La tensione fra le Chiese ortodosse dell’Ucraina è giunta a mettere in questione il rapporto di comunione fra loro. Sia per Mosca, sia per l’Ucraina, sia per Costantinopoli la posta in gioco è altissima.
La domanda di autocefalia delle Chiese scismatiche ortodosse locali minaccia di devastare l’intera geografia ortodossa. Per questo corrono voci (che per forza di cose rimangono a livello di sussurri e nessuno nell’ortodossia per il momento se ne prenderà mai la paternità) che la situazione è così ingarbugliata da ipotizzare un coinvolgimento diretto di papa Francesco. Si vorrebbe che fosse lui a dare un impeto di soluzione. Si tornerebbe ai tempi di prima dello scisma, quando già i patriarcati erano autonomi, ma ricorrevano a Roma per le situazioni di estrema importanza.
Papa Francesco lo sa bene, ma non intende prestarsi al alcun protagonismo. La sua convinzione è che, nonostante le difficoltà che paiono insormontabili, il primo passo per giungere a una soluzione sta nell’incontro, magari anche brusco, fra Cirillo di Mosca e Bartolomeo di Costantinopoli. Non sarebbe la prima volta nella storia che i patriarchi si prendono per i capelli o la barba.
Accompagnamento, non mediazione
Una data importante è già passata e non ha visto decisioni clamorose. Il 28 luglio erano i 1030 del battesimo della Rus’ di Kiev nella persona del santo principe Vladimir. In Ucraina c’era chi aspettava il riconoscimento dell’autonomia delle Chiese locali, l’autocefalia. Non è arrivata. Ma il processo non è affatto interrotto. Le radici storiche sono lunghe e le ragioni complesse.
Per chi volesse ricostruire la recente vicenda, rimando ai numerosi interventi già pubblicati su Settimana News: Ucraina, autocefalia per l’unità; Ucraina incompiuta; Ucraina, prima l’unità poi l’autocefalia; Ucraina, il tomo e le Chiese.
Attese contrapposte
Le date recenti più significative sono:
- 29 novembre 2017 la lettera (fraintesa e smentita) di Filarete, il vescovo a capo della maggiore fra le Chiese ortodosse «scismatiche» dell’Ucraina, inviata al Santo concilio del Patriarcato di Mosca;
- 19 aprile 2018, l’approvazione del parlamento ucraino della richiesta di autocefalia;
- 9 aprile il presidente ucraino Poroshenko si reca a Costantinopoli per formalizzare la richiesta;
- il 22 aprile il sinodo di Costantinopoli annuncia di aver ricevuto la domanda e la comunica alle altre Chiese ortodosse.
Nel frattempo si sono moltiplicati i rapporti fra i responsabili delle Chiese. In particolare la Russia, che verrebbe gravemente danneggiata dalla decisione, perdendo territori, luogo storico di origine e comunità particolarmente feconde di vocazioni monastiche ed ecclesiastiche.
Alcune Chiese si sono già espresse (come la serba a favore di Mosca e la greca a favore di Costantinopoli) e molte altre attendono di farlo a tempo opportuno. Il Patriarcato ecumenico di Istanbul-Costantinopoli è davanti a un dilemma. Concedere l’autocefalia significherebbe riaffermare il proprio ruolo in seno all’Ortodossia, dando continuità e forza al grande concilio di Creta del 2016, non da tutti condiviso. Rappresenterebbe un allargamento dell’influenza diretta di Costantinopoli. Ma porterebbe alla rottura drammatica con Mosca e, probabilmente, con altre Chiese.
Non concedere l’autocefalia verrebbe inevitabilmente letto come una abdicazione al proprio ruolo, consegnando all’insignificanza il patriarcato più antico. Tutto a favore di Mosca.
La distrazione dell’Occidente
L’opinione pubblica occidentale è assolutamente disattenta, come del resto sembra abbia già rimosso la permanente guerra del Donbas fra truppe ucraine e ribelli filorussi, ampiamente sostenuti da Mosca.
L’attivismo delle relazioni è particolarmente evidente nel metropolita Hilarion Alfaeev, presidente del Dipartimento degli affari esteri del patriarca Cirillo di Mosca. «Non voglio nemmeno tentare di immaginare cosa potrebbe succedere il giorno dopo» (la concessione dell’autocefalia al Patriarcato di Kiev – ndr).
La divisione in seno all’Ortodossia universale, che sarebbe la conseguenza inevitabile di questa mossa sbagliata, potrebbe essere paragonata alla divisione fra Oriente e Occidente del 1054. Se si producesse qualcosa del genere, seppelliremo l’unità dell’Ortodossia». Il 30 maggio, in un incontro a Roma, il papa, rivolgendosi a lui, ha rimarcato la propria posizione: «Alla vostra presenza, e specialmente di fronte a voi caro fratello, vorrei ancora una volta sottolineare che la Chiesa cattolica non permetterà mai che, da parte sua, si manifestino atti che provochino delle divisioni. Noi questo non lo permetteremo, io questo non lo voglio. In Russia esiste soltanto un patriarcato, il vostro e noi non ne riconosceremo un altro».
Il sostegno a Mosca non è certo la condanna o la distanza da Costantinopoli, ma è piuttosto un invito assai deciso ai greco-cattolici ucraini che vedono con favore l’eventuale autocefalia, a non esporsi nella vicenda.
Da fratello
Papa Francesco non intende intromettersi, pur seguendo molto da vicino l’intera questione. Lo potrebbe fare solo nel momento in cui i due diretti interessati, Cirillo e Bartolomeo, decidessero di parlarsi direttamente. Il suo comportamento lo conferma.
Nell’aprile scorso Francesco ha approvato la dichiarazione comune delle Chiese sulla Siria, ma non l’ha firmata perché l’avrebbe fatto solo a condizione che fosse sottoscritta sia da Bartolomeo sia da Cirillo, mentre Bartolomeo si è astenuto.
Per questo nell’incontro di preghiera per il Medio Oriente a Bari ha esteso l’invito anche a Cirillo, che non ha accettato. Hilarion ha certamente parlato con Bartolomeo, ma il confronto fra le delegazioni che successivamente si è svolto a Mosca non ha visto nessuna novità.
Nell’incertezza di questi giorni va registrato il riemergere della domanda di un primato romano, di cui papa Francesco è consapevole e che non intende sprecare per un occasionale protagonismo.