Autocoscienza e unità dei cristiani
Nel precedente intervento (Come ho visto il Santo e grande sinodo) abbiamo semplicemente individuato il primo e basilare problema affrontato dai patriarchi e dagli arcivescovi a capo delle Chiese ortodosse riguardo al Grande e santo concilio, quello della convocazione. Hanno creduto che la questione non fosse rilevante, dal momento che tutti gli alti rappresentanti delle singole Chiese avevano posto la loro firma su un testo di accordo, sia sulla convocazione, sia sui temi da prendere in esame, sia sui testi-schemi che si sarebbero dovuti discutere in aula conciliare.
Nonostante tutto questo, il Concilio non è andato bene, per due motivi:
– primo, perché quattro Chiese o patriarcati, due di antica fondazione (Antiochia e Georgia) e altre due di costituzione più recente (Russia e Bulgaria), non hanno voluto mandare rappresentanti;
– secondo, perché ci sono stati parecchi vescovi che hanno negato la propria firma al momento della conclusione, specialmente per il testo che riguarda le relazioni con le altre Chiese, quelle non ortodosse.
Dogma, giurisdizione e Tradizione
A questo punto bisogna chiarire che non si tratta di questioni di secondaria importanza, tali che avrebbero potuto essere anche ignorate. Si tratta, piuttosto, di una questione dogmatica, e perciò di fondo. Infatti, la Chiesa della Georgia lo ha dichiarato senza mezzi termini. La loro partecipazione al Concilio avrebbe messo in pericolo l’ortodossia della fede.
Per gli altri tre patriarcati si tratta, invece, di questioni di giurisdizione.
Il patriarcato di Antiochia non ha voluto partecipare ad un concilio finché rimane irrisolta la questione della giurisdizione sul Katar, rivendicata dal patriarcato di Gerusalemme.
Ma anche la Chiesa Russa sente di avere questioni aperte di giurisdizione sia a livello locale (Ucraina), sia a livello più generale (la terza Roma continua ad essere per loro un sogno realizzabile).
Nella scia di Mosca, anche Sofia.
Questi patriarcati hanno ancora questioni aperte (di natura storica, giurisdizionale e di geopolitica), con il patriarcato ecumenico. Non solo la storia recente, ma anche quella antica, influiscono ancora sulle relazioni interne all’Ortodossia. Quando si dice che l’Ortodossia è una Chiesa di Tradizione, sono in pochi gli occidentali a capire fino a che punto arriva questa Tradizione e in che cosa consiste.
Il concetto di Tradizione, rivestito con un mantello di misticismo orientale, comprende, oltre a letture teologiche dei padri della Chiesa, anche sapori di rivendicazioni nazionali o razziali, questioni di culture antichissime, insegnamenti spirituali di starets locali o nazionali. Manca quasi totalmente quello che un cattolico chiamerebbe “magistero” che, in un certo senso, avrebbe dato a tutto questo una valida forma di attualizzazione.
Ci troviamo, allora, davanti ad una spiritualizzazione del concetto dell’unità della Chiesa, la prima caratteristica definita dal Credo, insieme alla santità, alla cattolicità e all’apostolicità. Ci fermeremo sul concetto della Chiesa una.
Chiese o comunità?
Il testo definitivo è caduto in molte contraddizioni, cercando di salvare la sua teologia ecclesiologica (natura ontologica della Chiesa), l’operato secolare della Chiesa ortodossa nei dialoghi ecumenici (è stata tra le prime promotrici del movimento ecumenico, molto prima della Chiesa cattolica-romana e con figure di primo piano fin dal sec. XIX), e la pace con gli oltranzisti greci e russi, i quali sono stati ripresi per le loro posizioni di purità ortodossa.
Il documento sulle relazioni con il resto del mondo cristiano mostra il grave problema interno all’Ortodossia, cioè quello dell’unità.
Nel dialogo con la Chiesa cattolica, spesse volte le Chiese ortodosse si trovano più divise tra loro che con i loro interlocutori cattolici, i quali si sentono in grande disagio.
È noto che tutto il lavoro conciliare poteva fallire a causa della denominazione dei non ortodossi. Devono essere chiamate Chiese o no? Mentre gli appartenenti a quelle comunità vengono chiamati “cristiani”, il loro convenire insieme – secondo gli oltranzisti dentro e fuori dell’aula conciliare – non può essere chiamato “Chiesa”, perché la Chiesa è una e unica. Accettando una tale posizione, tutte le dichiarazioni di “fratelli” e di “Chiese sorelle” venivano meno e quelle “Chiese” dovevano essere dichiarate non solo nulle e senza significato ma perfino eretiche.
La situazione è stata salvata dall’arcivescovo della Chiesa ortodossa di Grecia, Ieronimos, il quale, a quel punto, ha chiesto con fermezza che venisse aggiunta una frase che egli aveva preparato con la sua delegazione.
Il testo ufficiale in lingua francese suona così: l’Église orthodoxe accepte l’appellation historique des autres Églises et Confessions chrétiennes hétérodoxes qui ne se trouvent pas en communion avec elle. Le contraddizioni interne (ce ne sono più di una) di questa frase sono evidenti. E risultano ancora più pericolose, perché si trovano in contrasto con la tradizione storica della stessa Ortodossia.
Praticamente, la Chiesa ortodossa si trova da decenni in dialogo teologico con gli altri “cristiani” (questo appellativo non ha creato problemi…), i quali non sono Chiese ma comunità. La parola comunità era stata proposta dal Sinodo della Chiesa di Grecia in vista del Grande concilio.
Il concetto di unione delle Chiese di cui si parlava nel passato è stato vanificato. La Chiesa per eccellenza – quella ortodossa –, che parlava di Chiese (locali, nazionali, autocefale ecc.) ma non di Chiesa, conservando sempre il senso dell’una, dopo tanti decenni di dialoghi, rifiutava il termine Chiesa ai suoi interlocutori cristiani, praticamente negando la sussistenza del loro battesimo.
L’autocoscienza profonda di cui parla il documento al suo inizio non faceva problema quando dichiarava gli interlocutori delle Chiese ortodosse “cristiani” ma non “Chiesa”? Se sono cristiani, piccolo o grande popolo che sia, quando si radunano per spezzare la sua Parola e pregare, non c’è tra di loro anche Gesù Cristo secondo la sua promessa? E quando c’è il Capo, non formano le membra insieme a lui un corpo, cioè una Chiesa? Si tratta di terminologia tecnica e basta? L’ecclesiologia non deve trarre conclusioni pratiche per la vita di ogni giorno o si tratta di una materia cattedratica e basta?
Secondo me, la Chiesa ortodossa ha mostrato chiaramente verso l’esterno la sue contraddizioni interne. Le contraddizioni sempre ci sono state (come del resto in tutte le altre Chiese).
La più grande (sempre secondo me) è quella riguardante la sua autocoscienza profonda – così è stata chiamata –, la quale consiste nell’autodefinirsi in base agli altri cristiani e non tanto in se stessa.
Speravo in un testo (e in decisioni…) molto più coraggioso verso il mondo cristiano e in un impegno ortodosso più decisivo e autentico verso la ricerca dell’unità dei cristiani. In poche parole, mi aspettavo una voce autorevole, decisiva verso il mondo non ortodosso, che avesse spiegato la via ortodossa verso l’unità dei cristiani, al di là delle generalizzazioni che si sentono nei panegirici. E questa via, una volta individuata, andrebbe incarnata nella vita di ogni giorno, specie nei luoghi dove convivono cristiani di altre Chiese in mezzo ad una maggioranza ortodossa.
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Terminando questi due punti, che per me sono stati i più problematici durante lo svolgimento del Santo e grande concilio dell’Ortodossia, non posso non esprimere un giudizio molto positivo almeno su due punti:
a) sull’operato del patriarca Bartolomeo, che si è speso per la convocazione e la riuscita del concilio, come cosciente capo di tutta l’Ortodossia;
b) sul fatto che la Chiesa dei sette concili, anche se non ha potuto celebrare il suo ottavo, finalmente ha scoperto la via che bisogna percorre per arrivarci. È una via molto difficile, perché, per percorrerla, deve riconoscere che l’èra costantiniana si è conclusa definitivamente per tutte le Chiese, per necessità storiche e teologiche. E questo è strettamente connesso con la sua autocoscienza.
Da questa via passano l’autenticità e la validità del suo contributo alla salvezza del mondo contemporaneo. Se no, anche la Chiesa dei sette concili rimarrà un reperto archeologico o folcloristico del passato o, al massimo, una via, tra le tante, di spiritualità cristiana.
Penso sia una conclusione di tipo storico quella che scaturisce leggendo l’ultima intervista del patriarca ecumenico (cf. la Repubblica, 16 luglio 2016).