Anatoly Krasikov ha lavorato per ben 27 anni nella storica Agenzia di informazioni dell’Unione Sovietica, la TASS, di cui è stato corrispondente da Roma negli anni del Concilio Vaticano II. Passò quattro anni al Cremlino, come direttore del servizio stampa del capo dello Stato, Boris Eltsin. In seguito fu segretario generale del Consiglio presidenziale per la cooperazione con le comunità religiose. Da vent’anni si occupa della ricerca scientifica ed è membro del Consiglio direttivo dell’Associazione internazionale per la libertà religiosa. È un devoto fedele della Chiesa ortodossa russa e mantiene stretti legami con il mondo cattolico.
La conversazione riguarda la notizia dell’incontro a L’Avana, il 12 febbraio, tra papa Francesco e il patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia. Ma chi è Kirill? «Il suo nome è Vladimir Michajlovic e il cognome Gundjaev ed è nato a San Pietroburgo, allora Leningrado, il 20 novembre 1946. È stato eletto patriarca il 27 gennaio 2009, avendo ottenuto 508 voti su 702. È stato intronizzato patriarca il 1° febbraio dello stesso anno. Nel 1991, il patriarca Alessio II gli conferì la dignità di metropolita. Lo conobbi personalmente subito dopo le celebrazioni del millennio ortodosso della Chiesa russa. Venne alla TASS per presentarsi in qualità di presidente del Dipartimento dei rapporti esterni del Sinodo della Chiesa russa. Ringraziò con molto calore i giornalisti. Devo confessare che fece in me e nei miei colleghi un’ottima impressione. Sorridente, amabile, serio e ironico nello stesso tempo». Un politico sornione ? «Credo di sì e anche ambizioso. Il patriarca Alessio, un santo, era per una Chiesa che non avesse legami troppo stretti con il potere. Kirill, invece, sembrava voler prendere un’altra strada, coinvolgendo il patriarca Alessio. Secondo lui, i termini russo e ortodosso sono sinonimi. Se Alessio parlava di collaborazione con il potere statale, Kirill ragionava in termini di sinfonia Stato-Chiesa. Già allora si capiva che la personalità di Kirill era del tutto differente da quella di Alessio».
Questo apparve chiaro riguardo alla guerra cecena. «Proprio così. Kirill fece passare per il Sobor mondiale del popolo russo, da lui ideato e presieduto, la risoluzione “sul carattere sacro del servizio militare” e appoggiò la creazione di un Dipartimento sinodale per i rapporti Chiesa-esercito. Dopo l’arrivo di Putin al potere nel 2000, Kirill trovò in lui un alleato ideale nella strategia del ritorno all’impero sovietico, “territorio canonico della Chiesa ortodossa russa”. La storia successiva ha di fatto messo in luce la militarizzazione a oltranza del pensiero russo, sia civile sia religioso. La sinfonia appunto».
Eletto patriarca, Kirill volle intensificare la presenza della gerarchia della Chiesa ortodossa nell’esteso territorio, consacrando o facendo consacrare molti nuovi vescovi. Il loro numero passò in breve da 200 all’inizio del 2009 a 330 a gennaio 2015. Nel 1914 ce n’erano 130 in tutto il vastissimo territorio zarista. Questa «corsa ai vescovi» era dettata dal fatto di presentarsi al Santo e Grande Concilio pan-ortodosso, fissato per il giugno 2016, con maggior forza. Calcolo sbagliato, perché a Costantinopoli i massimi dirigenti delle Chiese ortodosse nel marzo 2014 definirono il numero preciso e uguale di rappresentanti di ogni Chiesa (24 persone). «Ma l’aumento del numero dei vescovi – osserva Krasikov – deve servire alla strategia messa in atto dal tandem Putin-Kirill, cioè la nazionalizzazione della Chiesa e la clericalizzazione dello Stato».
Kirill non mosse un dito per disapprovare l’azione militare di Mosca nell’invasione dell’Ucraina dell’Est, che violava apertamente gli obblighi internazionali del paese confermati dalla sua Costituzione. Di più: intervenendo a Tobolsk (Siberia) il 23 giugno 2014, commemorando il 73° anniversario dell’inizio della guerra tedesco-sovietica, Kirill chiamò i fedeli a manifestare eroismo e disponibilità a sacrificarsi, obbedendo alle direttive del Cremlino.
Non è che Kirill goda in patria di largo consenso. Il 28 luglio 2014 il centro d’indagine SREDA pubblicò i risultati di un sondaggio, secondo il quale tre quarti dei cittadini russi erano d’accordo con l’affermazione: «La Russia ha bisogno dell’ortodossia cristiana»: 31% completamente d’accordo e 43% abbastanza d’accordo. Ma fece scalpore subito dopo l’indagine della Fondazione Obscestennoe (Opinione pubblica) sull’autorevolezza o meno di varie persone importanti della Federazione Russa. Solo l’1% dei russi aveva fatto il nome del patriarca Kirill.
Krasikov aggiunge: «Con questo esito dei sondaggi si può dedurre che stia più a cuore a Kirill che al Vaticano incontrare il papa». Kirill si rende conto che Costantinopoli, nonostante resistenze e timori, soprattutto da parte della Chiesa greca, sta «guadagnando» non poco dai frequenti «abbracci» con papa Francesco. Poi, diverse Chiese ortodosse sono ancora in «ubbidienza moscovita»: si pensi alla Serbia, alla Georgia, a quelle dei Paesi Baltici, ma meno «impermeabili», sia per motivi geografici sia geopolitici, all’influsso dell’Occidente e, di conseguenza, della Cristianità romana. Per mantenere il suo ruolo di leader nei confronti di queste Chiese, Mosca deve in qualche modo «anticiparle» o non farsi superare. Inoltre, l’incontro con papa Francesco serve al Patriarcato di Mosca per togliere la palma dalle mani di Bartolomeo.
E poi c’è la «crisi ucraina», dove Mosca rischia che la Chiesa Ucraina ortodossa russa proceda sulla strada della piena autocefalia. Per il Patriarcato moscovita sarebbe un colpo duro, tanto più che lo pseudo patriarca ucraino, Filarete, scomunicato da Mosca, più volte ha avanzato l’ipotesi di passare sotto la giurisdizione di Costantinopoli. Bartolomeo, per prudenza politica, non si è espresso con chiarezza, ma l’ha fatto intendere e i timori aumentano. Separate da Mosca, anche la Chiesa Ucraina fedele a Mosca come quella «indipendente», potrebbero essere tentate da una simile prospettiva.
Si ha l’impressione che più di un a tu per tu a carattere religioso, l’incontro di L’Avana verterà molto sull’Ucraina. Kirill potrebbe chiedere al papa e quindi alla diplomazia vaticana (a Kiev ora c’è un nuovo nunzio, mons. Claudio Gugerotti, un abile diplomatico di grande esperienza), d’impegnarsi di più per la pacificazione in Ucraina, calmando le spinte espansionistiche dei greco- cattolici ucraini verso l’Est del Paese , la parte sinistra del fiume Dniepr, dove la cultura ucraina si mescola alla russa. Kirill chiederà al papa di calmare gli animi dei greco-cattolici, che continuano a chiedere l’erezione del Patriarcato greco-cattolico. Il papa è contrario, ma Kirill vuole essere rassicurato.
È da pensare, quindi, che sia stato lo stesso Kirill a volere fortemente l’incontro di L’Avana. Ovviamente papa Francesco ha colto la palla al balzo. Nell’ottobre 2008 fu inaugurata la prima chiesa ortodossa russa a Cuba. Un incontro di preghiera sarebbe potuto avvenire nella Cattedrale della Madonna di Kazan a L’Avana, anziché in una sala dell’aeroporto, ma questo avrebbe suscitato un bel po’ di problemi sia a Mosca (i nemici della Santa Sede in Russia sono bellicosi, soprattutto in certi monasteri e diocesi e la paura nei confronti dell’espansionismo della Chiesa cattolica è evidente), sia al governo cubano per ragioni di sicurezza.