La Romania è una terra dalle mille sfaccettature e questo lo si nota, sin da un primo sguardo, osservando la diversità che intercorre tra le costruzioni religiose che ne ricoprono il suolo.
Ci si può imbattere nelle stupefacenti chiese di legno immerse nel verde del Maramures̹, che combinano la doppia condizione di cristianità orientale e nobiltà occidentale tipica dell’area, o nelle chiese del sud del paese che combinano la struttura tradizionale medievale romena con le decorazioni tipiche delle moschee turche di Istanbul, come la chiesa episcopale di Curtea de Argeș.
Con le scintillanti cupole dorate, che riflettono la luce del sole, delle chiese ortodosse di Bucarest e i monasteri della Bucovina, eretti per affermare la resistenza ortodossa all’espansionismo musulmano e cattolico, patrimonio UNESCO per i capolavori d’arte bizantina che ne ricoprono le pareti interne ed esterne, la Romania è uno splendido esempio di spartiacque fra la tradizione ecclesiale e culturale di Roma e la tradizione ecclesiale e culturale di Costantinopoli.
Ad oggi, con i suoi diciannove milioni di abitanti, la Romania, secondo le statistiche, è uno dei paesi più religiosi d’Europa, con una prevalenza della fede ortodossa, ma nel corso dei secoli, soprattutto nel periodo medievale, ha visto susseguirsi al suo interno culture e confessioni religiose differenti che hanno contribuito a forgiare il cristianesimo romeno odierno.
Le origini
Per ripercorrere questo periodo di influenze bisogna partire da molto più lontano, dalle origini, nonostante le fonti risultino scarse e imprecise. Il punto di partenza del cristianesimo romeno è da individuare tra il 101-102 d.C. e il 105-106 d.C., quando l’Impero romano, guidato dall’imperatore Traiano, conquistò il territorio della Dacia (odierna Romania).
Alla conquista della regione seguì il trasferimento di un gran numero di coloni, provenienti da altre province dell’Impero, e questo innescò un processo di intensa romanizzazione dell’area che lasciò una grande eredità: la religione cristiana, come testimoniato dalle rovine del sito storico-archeologico di Porolissum, un ex insediamento romano e ad oggi museo a cielo aperto nel nord-ovest della Romania.
Nel 274 l’imperatore Aureliano e le sue truppe si ritirarono dalla Dacia in seguito alle continue ondate di invasioni barbariche; nonostante ciò, l’influenza romana persistette e la popolazione daco-romana continuò ad abitare la zona mantenendo rapporti con l’Impero.
In questo periodo, oltre alla continua influenza romana, l’area fu sottoposta a quella di altre popolazioni che si susseguirono nei secoli, fino all’arrivo, e alla conseguente conquista, del Primo Impero Bulgaro, nato nella penisola balcanica nel 681.
Uno degli elementi caratterizzanti questo periodo storico e il Primo Impero Bulgaro è il legame che quest’ultimo strinse con l’Impero Bizantino, che ebbe una grande rilevanza nella storia culturale e religiosa della Romania, tanto da portare alla cristianizzazione dell’Impero nell’864.
Cirillo, Metodio e il battesimo di Boris I
Tale processo ebbe inizio con l’opera missionaria dei fratelli Cirillo e Metodio, i quali cristianizzarono le genti slave, non solo in Romania, attraverso la traduzione dei testi sacri in un nuovo alfabeto da loro inventato, detto “cirillico” o “glagolitico”.
Il percorso culminò nel IX secolo con il battesimo del sovrano bulgaro Boris I, evento che sancì l’inserimento dell’Impero, e conseguentemente dell’area della Dacia, all’interno del Commonwealth bizantino, un legame di sudditanza politica e religiosa da parte degli stati slavi nei confronti delle istituzioni bizantine.
L’influenza bizantina è testimoniata dai monasteri della Bucovina e dai loro spettacolari affreschi, ma anche da altri luoghi di culto presenti sul territorio romeno, come il Monastero di Snagov, situato su un’isola a pochi chilometri da Bucarest, ricco di affreschi policromi, anch’essi in stile bizantino, con figure appiattite, stilizzate e monumentali che donano un’astrazione soprannaturale all’immagine.
Una nuova parentesi storica si aprì come conseguenza delle tensioni sorte, attorno al X secolo, per la crisi iconoclasta e per la volontà di Roma di espandere il proprio potere nei territori canonicamente dipendenti da Costantinopoli.
A partire dal XII secolo, la Chiesa di Roma cercò di espandere il proprio potere nei territori orientali affidando le diocesi di quei luoghi a vescovi latini, sostituendo quelli greci “senza diritto” di Costantinopoli e riportando così i vescovati greci sotto la tutela di Roma.
Questo è ciò che avvenne, già a partire dal X secolo, nelle terre a nord dei Carpazi, corrispondenti all’area della Transilvania, che vennero conquistate dal Regno d’Ungheria, un’entità politica di fede cristiana occidentale.
I molti muri da abbattere
La vera svolta arrivò tra il XIV e il XV secolo, periodo nel quale vennero a formarsi i voivodati della Valacchia e della Moldavia, terre che, fino a quel momento, erano state anch’esse soggette al dominio ungherese e a quello di diverse altre popolazioni, tra cui i mongoli.
I due voivodati si configurarono come entità politiche unitarie di religione ortodossa canonicamente dipendenti da Costantinopoli che si trovarono, non solo a combattere l’espansionismo ottomano, ma videro anche il diffondersi di idee legate ad altre confessioni religiose, come le idee ussite, luterane, calviniste e quelle della chiesa unitariana.
La Transilvania non subì una sorte tanto diversa e le nuove idee si diffusero a macchia d’olio, nonostante le pesanti repressioni esercitate dal Regno d’Ungheria. Bisognerà attendere il 1572 perché la Dieta di Transilvania riconosca le nuove Confessioni religiose e questo, solo dopo la nascita del Principato autonomo di Transilvania, nel 1571, che aveva l’obiettivo di proteggere la libertà religiosa del popolo.
Il susseguirsi di popoli e di religioni è anche ciò che ha contribuito alla nascita di un sentimento religioso forte, che nei secoli successivi ha dovuto resistere e abbattere molti altri muri, il più recente dei quali è stato il comunismo.