La comunità di Taizé, che organizza questi incontri annuali, è attualmente composta di circa 100 fratelli di una trentina di paesi, cattolici e cristiani delle diverse Chiese evangeliche. Attraverso la vita monastica, essi vogliono essere un segno di riconciliazione tra i cristiani divisi e tra i popoli.
Con una preghiera comune si è concluso il 1° gennaio scorso a Breslavia, il 42° Incontro europeo di cinque giorni dei giovani animato dalla comunità ecumenica di Taizé. “Sempre in cammino, mai sradicati” era il titolo scelto per questa circostanza, che ha visto la partecipazione di circa 14 mila giovani di 60 nazioni, di tutte le Chiese cristiane.
Saldamente radicati nella fede
Il tema di quest’anno era ricavato da una massima di sant’Urszula Ledochowska. Perché è stata scelto? Perché – è stato risposto – la fede in Cristo ci rende pellegrini, ci pone in cammino dentro noi stessi e verso gli altri, ci rende attenti a coloro che incontriamo.
Il Vangelo non è compatibile con il “ciascuno per sé”. Pensiamo, ad esempio, ai migranti: come vivere un’accoglienza che rispetti la loro dignità? Certo, i grandi movimenti migratori stanno sconvolgendo le nostre società, ma vediamo anche l’opportunità che ci offrono. Pensiamo alle grandi emergenze ecologiche e climatiche. Ci chiedono una nuova flessibilità, una conversione dei nostri modi di vivere. Per affrontare coraggiosamente le sfide che ci turbano, abbiamo bisogno di un solido sostegno. Ci chiedono di essere saldamente radicati nella fede. Ecco perché, attraverso questo tema, è stato proposto ai giovani di approfondire queste due realtà che, a prima vista, sembrano contraddittorie.
L’incontro di Breslavia ha voluto essere una festa della comunità e della fede che unisce le persone al di là di ogni confine. Come ha dichiarato Fratel Alois, priore della comunità ecumenica di Taizé, questo convenire dei giovani è una speranza per il futuro dell’Europa, luogo in cui le persone non devono dimenticare l’impegno dell’ascolto reciproco, in un’epoca in cui i confini politici, culturali e linguistici non sono più così importanti. Si tratta piuttosto di Dio e della fede.
In un messaggio ai giovani partecipanti, papa Franesco ha scritto: «Possiate scoprire insieme quanto il radicamento nella fede vi chiama e vi prepara ad andare verso gli altri e a rispondere alle nuove sfide delle nostre società, in particolare ai pericoli che pesano sulla nostra casa comune». E, facendo riferimento a quanto scritto sempre ai giovani nell’esortazione apostolica post sinodale Christus vivit, ha sottolineato: «Le radici non sono delle àncore che ci legano ad altre epoche e ci impediscono di incarnarci nel mondo attuale per far nascere qualcosa di nuovo. Sono, al contrario, un punto di radicamento che ci consente di crescere e di rispondere alle nuove sfide».
All’incontro di Breslavia hanno inviato messaggi di auguri e sostegno all’iniziativa anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, l’arcivescovo anglicano di York e primate di Inghilterra, John Sentamu, il segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese, rev. Olav Fykse-Tveit, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, e, per la prima volta, la neopresidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Segno che i leader religiosi e politici guardano con speranza all’iniziativa.
Nel programma delle giornate erano previste preghiere comuni, con un particolare rilievo dato a quella della sera con Fratel Alois. Inoltre, sono stati eseguiti canti della comunità di Taizé, si è ascoltata della buona musica, si è dato spazio a tempi di meditazione e di raccoglimento per poter pregare in silenzio.
I lavori sono stati impostati sulla base di numerosi workshops su 30 temi specifici riguardanti: spiritualità, Chiesa, solidarietà, società, arte e fede.
Alla buona riuscita dell’incontro hanno collaborato circa 1.000 volontari per l’organizzazione degli alloggi, dei pasti e dei workshops.
L’intervista a fratel Ulrich
Al termine delle cinque giornate ci si è chiesti: «Che cosa può imparare la Chiesa dall’incontro di Breslavia?». La domanda è stata posta dai media a fratel Ulrich, della comunità di Taizé, in una breve intervista riferita dall’agenzia KNA e rilanciata da Domradio.
– Fratel Ulrich, l’incontro annuale della comunità di Taizé ha sempre a che fare con la comprensione internazionale tra i popoli. È avvenuto anche quest’anno?
La comprensione internazionale tra i popoli non è in realtà un problema, perché da noi è una realtà semplicemente vissuta. Noi dividiamo i giovani in gruppi più piccoli tra le comunità ospitanti, in modo che in ciascuna tre o quattro gruppi linguistici di paesi diversi vivano insieme per questi cinque giorni. In questo modo, la comprensione internazionale è una cosa ovvia durante tutto questo tempo. Tutti oggi parlano l’inglese e ci si trova semplicemente insieme..
– Quale speranza coltiva per il nuovo anno?
È difficile da dirlo. Viviamo in un momento molto agitato. Si può solo sperare che sia mantenuta la pace. Non solo in Europa ma, per quanto possibile, in tutte le parti del mondo. Questa, io penso, sia la più grande speranza che condividiamo con tutti gli esseri umani.
– Un nuovo anno: vengono sempre programmate nuove proposte. Cosa dovrebbero fare le Chiese per i giovani nel nuovo decennio?
È difficile rispondere, perché le situazioni sono molto diverse. Lo abbiamo costatato a Breslavia durante la preparazione. Nei diversi paesi, la Chiesa trova diverse difficoltà nell’incontrare i giovani e ad accettarli prima di tutto così come sono. Non ci sono ricette. Noi stiamo molto attenti a non dare alcun consiglio.
Credo, tuttavia, che ci si debba fidare dei giovani. Questa è una sfida personale che tutti, in certo senso, devono affrontare, soprattutto coloro che hanno una responsabilità nella Chiesa: fidarsi dei giovani per lasciarli fare e lasciare che portino le loro le idee. Non è sempre una cosa facile.
– Questa varietà, che da voi è già vissuta, si adatta un po’ anche allo slogan di questo incontro, “Sempre in cammino, mai sradicati”. Cosa significa questo per la sua comunità?
Per noi questo significa essere sempre più aperti all’interno e all’esterno del cammino da compiere. Ciò può comportare sfide molto diverse. Viviamo in diversi continenti. La vita sta diventando più intensa. Arrivano sempre più richieste per le riunioni dei giovani e per organizzare incontri in diversi continenti.
Questo essere in cammino ha anche un aspetto molto concreto per noi: il fatto di essere sempre essere pronti ad adattarci ad un nuovo ambiente. Chiederci ancora: cosa significa, in particolare per il nostro progetto, per esempio accogliere i giovani qui a Taizé? A quali cose a cui si era affezionati dire addio? Allo stesso tempo, dobbiamo sempre chiederci: che cosa esercita una presa interiore nella vita? Come ci fissiamo in Cristo?
– Il prossimo incontro annuale per il 2020 avrà luogo a Torino. Può dire qualcosa agli organizzatori italiani?
In questi ultimi giorni, alcuni di noi hanno incontrato l’arcivescovo di Torino. Durante la preghiera serale, egli ci ha invitato in modo molto toccante. Abbiano l’impressione di essere accolti a braccia aperte. L’unica cosa che chiediamo quando veniamo in una città per preparare un incontro è solo di essere coinvolti con gli adolescenti e cercare di convincerli a farlo.
La parola a Fratel Alois
Oltre a fratel Ulrich, sono state rivolte alcune domande anche a fratel Alois.
– Fratel Alois, cosa vorrebbe che rimanesse nei giovani dopo questa esperienza?
La bontà di Dio. Vorremmo che i giovani, e anche coloro che li accoglieranno, scoprano nei loro cuori che Dio è amore, che Cristo è venuto a rivelarci la sua compassione senza limiti e che tutti loro sono portatori dello Spirito Santo e costituiscono insieme il popolo di Dio. In definitiva, questo incontro non ha altro scopo.
– Cosa la preoccupa di più oggi? E quale il suo augurio per il 2020? Per la Chiesa, il papa Francesco, l’umanità?
La Chiesa sta attraversando un momento difficile, è come la barca degli apostoli che fronteggia la tempesta. Ma, attraverso questa prova, possiamo anche crescere in umiltà e semplicità.
Ciò che spero per il futuro è che la Chiesa contribuisca a costruire una mondializzazione dal volto umano.
A tante domande si può rispondere solo se le soluzioni che si cercano scaturiscono dalla collaborazione tra i popoli. A questo proposito, abbiamo ricevuto un forte incoraggiamento dai messaggi che ci sono arrivati dai responsabili delle Chiese e dei leader politici per l’incontro di Breslavia.