Verso la fine del XIII secolo, i re ungheresi iniziano la repressione sui romeni del sud dei Carpazi. La penetrazione magiara è lenta e si prolunga per più di tre secoli. Fin dai tempi del re santo Stefano (997-1038), in Transilvania si fa ogni sforzo per convertire i romeni ortodossi alla fede cattolica. Misure anti-ortodosse vengono adottate dal re Ladislao (1272-1290) e poi da Luigi d’Angiò (1342-1382), temperate sotto il regno di Mattia Corvino, che proveniva da una famiglia romena ortodossa della Transilvania.
Nel 1526 gli ungheresi subiscono la dominazione degli ottomani e la Transilvania accetta la sovranità della Porta, restando principato autonomo, ma vassallo. Dopo il 1541, molti nobili magiari si stabiliscono in Transilvania.
È il tempo della Riforma protestante. Il luteranesimo viene riconosciuto nel 1550. Il calvinismo s’impone e diviene la confessione dominante, benché la maggioranza della popolazione della Transilvania professi l’ortodossia.
Nel 1683 il principato autonomo della Transilvania passa sotto la dominazione degli Asburgo cattolici. L’imperatore Leopoldo d’Asburgo con il Diploma dà una vera organizzazione alla Transilvania: principato autonomo, retto da un governatore eletto dalla Dieta e confermato dalla corte di Vienna; le religioni sono la cattolica, la luterana, la calvinista e l’unitariana.
I romeni continuano ad essere esclusi dalla vita politica; la loro confessione è “tollerata”. Gli Asburgo hanno di mira l’espansione del cattolicesimo e si avvalgono dell’attività missionaria dei gesuiti, per lo più ungheresi, ritornati in Transilvania al seguito della casa imperiale.
L’imperatore Leopoldo con la Risoluzione del 1698 offre ai romeni la possibilità di scegliere una delle quattro confessioni. Il cardinale Leopoldo Kollonich, arcivescovo di Esztergom e primate d’Ungheria, lancia un “manifesto” ai preti romeni transilvani: solo coloro che accetteranno la dottrina cattolica nella sua integrità beneficeranno dei privilegi della Chiesa e dei preti cattolici. Ma la quasi totalità dei preti e dei fedeli non abbandona l’ortodossia.
In un Diploma del 1699 l’imperatore si dichiara soddisfatto dell’unione dei romeni, dei greci e dei ruteni alla Chiesa di Roma. Ai preti uniati vengono accordati tutti i privilegi e vengono esentati dalle imposte come i preti cattolici.
Il Secondo diploma leopoldino (19-30 marzo 1701) è ritenuto l’atto di fondazione della Chiesa uniate in Transilvania. I quindici articoli garantiscono alla Chiesa e ai preti uniati gli stessi privilegi dei preti cattolici. Un gesuita viene incaricato di controllare l’attività del vescovo. L’imperatore si definisce «padrone supremo» della Chiesa uniate con il diritto di nominare i vescovi.
Maria Teresa nel 1746 nomina quattro “protettori”, che instaurano un regime di oppressione nei confronti del clero e dei fedeli romeni ortodossi che si oppongono alla Chiesa uniate. Il suo inviato speciale, il generale von Bukow, fa un censimento delle parrocchie, dei preti e dei fedeli uniati (1762): più di 500 chiese degli ortodossi passano agli uniati. Decine di monasteri ortodossi vengono dati alle fiamme. Molti gli arresti, le esecuzioni capitali, la distruzione di interi villaggi.
Nel maggio 1867, la Transilvania con la risoluzione del “dualismo austro-ungarico” perde i connotati di principato autonomo e viene annessa al regno ungherese contro la volontà dei romeni. Fino al 1918 si sviluppano movimenti di liberazione nazionale, che spingono i tre milioni di romeni alla ribellione perché già dal 1868 la Legge delle nazionalità aveva proclamato l’esistenza di una sola nazione politica: «la nazione magiara unitaria indivisibile». L’ungherese viene imposto come la sola lingua ufficiale. Si scatena la politica della “magiarizzazione” in campo scolastico.
Per portare i romeni a convertirsi al cattolicesimo e soprattutto per sottomettere la Chiesa romena di rito greco-cattolico al controllo e agli interessi dell’Ungheria, il governo di Budapest crea nel 1912 la diocesi greco-cattolica magiara di Hajdudorog. Papa Pio X approva l’8 maggio 1912 la richiesta del governo austro-ungarico di erigere questa diocesi sovvenzionata dallo stato. Viene posta sotto la giurisdizione della sede primazia di Esztergom. All’opposizione romena il governo magiaro risponde con la forza: intellettuali e preti vengono imprigionati.
Sconfitto l’impero austro-ungarico (1918), nasce lo stato nazionale unitario romeno con la reintegrazione di alcune province. La Costituzione del 1923 dà ampia libertà ai culti. Alla Chiesa ortodossa ritornano la Transilvania, la Bessarabia, la Bucovina. Il 1° gennaio 1920, Miron Cristea viene eletto metropolita primate della Romania. Nel febbraio 1925 viene eretto il patriarcato della Chiesa ortodossa romena.
Golgota della Chiesa romena
Così gli storici romeni denominano il periodo che va dal Diktat di Vienna (agosto 1940) fino al 1944, sotto la reggenza del magiaro Horthy.
Hitler fissa (27 agosto 1940) la nuova frontiera magiaro-romena per avere i Carpazi orientali, posizione strategica di estrema importanza. Con l’annessione del nord-ovest della Romania, l’Ungheria horthysta vi instaura un regime di occupazione di stampo fascista con lo scopo di rafforzare il potere magiaro a detrimento della popolazione romena. L’Ungheria horthysta ha in Romania 300 mila uomini, che commettono – secondo gli storici romeni – ogni sorta di crimini: la tortura, l’espulsione in massa, il divieto di partecipare alla vita politica, la magiarizzazione forzata, l’internamento in campi di concentramento, i lavori forzati in Germania e in Ungheria, la persecuzione economica con la confisca dei beni. Fino all’estate 1943 i romeni uccisi soni circa 15 mila. Il 15,6% dei romeni è sotto l’occupazione ungherese. La popolazione romena ortodossa è sconvolta da una persecuzione brutale: demolizione, devastazione, profanazione di chiese e distruzione di residenze dei preti, politica discriminatoria nella retribuzione del clero uxorato.
Il barone Aczél Ede lancia l’idea, poi realizzata, della “Notte di san Bartolomeo” con lo scopo di uccidere persino «i bambini romeni nel ventre delle mamme». Il governo ungherese colpisce la Chiesa romena ortodossa espellendo un gran numero di preti, premendo sulla popolazione perché abbandoni l’ortodossia, erigendo un’eparchia ortodossa magiara alle dipendenze del regime con la nomina di Mihai Popof (12 aprile). È un prete russo con la cittadinanza ungherese, interdetto dal santo Sinodo russo.
Popof intraprende numerose e avvilenti azioni per sottomettere la Chiesa ortodossa romena. Continua la campagna di magiarizzazione dei nomi, d’imposizione ai preti romeni d’introdurre la lingua ungherese nelle chiese, di pressione perché la popolazione abbracci la religione cattolica o la confessione riformata.
La Legge sui culti (agosto 1948) stabilisce le modalità con cui la Costituzione garantisce la libertà di culto. Con un decreto del 1° dicembre 1948 si dichiara la fine della Chiesa cattolica di rito greco. Fino al 1° dicembre questa Chiesa contava in Romania circa 1.800.000 fedeli, 5 diocesi, 6 vescovi, 1.800 parrocchie, 2.588 chiese, 1.834 sacerdoti, 3 seminari con circa 300 seminaristi, un’accademia teologica, 9 istituti religiosi, 20 scuole con oltre 3 mila alunni, 4 istituzioni caritative.
Nel 1948 i vescovi cattolici di rito greco-cattolico si sono opposti alla decisione presa soltanto da 36 sacerdoti su circa 1.800.
Golgota della Chiesa greco-cattolica
Alla Chiesa greco-cattolica va riconosciuto il merito di avere risvegliato nella popolazione della Transilvania il desiderio di riscoprire la propria identità nazionale. Fu proprio il clero greco-cattolico che si oppose alla magiarizzazione. La Chiesa greco-cattolica sviluppò un proprio sistema scolastico romeno sia per lo spirito che per lingua. A cavallo tra il XIX e il XX secolo crebbe il numero dei sacerdoti greco-cattolici che si impegnarono nella lotta politica a difesa delle idee nazionali. La Chiesa greco-cattolica, in forza della sua influenza su circa 1.800.000 fedeli, divenne una vera potenza politica.
Verso gli anni ’20 del secolo scorso partì un’aperta azione propagandistica con lo scopo di por fine all’esistenza della Chiesa greco-cattolica ritenuta colpevole di avere tradito la Chiesa ortodossa. Nel 1923, per protesta, il nunzio apostolico Marmaggi lasciò la Romania. Tutte le scuole degli uniati furono sottratte alla Chiesa greco-cattolica e annesse allo stato. Parrocchie e chiese furono consegnate agli ortodossi. Scoppiò una vera persecuzione contro gli uniati.
Tra le due guerre si fece ogni tentativo per far passare gli uniati alla fede ortodossa, ma senza esito. Anzi, incominciò a farsi strada il progetto di costituire una Transilvania autonoma, comprendente tre nazionalità: romeni, ungheresi e tedeschi. La Chiesa greco-cattolica divenne l’animatrice. La seconda guerra mondiale mandò all’aria il progetto e il sogno. Nella parte della Transilvania occupata dagli ungheresi, la Chiesa greco-cattolica fu ferocemente perseguitata. Molti sacerdoti furono arrestati e deportati nella parte romena della Transilvania. La Santa Sede protestò con il governo di Budapest,
Finita la guerra, l’intera Transilvania tornò alla Romania. Il 1° dicembre 1948, la Chiesa greco-cattolica fu abolita e annessa d’autorità alla Chiesa ortodossa romena. Era già da qualche anno iniziato il famigerato periodo comunista.
In diversi periodi i papi protestarono. Già Pio XII (27 marzo 1952) denunziò davanti a tutto il mondo il trattamento riservato alla Chiesa cattolica in Romania e a quella di rito orientale in particolare. Il 19 aprile 1970 fu la volta di Paolo VI che prese le difese della Chiesa greco- cattolica. Vi ritornò il 18 marzo 1972 nell’Allocuzione alla delegazione del Patriarcato ortodosso. E ancora il 22 ottobre 1973.
Sul finire degli anni ’80, chiesi al metropolita della Transilvania, Antonio Plamadeala, arcivescovo di Sibiu, una personalità bizzarra, uomo di grande peso nell’ortodossia, profondo conoscitore del mondo cattolico, membro della commissione mista cattolico-ortodossa e della commissione incaricata di preparare il sinodo panortodosso, che cosa pensasse del decreto governativo che poneva fine all’esistenza della Chiesa greco-cattolica.
La sua risposta mi impressionò: «Con il 1948 noi riteniamo finito ciò che è avvenuto nel 1700. La casa asburgica disintegrò con l’appoggio della Santa Sede l’ortodossia romena. Nel 1948 s’è posto l’alt all’uniatismo in Romania, che ha causato molte e molte sofferenze al popolo, governato da stranieri, che lo avevano diviso, servendosi della religione. È stato un periodo storico disastroso. Il problema dell’uniatismo va considerato dal punto di vista dell’unità nazionale. Quello che è avvenuto nel 1948 è considerato da tutti i romeni come la restaurazione dell’ortodossia. Per noi la questione è finita. Tutte le parrocchie sono rientrate nell’ortodossia. Sono metropolita della Transilvania e conosco bene la situazione. Visitando i villaggi, vedo che tutti sono integrati nell’ortodossia. Ma un certo proselitismo persiste ancora a causa di alcuni preti uniati, che non esercitano il ministero. In maniera nascosta hanno una certa influenza. Lei sa bene che cosa è avvenuto il 6 gennaio 1982. Il papa ha consacrato vescovo Traian Crisan, romeno, di rito greco-cattolico. Abbiamo protestato. C’è qualcuno che agisce contro di noi in Vaticano».
Ci ha pensato la caduta del comunismo in Romania a voltare pagina, riconoscendo alla Chiesa greco-cattolica la legittimità della sua esistenza e l’efficacia della sua attività a vantaggio di tutto il popolo romeno.
Nulla ecumenismo e nulla dialogo, ma multa ignoranza (falsificazione?) storica e un antimagiarismo pronunciato. Degno a un foro cristiano di secolo XXI… (un ex-transilvanico)