei. Non erano presenti la Chiesa ortodossa russa (auto-sospesa dal 2008 in ragione degli interessi considerati troppo sociali e politici dell’organismo) e la Chiesa serba (a causa della presenza della Chiesa ortodossa ucraina autocefala).
Non sono stati affrontati temi teologici, ha ricordato Letizia Tomassone, valdese e una delle cinque presenze italiane, «ma naturalmente essi emergono: quando si parla di che cosa la Chiesa può proporre all’Europa si sta parlando di che cosa è la Chiesa oggi».
Fra le questioni attraversate si può ricordare l’ecumenismo, alcuni problemi emergenti, l’identità dell’Europa e le nuove nomine nella KEK.
Non possiamo permetterci la divisione
«Mentre alcuni dei movimenti politici della nostra epoca continuano a ritirarsi dietro le sicurezze dei confini e di un’identità strettamente definita, le Chiese cristiane non possono permettersi il lusso di camminare separate l’una dall’altra… Le Chiese devono ascoltare la chiamata di Dio in Gesù Cristo ed essere agenti di speranza, preparate pubblicamente a portare le cicatrici di sofferenze ingiuste. Ciò significa mantenere senza paura la via riconciliatrice della speranza della risurrezione in Cristo che ci chiama ad assumerci la responsabilità, sotto la benedizione di Dio, di plasmare il futuro» (Messaggio).
Il pastore Grzegorz Giemza, del Consiglio ecumenico delle Chiese, ha presentato il progetto di riconciliazione tra le Chiese europee, divise sul giudizio della guerra in Ucraina, a partire dal processo di riconciliazione polacco-tedesco. Anche se oggi è difficile parlare di perdono reciproco, è bene prepararsi per il dopo-guerra.
L’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha esplorato il significato della benedizione, fuori dai territori dell’ingiustizia, dell’aggressività, del possesso e del controllo ossessivo. «Ci sono molte forze in Europa la cui moneta è la paura. Una paura incompatibile con la fiducia nella fedeltà di Dio».
Bartolomeo di Costantinopoli, che aveva già parlato davanti alla direzione della KEK nel marzo scorso («settimananews.it/informazione-internazionale/cirillo-bartolomeo-divergenze-inconciliabili/), ha messo il dito nella piaga della divisione, soprattutto intra-ordotossa. Dopo aver ricordato la crescente impossibilità di identificare le appartenenze nazionali con quella confessionale, ha sostenuto la necessità di un nuovo ecumenismo, davanti alle rovine prodotte dalla giustificazione alla guerra della Chiesa russa e dalla frattura fra tradizione slava ed ellenica.
Molte e drammatiche le testimonianze sulla guerra in atto. Dov’è Dio quando i bambini vengono uccisi, quando le persone vengono torturate, quando un’intera generazione viene traumatizzata? Dov’è Dio in questa guerra?
Le parole di V. Burcha, di P. Schwartz, del metropolita Yevstratiy, di S. Zan Fabian sono risuonate nell’ampia sala del Kultuurikatel di Tallinn.
Sviatlana Tsikhanouskaya, esponente del partito d’opposizione in Bielorussia e oggi in esilio, ha denunciato la guerra fratricida in Bielorussia e in Ucraina, ammonendo circa i pericoli degli imperi che parlano di fratellanza ma strangolano le nazioni in cosiddetti “abbracci fraterni”. «Le persone la cui forza morale è alimentata dalla fede in Dio sono molto pericolose per le dittature, ma estremamente necessarie per le democrazie».
Ampio spazio hanno avuto le questioni legate all’ambiente, all’emergenza ecologica, come al fenomeno delle migrazioni e dei problemi da esso sollevati.
Harmut Rosa: un cuore docile
Accattivante e suggestiva la relazione fondamentale del sociologo tedesco Hartmut Rosa, “Essere europeo – una valutazione sociologica della situazione nel 2023 e nel futuro”. La domanda di fondo ruota attorno al possibile ruolo delle fedi nel contesto socio-economico del continente.
Costretta all’unità per non perdere ogni significanza nel nuovo contesto mondiale, l’Europa sembra destinata, come tutto l’Occidente, ad un “immobilismo frenetico”, ad una corsa senza fine al consumo dell’energia, dell’ambiente, del tempo, delle forze politiche e personali per rimanere in stallo, bloccata in un equilibrio precario in cui nessuno crede più nel futuro.
La questione non è che «la società cresca, per esempio in termini di popolazione o di produzione economica o che essa acceleri su molti aspetti, ma che essa sia obbligata a farlo per mantenere lo statu quo».
Tutte le nostre istituzioni sociali hanno un rapporto aggressivo al mondo che si riflette nell’angoscia crescente degli abitanti. Anche la forma democratica scivola verso una sistematica contrapposizione che non lascia più spazio al dissidente, negando sé stessa. La democrazia «ha bisogno di un cuore che ascolta» come chiesto da Salomone (1Re 3,9). Una capacità di ascolto che Harmut Rosa chiama «risonanza».
Essa si sviluppa in quattro tempi: appello, auto-efficacia, trasformazione, non-automaticità. Uscire dalla modalità aggressiva per fermarsi e percepire un diverso modo di relazionarsi con le cose, se stessi e le istituzioni.
«La mia tesi è che sono in particolare le Chiese che dispongono di racconti, della riserva cognitiva, di riti e pratiche di spazi in cui un cuore capace di ascolto può entrare in esercizio ed essere vissuto… Conosciamo una crisi della capacità di lasciarci chiamare e questo si manifesta sia nella crisi di fede, come nella crisi della democrazia».
«Le Chiese rischiano di tradire la promessa (di una risonanza verticale) se esse diventano un’autorità rigida come l’acciaio, che non ascolta, che pretende di sapere tutto e quindi non ascolta la gente, dando ordini e, eventualmente, abusandone».
La forza della religione è l’offerta di una promessa che si può tradurre così: «Al fondo della mia esistenza, non c’è un universo silenzioso, freddo, ostile e indifferente, ma una relazione di risposta… C’è qualcuno che ha parlato a te, che ti ha chiamato, che ti ascolta anche se non è a tua disposizione qui e subito».
«La religione ha la forza, la riserva di idee, un arsenale rituale pieno di canti, di gesti appropriati, di spazi adatti, di tradizioni e di pratiche che aprono un senso a ciò che significa lasciarsi chiamare, trasformare, entrare in risonanza. Se la società perde tutto questo, se dimentica la possibilità della relazione, essa è condannata. Alla domanda se la società attuale abbia ancora bisogno della Chiesa o della religione, la risposta non può essere che: sì».
I nuovi responsabili
L’assemblea ha provveduto a eleggere i nuovi responsabili. L’arcivescovo ortodosso del patriarcato ecumenico Nikitas di Thyatira e Gran Bretagna prende il posto del pastore protestante francese Christian Krieger. Vicepresidenti sono l’anglicano inglese Dagmar Winter e il protestante tedesco Frank Kopania.
Dov’è Dio quando i bambini vengono uccisi, quando le persone vengono torturate, quando un’intera generazione viene traumatizzata? Dov’è Dio in questa guerra? La risposta cristiana è chiara: E’ sempre in croce. Ucciso con quei bambini, quelle mamme, quai vecchi, quegli innocenti. Sotto quella croce piangono mamme e amiche. Ma noi dove siamo? Questa è la vera domanda. Noi siamo scappati tutti, mischiandoci a tiranni, oligarchi, strateghi militari e diplomatici, ciarlatani tuttologi di una comunicazione ipocrita e perbenista. Le nostre stesse preghiere sono un irenismo ipocrita ben lontano dalla pace di tutti che ci ha donato quel povero Cristo in croce. E allora? Allora smettiamola di scappare, a cominciare da chi ha accettato di essere nella Continuità Apostolica. Incontrarsi in una “casa comune” è premessa per rivivere insieme la grazia della Risurrezione, e accogliere insieme i dono dello Spirito. Solo così saremo credibili, perché ci amiamo e siamo uniti nell’unico Cristo e nell’unico Spirito. Solo così saremo esempio, provocazione e denuncia dei poteri del mondo e dei signori della guerra. Solo così inizieremo a prendere le distanza e delegittimare senza alcuna paura tiranni e dittatori. Solo la pace vera tra le chiese cristiane potrà attirare l’attenzione di tanti uomini e donne di buona volontà che vogliono la pace in Europa e nel mondo. Che tristezza la Santa Chiesa di Russia isolata dalle altre Chiese Cristiane perché asservita a un regime dittatoriale, da un Patriarca dittatore. Che tristezza le Chiese cristiane d’Europa a cominciare dalla nostra Cattolica Romana, incapaci di porre Cristo a fondamento di una nuova Cristianità e di una nuova Ecclesiologia, perché dominati dalla paura di perdere e rinunciare a qualche cosa che offuschi la propria primogenitura. Che senso ha invocare una unità Europea tra tante diversità di lingue, tradizioni, credenze, visioni del mondo, se i Credenti nell’unico Cristo non sono capaci di una alleanza forte e fraterna? A più di un anno dalla guerra in Europa è uno scandalo che le massime autorità cristiane non si siano mai incontrate insieme nel nome della Pace di Cristo, che va gridata sui tetti, perché dominati dalla logica perversa delle diplomazie, americane, russe, europee e ahimè vaticane. In una Europa unita e forte le Chiese Cristiane devono dare vita a una Conferenza permanente delle massime autorità magisteriali, PER LA PACE PERPETUA – Non ci sarà pace nel mondo se prima non ci sarà pace tra le religioni – E questo per i Cristiani è un Imperativo categorico.