«Ritornando a casa, ognuno di noi può essere operatore di pace, ognuno può iscrivere la non violenza nella sua vita quotidiana. Ciascuno di noi potrebbe arrivare a condividere la luce della pace con una o più persone: i nostri cari, una famiglia che vive nella precarietà, un senza tetto, un bambino abbandonato, un rifugiato.
Possiamo talvolta alleviare una sofferenza. Possiamo sempre prestare un’attenzione del cuore all’altro, cosa importante quanto l’aiuto materiale: ascoltare un rifugiato raccontare la sua storia, o una madre sola disoccupata e che non sa come preparare il futuro dei suoi figli…
Quando andiamo con molta semplicità verso quanti sono più poveri di noi, facciamo una scoperta: essi ci danno qualcosa, ci aiutano ad accettare le nostre debolezze e la nostra vulnerabilità, c’insegnano il valore inestimabile della bontà umana.
I poveri di questo mondo sono, a volte senza saperlo, molto vicini a Gesù che era povero tra i poveri. Quando andiamo con il cuore aperto verso coloro che sono feriti dalla vita ci avviciniamo a Gesù. Per questo capiamo meglio le sue parole, e la sua luce si riaccende in noi. Il senso della nostra vita diventa più evidente, essa è un segno dell’amore di Dio, noi siamo fatti per amare ed essere amati».
È il mandato di frère Aloïs, priore della comunità di Taizé, ai circa 15 mila giovani riuniti a Riga in Lettonia per il tradizionale raduno di fine anno che si rinnova ormai dal 1978.
Un appuntamento che ha raggiunto negli anni Ottanta-Novanta numeri che sfioravano le 100 mila unità e che costituisce da anni una delle tappe più significative per tanti gruppi di pastorale giovanile scarsi un po’ in tutta Europa. Un’ulteriore conferma di quella felice intuizione che aveva visto il fondatore Roger Schutz – nato il 12 maggio 1915 a Provence, un Paese della Svizzera francese, padre pastore protestante e biblista, madre di origine francese, guarito dalla tubercolosi, laureato prima in lettere e poi in teologia a Losanna – girare in sella alla sua bicicletta per le Alpi svizzere e francesi e fermarsi in un villaggio posto sulle colline fra Cluny e Citeaux nel cuore della Borgogna, luogo cardine del monachesimo europeo, nel dipartimento Saône-et-Loire e istituire una comunità che potesse operare quella che allora, in pieno Secondo conflitto mondiale, sembrava una vera e propria utopia. Ma nel 1948 l’intuizione di un’altra figura che diede subito credito alla sua idea: l’allora nunzio apostolico a Parigi, mons. Angelo Roncalli (futuro papa Giovanni XXIII) firmò l’autorizzazione per la piccola Comunità, a riunirsi in preghiera nella chiesa cattolica del villaggio di Taizé e successivamente arrivò la «Regola».
Da più di settant’anni il nome di Taizé – anche dopo la morte di frère Roger avvenuta nel 2005 – significa dialogo e preghiera ecumenica, soprattutto per giovani e giovani-adulti, ma anche famiglie. E dal 1978, anticipando l’istituzione delle Giornate della gioventù da parte di papa Giovanni Paolo II, gli Incontri ecumenici di fine anno (alla vigilia della Giornata mondiale della pace) rappresentano un’occasione in più di preghiera ecumenica per la pace.
Basilea culla della Riforma
«Il nostro incontro è portatore di un messaggio per l’Europa: noi optiamo per una fraternità europea rispettosa delle particolarità locali, dove la voce di ogni popolo conta. E ci impegniamo a creare legami d’amicizia in Europa e anche al di là delle frontiere dei nostri Paesi europei.
Per noi cristiani, la fraternità ha anche un altro nome, quello della comunione. Sì, Cristo ci unisce in una sola comunione, con tutte le nostre diversità di culture e tradizioni cristiane» – ha detto frère Aloïs il 30 dicembre. «Voi giovani che siete qui, protestanti, ortodossi, cattolici, voi testimoniate con la vostra presenza il vostro desiderio d’unità. Avete ragione: dobbiamo essere insieme affinché sia rivelato il dinamismo del Vangelo. Quando camminiamo insieme, la speranza che viene da Cristo si manifesta chiaramente. Egli ha vinto la morte e l’odio, oggi ci riunisce nella sola comunione di tutti i battezzati.
Se siamo uniti in Cristo, possiamo essere un segno di pace in una umanità lacerata. Sì, la nostra fraternità, la nostra comunione possono preparare la pace».
In questo contesto di dialogo e testimonianza di pace assume un significato tutto particolare la scelta, comunicata alla conclusione, della sede per il prossimo incontro, il 40°: la città di Basilea in Svizzera.
A distanza di 10 anni dall’incontro di Ginevra 2007, il raduno torna nel cuore dell’Europa in una terra che ha profondi legami con la Comunità perché di origine svizzera era il fondatore e perché dai Paesi di Francia e Germania (al crocevia dei quali è situata Basilea) provenivano i primi monaci e anche oggi il maggior numero di giovani pellegrini.
Ma Basilea significa anche culla della Riforma protestante perché dal 1514 era diventata residenza del monaco e filosofo di origine olandese Erasmo da Rotterdam, teorico della Riforma, a più riprese in polemica con Lutero per divergenze su stile e contenuti.
E Basilea è stata anche la sede, nel 1989, della I Assemblea ecumenica delle Chiese europee, radunate insieme per la prima volta dopo la Riforma, una pietra miliare nel dialogo tra le Chiese, che hanno discusso e pregato formulando proposte su giustizia, pace e salvaguardia del creato che hanno segnato il cammino del dialogo fino ai giorni nostri.
Pace e accoglienza
Se l’appuntamento in Svizzera assorbirà gran parte delle energie organizzative nei prossimi mesi, la Comunità – che continua l’Operazione speranza a favore delle comunità di Aleppo in Siria e Mosul in Iraq – sarà presente in altri incontri sparsi nel mondo, come ha ricordato frère Aloïs: «a Birmingham, una delle città più multiculturali e multireligiose dell’Europa, a Saint Louis negli Stati Uniti dove permangono vive le tensioni etniche dopo gli avvenimenti di Ferguson di due anni fa, in Egitto dove la Chiesa copto-ortodossa è nuovamente colpita da una prova». Nell’ambito dell’annuale Kirchentag tedesco l’animazione poi di una preghiera a Wittenberg, la città di Lutero, e, sempre per ricordare i 500 anni dalla Riforma, è prevista una grande preghiera ecumenica a Ginevra.
Ma gli incontri di preghiera nello spirito della comunità di Taizé assumono anche un valore educativo e feriale per tutti i giovani al rientro nelle rispettive sedi, nell’ottica della costrizione di una nuova cultura europea di accoglienza e dialogo con quanti arrivano da lontano. Così frère Aloïs : «Ci sentiamo così ben accolti a Riga. Possiamo di nuovo comprendere che l’ospitalità è un valore fondamentale e universale. Tutti gli umani hanno sete di comunione, amicizia. Quando ne facciamo l’esperienza la nostra vita assume un senso più profondo. Vorremmo vivere una simile ospitalità del cuore non solo nei momenti eccezionali, ma nella nostra esistenza di tutti i giorni. Dapprima verso coloro che ci sono più vicini: prendere del tempo per loro, ascoltarli, e anche lasciarci accogliere da essi.
Poi estendiamo l’ospitalità al di là di chi ci sta accanto. In questi giorni ascoltiamo la testimonianza di persone che vanno verso i più poveri. Queste persone ci dicono quanto esse siano felici di poterne aiutare altre, ma ci raccontano anche tutto quello che ricevono da loro.
Sì, quando andiamo verso chi è più povero di noi, anche a mani vuote, ci è donata la gioia. A Taizé abbiamo spesso vissuto questo e in particolare quest’anno con i rifugiati che abbiamo accolto. Stare accanto ad essi nel loro sconforto, ascoltare le loro storie ci ha portati ad amicizie sorprendenti.
Certo, l’arrivo di tanti rifugiati che vogliono entrare in Europa pone domande complesse e nessuno ha delle risposte facili. Ma sono convinto che non troveremo soluzioni senza contatti personali. Senza questi contatti, la paura, che è comprensibile, rischia di prendere il sopravvento.
D’altronde in tutti i nostri Paesi da molto tempo delle popolazioni di culture differenti vivono insieme. Anche qui creiamo dei contatti personali, dei ponti. Superiamo i pregiudizi. Anche con pochi mezzi, con quasi niente, possiamo incominciare. Andiamo verso gli altri, con grande semplicità. Accogliamo Cristo, anche noi, con amore. Offriamogli ospitalità. Egli ci guarda con fiducia. Allora la paura lascia il posto al coraggio. L’impossibile diventa possibile».