Ci sono sempre meno cristiani in Germania. Andiamo verso una società atea? Siamo arrivati a questo punto da tempo, afferma il pastore protestante Justus Geilhufe. Nell’intervista a katholisch.de il teologo spiega come la Chiesa dovrebbe affrontare questa sfida.
Il 6° sondaggio sull’appartenenza alle Chiese ha recentemente mostrato quanta poca fiducia i tedeschi abbiano nelle due grandi Chiese del paese. Il pastore protestante Justus Geilhufe fa un ulteriore passo avanti: descrive la Germania come una «società atea» e ha scritto su questo argomento il libro La società atea e la sua Chiesa.
Nell’intervista a katholisch.de il pastore sassone invita la Chiesa della Germania occidentale a imparare dai cristiani della Germania orientale e si chiede cosa i cattolici possono apprendere dai protestanti.
– Signor Geilhufe, nel suo libro lei traccia un parallelo tra la società dell’ex DDR e il periodo post-riunificazione della Germania dell’Est con l’attuale situazione nella Repubblica Federale riunificata. Queste società sono davvero così simili come lei afferma?
Le persone che abbiamo incontrato allora e che incontriamo oggi sono molto simili. Naturalmente, il quadro sociologico è diverso. Ma attualmente incontro di nuovo molto spesso questa «persona atea» che conosco dalla mia infanzia. E questo in una società riunificata, prospera e multiculturale, ma con un dramma simile a quello di allora.
Le persone in una società atea non sono più influenzate dalla realtà della Chiesa. Qui pongo l’accento sull’aggettivo ecclesiale. Naturalmente, questa persona conosce anche la fede e i valori. Non vedo l’istituzione della Chiesa come qualcosa di negativo in sé, come fanno molti. Piuttosto, noto che la società in cui vivo ha alcuni problemi proprio perché non è toccata dalla Chiesa. A questa «persona atea» manca l’orizzonte nella sua vita: che esista, cioè, qualcosa di grande oltre le cose belle che produce, al di là di ciò che ha scoperto da sé stesso come verità, al di là della misura in cui è capace di bene, che va oltre i limiti umani. Ciò produce un mondo molto piccolo dal quale non intendo estraniarmi. Noto, però, che, a causa di questo divario, non solo la vita in quanto tale, ma anche la convivenza è altamente problematica.
– Il bello, il vero, il buono: lei ha ricordato questa triade e la menziona spesso anche nel libro. Perché?
Siamo onesti: tutta la Repubblica Federale nel suo insieme – e forse soprattutto l’Est – sono un’area nella quale una vita bella e degna di essere vissuta sta sempre più scomparendo. Lo stesso vale per l’ex DDR. Nel mio libro descrivo la nostra attuale sofferenza sociale, per cui non possiamo più parlare davvero di nulla. Semplicemente non ci sono più argomenti seri sui quali scambiarci le idee.
– Non è un po’ troppo pessimistica la sua diagnosi? Ci sono argomenti che vengono seriamente discussi nella società.
Mi sembra di capire che ognuno ha la propria verità e la considera indiscutibile. Il risultato è che non c’è alcuna verità da aspettarsi dall’altro. L’altro è semplicemente qualcuno che disturba, sbaglia e che – alla fine – deve andarsene fuori dai piedi. Qui, nella Germania dell’Est, constato sempre più spesso questo atteggiamento: l’altro non è qualcuno con cui posso discutere o che potrebbe aiutarmi nel cammino verso la conoscenza proprio perché ha un’opinione diversa. Esiste una convivenza estremamente violenta e spietata in cui la migliore delle opzioni è che le persone non creino disturbo.
– A suo parere, la salvezza per il futuro della società sta nella Chiesa?
Sì. Questa affermazione non viene pronunciata da decenni. Non lo dico, però, in senso trionfalistico. Vengo da una Chiesa povera e assolutamente marginale che sostanzialmente non ha niente da dire. Questo è positivo. Tuttavia, la mia convinzione è che lo stato desolante in cui versa la società non può essere superato solo con le proprie forze. La situazione in cui siamo arrivati non può più essere risolta con gli assistenti sociali o con l’istruzione scolastica. Ci vuole l’annuncio di ciò in cui crediamo, ci vuole una prassi di carità e ci vuole una celebrazione del mistero che tutti ci unisce.
L’esperienza della Germania dell’Est dimostra che essa deve entrare in contatto con l’istituzione Chiesa, per quanto imperfetta essa sia. Per sopravvivere, la nostra società ha bisogno anche di ciò che è presente nella Chiesa visibile. La mia speranza è che non sia troppo tardi per questa società o per questa Chiesa.
– Lei ha dichiarato di non aver più niente da dire. Nel suo libro parla e critica anche i congressi ecclesiastici in cui vengono prese delle risoluzioni sulla tutela dell’ambiente.
Non mi fa problema che la Chiesa sostenga con forza temi come la pace, la giustizia e la custodia del creato. Sono giunto alla fede in una Chiesa e volevo tornare come pastore in una Chiesa in cui questi punti erano e sono problemi centrali. Prima erano vissuti in prima persona nei confronti della Chiesa e di questo mondo. In passato, queste posizioni avevano un prezzo e comportavano un impegno personale.
La prassi relativa a questi punti era strettamente legata al culto e alla vita comunitaria. Quindi non ho alcuna critica circa il contenuto di questi punti, perché sono questioni che scottano e di cui è responsabile anche la Chiesa. Ciò che critico è che nessuno parla veramente degli appelli etici della Chiesa. Non c’è nessuna società là fuori che attenda queste dichiarazioni e nemmeno che le ascolti.
La Chiesa si trova in una situazione diversa rispetto a trenta o quarant’anni fa. Non riesce più a trovare la sua vera identità quando diventa un grande gruppo sociale che lancia i suoi proclami. Perché non è più così, nonostante i suoi milioni di membri. Le persone là fuori sono persone atee, completamente estranee alla realtà della Chiesa. Qualunque appello venga fatto cade nel vuoto.
– Soffia un vento contrario anche nella sua Chiesa di fronte a queste critiche?
A dire il vero, non noto nulla. Ma quello che dico differisce sostanzialmente da altre pubblicazioni. La grande preoccupazione che ho è questa: condividere la grande gioia che provo nella mia Chiesa, nelle mie comunità e nei miei fratelli nella fede. Voglio dirvi quale potere spirituale e, in definitiva, anche politico c’è in questa Chiesa semplice, povera, sostenuta da volontari, pia, serena ed emarginata. Tutto ciò che voglio davvero fare è darti il grande coraggio di accettare questa realtà in cui viviamo e di renderti conto che i tempi sono cambiati, con la speranza che possano migliorare di nuovo. Chiunque legga i miei testi e ascolti il mio podcast sa che non attacco mai, ma che piuttosto voglio condividere questa convinzione.
Per quanto riguarda la storia della Chiesa, il cattolicesimo è molto più resistente alle crisi di quanto lo siamo noi protestanti. Molte cose che ci sconvolgono come Chiesa protestante spesso lasciano il cattolicesimo come lo abbiamo sempre conosciuto, cioè piuttosto indifferente. Ciò ha molto a che fare con la struttura organizzativa, con il legame con Roma o con il celibato.
– Il termine «protestantesimo civile», che lei ha contribuito a coniare, appare nel suo libro e anche sul suo canale Instagram. Questo approccio più conservatore è un’opinione minoritaria nella sua Chiesa?
Non credo. Forse questo è vero per il problema della leadership nella Chiesa, ma le persone nelle nostre comunità sono molto interessate ai dibattiti e ai problemi sociali. Ciò che descrivo come eredità civica del mio cristianesimo della Germania dell’Est è qualcosa che ha plasmato molte persone nella loro vita cristiana. C’è stata la ricerca di qualcosa di vero, di bello e di buono ad alto livello e, nello stesso tempo, la grande libertà evangelica che gli altri possano essere come sono. Uno può essere anche criticato, ma è sempre accettato come cristiano. Ciò include anche il diritto alla privacy, alla vita ritirata e all’autodeterminazione della propria vita di fede, desiderando, allo stesso tempo, far parte della comunità ecclesiale.
Credo anche che a molte persone piaccia celebrare nelle forme classiche della nostra Chiesa, ma molti pastori e membri della leadership della Chiesa non hanno familiarità con questi riti.
Questa è la mia esperienza nella Germania dell’Est, che non voglio però esagerare. Il mio appello quindi è: chiedeteci come abbiamo fatto in questi settant’anni! Forse questo aiuterà a evitare alcuni errori che abbiamo commesso nella parte orientale della Germania. Anche la parte occidentale può imparare qualcosa da essa.
– Ciò che lei ha detto si riferisce principalmente alla Chiesa protestante, ma anche il cattolicesimo occupa un posto di rilievo in diversi punti del suo libro. Le sue tesi valgono anche per la Chiesa cattolica?
Trovo molto difficile dare consigli a fratelli e sorelle di altre denominazioni. Ma ci sono punti che sono transconfessionali: non bisogna avere paura della povertà e dell’emarginazione – questo vale certamente anche per la Chiesa cattolica. Le diocesi della Germania occidentale farebbero bene a imparare dalle diocesi della Germania orientale e chiedere ad esse le loro esperienze.
Penso che i cattolici di lingua slava presenti in Lusazia (parte della Sassonia, ndr) siano meravigliosi. È bello vedere come vivono la loro fede nelle condizioni più difficili, senza tanti soldi, ma con tanto cuore. Quei cattolici sono come dei fari di luce cristiana che tengono unito quasi l’80% della popolazione in una regione che altrimenti sarebbe un mare di persone senza religione. Da essi si deve imparare anche che le tradizioni vanno conservate; essi continuano a viverle in un contesto difficile.
I cattolici dovrebbero anche ascoltarsi a vicenda e a comunicare con gli altri. L’altro non è uno che disturba, ma qualcuno che è sulla stessa strada verso la verità.
– Ci sono grandi cambiamenti nella Chiesa cattolica in Germania, ma anche nel mondo, come la svolta verso una maggiore sinodalità, voluta da papa Francesco. Voi della Chiesa protestante avete una grande esperienza su questo punto. Cosa possono imparare i cattolici?
Sì, pratichiamo molta sinodalità nella Chiesa evangelica. Ma lasciamo tranquillamente che sia la storia della Chiesa a decidere quale prospettiva avrà più successo. Come pastore protestante, non voglio affrontare questi aspetti, ma bisogna ammettere che il nostro approccio protestante comporta molti più rischi.
Noto, però, come la società atea sia diventata una sfida enorme per entrambe le Chiese. Ciò che accade nella Chiesa protestante – ma anche tra i cattolici – è l’espressione di una grave crisi di identità. Nessuno sembra più sapere cosa sia il protestantesimo tedesco o il cattolicesimo tedesco.
Non siamo ancora pienamente consapevoli della grave carenza dei valori spirituali di cui soffre la nostra società.
leggendo l’articolo mi viene una domanda: non è che quelli che li definisce ‘atei’ siano meglio assimilabili ai ‘nones’ statunitensi? https://www.pewresearch.org/religion/2012/10/09/nones-on-the-rise/
comunque mi fa piacere che l’autore rilevi che:
Credo anche che a molte persone piaccia celebrare nelle forme classiche della nostra Chiesa, ma molti pastori e membri della leadership della Chiesa non hanno familiarità con questi riti.
Più che atei militanti totalmente indifferenti oppure del tutto inconsapevoli delle conoscenze di base delle varie religioni. Aumentano di continuo, nella popolazione generale
Articolo bello.