Si conclude oggi, con la partenza dei vescovi partecipanti, la XV Conferenza di Lambeth – dopo che ieri era stata celebrata la liturgia conclusiva.
La scelta di far coincidere il termine ufficiale dei lavori della Conferenza col rientro dei vescovi nelle proprie province e diocesi non è casuale: inizia così infatti la terza fase della stessa Conferenza di Lambeth, quella che porta i contenuti dei documenti e le discussioni nella varie Chiese locali sparse nel mondo.
L’attenzione dei media, e la preoccupazione della Conferenza, si è concentrata sul testo sulla “Dignità umana” – in cui si toccavano (anche) temi di morale sessuale individuale e la dottrina della Comunione Anglicana sul matrimonio. Quasi come se l’unità della Chiesa in materia di prevenzione e gestione degli abusi, sull’ambiente e lo sviluppo sostenibile, sull’impegno ecumenico e la collaborazione interreligiosa, fossero elementi marginali – quasi scontati quando invece non lo sono affatto.
L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha infatti sottolineato il fatto che l’unità della Chiesa e della Comunione Anglicana è opera dell’agire di Dio all’interno di istituzioni composte da uomini e donne peccatori; e che la riconciliazione nella Chiesa non approda a un’omogeneità senza distinzioni e differenze, ma è l’agire di Dio che consente il reciproco riconoscimento di appartenenza alla medesima comunità di fede delle differenze che esistono all’interno di essa.
Mediazione e autorevolezza
Welby ha brillantemente superato la prova del tema potenzialmente divisivo dell’omosessualità e della dottrina del matrimonio: esercitando una leadership di autorevolezza non gerarchica (in fin dei conti quella che compete al suo ruolo nella Comunione Anglicana).
La sessione dedicata al testo sulla “Dignità umana” si è svolta a porte chiuse, permettendo così una libertà di parola franca e sincera ai vescovi; fino alla sua conclusione senza dichiarazioni verbali di assenso, ma caratterizzata da un lungo tempo di silenzio e preghiera comune.
Prima di essa, Welby aveva indirizzato ai partecipanti una breve lettera. Due i punti apicali a partire dal riconoscimento “delle grandi differenze nella Comunione a riguardo del matrimonio omosessuale e la sessualità umana”.
Il primo riguarda la risoluzione 1.10 della Conferenza di Lambeth del 1996 che riafferma la dottrina tradizionale sul matrimonio fra un uomo e una donna: riaffermandone la validità, come affermato anche dal documento sulla “Dignità umana” discusso nell’attuale Conferenza. Qui, ed è il secondo punto, si riconosce il fatto che “altre province hanno aperto al matrimonio fra persone dello stesso sesso, dopo un attento processo di riflessione teologica e un processo di ricezione”.
Dal parlamentarismo alla sinodalità
Partendo dalla consapevolezza che “anche questa situazione è parte della realtà della nostra Comunione”, Welby ha rivolto ai partecipanti un discorso di introduzione ai lavori sul documento sulla “Dignità umana” – in cui ha ripreso e approfondito i punti principali della sua lettera e invitato a un “parlare franco, ma nell’amore”.
Al termine, tutti i vescovi presenti si sono alzati in piedi e hanno applaudito – riconoscimento del ruolo di fatto di mediazione e di custodia dell’unità ecclesiale che Welby si è guadagnato sul terreno più difficile della vita della Comunione Anglicana. Nelle sue parole, entrambe le visioni sulla sessualità e sul matrimonio si sono riconosciute e si sono sentite riconosciute.
A Welby va ascritto anche il merito di aver dato forma squisitamente sinodale alla sessione sulla “Dignità umana”, creando uno spazio ecclesiale che ha reso possibile “il rimanere in relazione gli uni con gli altri con profonde differenze – che è un modo della diversità, e noi pensiamo che la diversità sia una buona cosa” (M. Curry, presidente della Chiesa episcopaliana degli Stati Uniti).
Da questo passaggio delicato per la Comunione Anglicana può imparare qualcosa anche la Chiesa cattolica nel suo processo sinodale globale – perché, alla fin fine, “non si è combattuto per eliminare l’altro, ma ci si è messi alle prese insieme facendo un passo avanti finché non troveremo una soluzione voluta da Dio” (T. Makgoba, arcivescovo anglicano di Città del Capo).
Dalla XV Conferenza di Lambeth esce un modo della presidenza ecclesiale che fa perno su un convenire più sinodale che parlamentare, dove dottrina e vissuti di fede possono iniziare a trovare un giusto equilibrio nell’edificazione dell’unità di una comunità cristiana che cerca di trovare il suo modo della sequela nel mondo contemporaneo di Dio.
Il papa: ministero paterno nella Chiesa occidentale
Un modo che guarda al ministero petrino di Francesco come qualcosa che riguarda la Comunione Anglicana stessa, in un intreccio ecumenico del ministero di presidenza di una Chiesa cristiana ancora divisa confessionalmente, ma in cerca di immagini e pratiche che la ricompongano senza sottomissioni o omologazioni delle storie confessionali che ogni Chiesa porta con sé: “le disposizioni alla separazione hanno messo profonde radici negli ultimi cinque secoli – ha detto Welby –, ma credo che oggi la maggior parte degli anglicani riconoscano papa Francesco come il padre della Chiesa nell’Occidente”.
Un ministero di paternità che ha trovato la via sinodale di praticare l’unità nella Comunione Anglicana, ossia di custodire la fraternità ecclesiale laddove i contesti, le culture, le storie, aprono a lettura differenti della Scrittura e della dottrina; e che, al tempo stesso, fa sponda al ministero petrino cattolico per un esercizio condiviso e fraterno del primato come presidenza paterna sulla molteplicità ecclesiale della fede cristiana.