Se nei confronti delle Chiese protestanti storiche in questo avvio dei 500 anni dalla Riforma l’atteggiamento è quello della purificazione della memoria (cf. il prossimo incontro di papa Francesco con la Federazione luterana mondiale a Lund, Svezia, 31 ottobre 2016), davanti al fenomeno degli evangelicali vi è nel popolo cattolico un grande punto interrogativo. Non si sa chi siano. Eppure, sono quelli che costruiscono chiese e cappelle, i cui mezzi di trasporto con vistose scritte sulla Chiesa di appartenenza girano per le nostre strade, soprattutto la domenica mattina, i cui numeri sono in costante crescita. I più vicini e i meno noti.
Vicini e ignoti
I nostri vicini evangelicali. Riflessione sull’evangelismo cristiano: così titola un documento della commissione ecumenica dei vescovi del Canada (18 ottobre 2016), paese dove il fenomeno è assai più consistente che da noi. Da un lato, i cattolici sono sorpresi di non essere considerati veri credenti e sono incuriositi dalla musica trascinante, dal sentimento comunitario e dall’entusiasmo dell’annuncio che trovano nei neo-protestanti. Dall’altro, sono persone che si incontrano sul lavoro o nel vicinato. Conoscono una rapida crescita nei paesi del Sud del mondo e non si identificano in una confessione. Sono molto liberi e “autonomi”. Questo non toglie che vi siano alcune caratteristiche specifiche. Anzitutto la centralità della Scrittura. La Bibbia è la sola autorità riconosciuta. Essa è ispirata e infallibile. Quest’ultima annotazione ha diverse declinazioni all’interno dei vari gruppi. La salvezza viene dalla fede: solo Dio salva, non le opere buone, che sono anch’esse dono dall’alto. Il cuore della fede è la croce. «Il trionfo di Cristo sul peccato e sulla morte al Calvario è la sola via di salvezza. È evento singolare, pienamente sufficiente, unico ed esclusivo». «Gli evangelicali vedono in questa accettazione l’avvio di una relazione personale con Gesù». La missione evangelica richiede di fare partecipi gli altri dell’annuncio, in particolare i non credenti. «Gli evangelicali ritengono che la missione cristiana sia sempre stata trans-confessionale. Essi credono anche che la missione cristiana contribuisca al regno di Dio attraverso le opere di carità». La lealtà confessionale non è nelle loro corde.
L’immagine reciproca
L’immagine che i cattolici hanno di loro è positiva per quanto riguarda la morale personale e quella degli affari. Ammirano la loro relazione con Gesù, che appare spesso più personale e intima di quanto esperimentino nella propria Chiesa. Ci sono anche motivi di inquietudine, quando gli evangelicali leggono la Bibbia alla lettera, senza percezione delle domande che la scienza e l’approccio storico-critico hanno sollevato (e in parte risolto) o quando annunciano con precipitazione la fine del mondo.
Sul piano teologico «i cattolici sono preoccupati che gli evangelicali si sentano autorizzati a interpretare la Bibbia senza tenere conto della grande comunità cristiana che si estende attraverso i tempi e gli spazi». Si corre il rischio di seguire le proprie suggestioni e alimentare le spinte settarie e divisive che già preoccupavano Lutero. Senza l’unità visibile della Chiesa si fa fatica a riconoscere il «corpo di Cristo».
È difficile associare l’evangelismo alla professione di fede sulla Chiesa santa, cattolica e apostolica. La musica travolgente, la predicazione enfatica e il clima surriscaldato delle loro assemblee danno al cattolico la percezione di un evento teatrale, non di un luogo in cui si condivide la fede accostandosi alla mensa della Parola e del pane. La tradizione non è solo un peso o un elemento negativo come l’adesione personale a Gesù non può vivere senza un contesto comunitario.
Se si chiede ad un evangelicale quale immagine ha dei cattolici, la prima domanda che lui si fa è questa: sono davvero credenti? Perché la loro fede non «si vede»? In certi ambienti neoprotestanti la Chiesa cattolica è ancora identificata come la Babilonia dell’Apocalisse. I cattolici pensano a una salvezza come già raggiunta o come da attendersi per il futuro, l’evangelicale la pensa come esperienza presente e la sua domanda «ti senti salvato?» va tradotta nella richiesta «parlami del tuo rapporto con Gesù Cristo». Resta infastidito dal sacerdozio cattolico (in particolare la confessione), dalle devozioni eucaristiche, mariane e dei santi e, soprattutto, dal peso istituzionale. È convinto che i cattolici diano troppa importanza alla Chiesa in ordine alla definizione della fede e non condivide l’infallibilità pontificia, la credenza del purgatorio e la concezione dei sacramenti.
In Canada vi sono esperienze di confronto già operanti, in particolare nella pastorale scolastica e universitaria. Il clima fortemente secolarizzato rende più facile il rapporto. A livello di Chiesa italiana non vi sono ancora riferimenti stabili di dialogo con loro. I rapporti sono con la Federazione delle Chiese evangeliche in cui le nuove comunità protestanti sono solo osservatrici. Ma nei numeri sono largamente maggioritarie. Sui circa 200.000 riformati, 30.000 sono valdesi e metodisti, mentre le Assemblee di Dio (il ceppo maggiore degli evangelicali italiani) sono 120.000.
Dopo Caserta
Un momento sorprendente e spiritualmente alto è stato l’incontro di Francesco con la comunità neo-evangelica di Caserta (28 luglio 2014). Si è percepito quanto negli ambienti ecumenici era già noto: il passaggio a una terza stagione ecclesiale. Dopo la frattura del primo millennio con l’Oriente e la Riforma, la terza ondata è costituita dalle comunità evangelicali, con la loro attenzione alla missione più che alle questioni sociali, una spiritualità emotiva e spontanea e la cura diretta al kerigma e all’annuncio. L’avvio del dialogo con loro da parte del Pontificio consiglio per l’ecumenismo è partito fin dagli anni ‘70 e ha già conosciuto diverse stagioni e approfondimenti.
L’imprevista forza aggregante del rinnovamento evangelicale e del pentecostalismo si accende a cavallo dell’800 e del ‘900 fra Stati Uniti e Inghilterra. L’inizio non ha una datazione condivisa. Per alcuni è il 1892, per altri la predicazione di Charles Parham nel 1900-01, per i più l’esperienza delle comunità raccoltesi attorno al nero, figlio di schiavi, William J. Seymour ad Azusa Street a Los Angeles nel 1906. Accettare quest’ultima datazione vuol dire, per esempio, connettere la centralità del battesimo nello Spirito con l’opera di riconciliazione e l’intento sociale critico.
Nei primi decenni la crescita avviene soprattutto negli Stati Uniti, ma oggi si tende a valorizzare ceppi nati in contemporanea anche altrove: nel Galles, in India, in Corea e in Africa del Sud. Una corrente ispirata dalla radice puritana del XVI sec. e direttamente legata ai movimenti spirituali di «risveglio» e rivitalizzazione attivi nelle grandi Chiese della Riforma fra XVIII e XIX secolo. Su di essa si è innestato quello che ora viene chiamato anche pentecostalismo, espresso nella celebra formula «Gesù salva, Gesù guarisce, Gesù battezza, Gesù ritorna». L’effusione spettacolare del dono dello Spirito è il suo segno maggiore, tanto da essere indicato come battesimo nello Spirito, origine per una nuova nascita.
La prima fase di sviluppo si colloca nei primi decenni del ‘900 (cf. Spiritus, n. 216, settembre 2014; Concilium, n. 265, 1996). Rapidamente escluso dalle Chiese d’origine, il «movimento di santità» raggiunge presto i cento milioni di fedeli, riconoscibili per la valorizzazione della glossolalia (doni delle lingue) come iniziale evidenza del battesimo nello Spirito, una concezione di Chiesa di tipo congregazionalista (Chiese locali indipendenti), il dinamismo missionario e l’attesa del ritorno di Cristo. Si possono ricordare alcune tipologie prevalenti: il pentecostalismo di santità, l’opera compiuta da Cristo, i pentecostalisti dell’unicità, i pentecostalisti apostolici. In Africa nascono in contemporanea Chiese fortemente radicate nella cultura e nei riti autoctoni da cui emergono successivamente le Chiese dello Spirito e le Chiese del risveglio.
La terza stagione
L’esplosione mondiale avviene negli anni ‘60. È la seconda ondata che fa arrivare il movimento a circa 200 milioni di fedeli. La sensibilità spirituale della corrente cristiana guadagna terreno nelle vecchie Chiese. È il momento in cui l’evangelismo si apre a una corrente più ampia, ben oltre i confini delle confessioni protestanti, verso la Chiesa cattolica e nelle Chiese ortodosse. Particolarmente efficace il suo sviluppo in America Latina.
Dagli anni ’70 in poi il movimento raggiunge, nella sua terza ondata, la misura che ora gli viene riconosciuta (400-500 milioni). L’emergere dell’evangelismo e del pentecostalismo – le due correnti sono solo in parte sovrapponibili – è in relazione al rovesciamento del centro di gravità del cristianesimo da Nord a Sud e si avvale della valorizzazione dell’affettività e dei corpi, dell’esperienza personale e dei rapporti a scapito dei discorsi istituzionali e dogmatici. Esse offrono con maggiore efficacia rispetto alle Chiese storiche la condivisone della sofferenza e del dolore.
La nuova situazione non annulla e non inficia l’enorme lavoro compiuto nei dialoghi ecumenici con le Chiese storiche della Riforma. Ne è la prova la straordinaria sintesi prodotta dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani in Raccogliere i frutti (2009), il documento sulla giustificazione, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999) e quello sui 500 anni dell’avvio della Riforma, Dal conflitto alla comunione (2013). Nel momento in cui si purificano le memorie si devono anche aprire nuovi cantieri.