Zbignevs Stankevics è arcivescovo di Riga (Lettonia) dal 2010. Proviene da una famiglia di origini polacche ed è nato a Lejasciems il 15 febbraio 1955. Ha un diploma in ingegneria conseguito all’Istituto politecnico di Riga. Per 12 anni ha lavorato in un centro navale e poi in banca. Nel 1990, prima della caduta dell’impero sovietico, è entrato nel seminario di Lublino (Polonia); ha fatto gli studi di filosofia e teologia all’università di Lublino. Nel 1996 viene ordinato prete per la diocesi di Riga, dove svolge alcuni uffici. Dal 2002 al 2008 completa gli studi all’Università del Laterano e ottiene il dottorato in teologia fondamentale. Diventa quindi padre spirituale del seminario maggiore di Riga e direttore dell’Istituto di studi religiosi.
Viene consacrato vescovo l’8 agosto 2010 nella cattedrale luterana di Riga perché la cattolica è troppo piccola. Qualche giorno dopo, viene insediato come arcivescovo metropolita nella basilica cattolica di San Giacomo. Parla correttamente diverse lingue. È considerato un duro, un coriaceo. Non lo spaventano le critiche che gli muovono politici e anche settori del clero. Risponde con acutezza e tira dritto per la sua strada. Al sinodo sulla famiglia si è espresso a favore dell’intransigenza.
Ecumenismo necessario
– Eccellenza, nei giorni scorsi si è tenuto a Riga l’incontro animato dalla comunità di Taizé. Migliaia e migliaia di giovani, provenienti per lo più dall’ex blocco sovietico, hanno invaso le strade e le piazze di Riga. Uno spettacolo! Che volto ha mostrato loro la Lettonia?
C’è un gruppo di giovani che è attivo nella Chiesa. Fa molte iniziative, lavora per il Vangelo. Ma non mancano le difficoltà, perché molti giovani sono andati all’estero a causa della situazione precaria del paese. Si pensi che il Paese, in 25 anni, è passato da 2.700.000 abitanti a meno di 2.000.000. In passato si recavano soprattutto in Irlanda, poi in Inghilterra, ma, dopo il Brexit, si rivolgono per lo più ai Paesi Scandinavi, soprattutto Norvegia. Nel 2008 siamo stati i primi ad entrare in crisi. Oggi si assiste a un certo cambiamento di rotta, c’è una certa ripresa, c’è una crescita economica anche se ancora debole. I nostri giovani hanno entusiasmo, hanno fede e tanti, un bel gruppo, sono andati a Taizé in questi 25 anni di democrazia. È iniziato un bel movimento ecumenico, di cui la nostra società ha veramente bisogno perché molto diversificata. Se i lettoni sono la maggioranza nel Paese, a Riga sono invece la minoranza. Da anni è al governo un partito composto in prevalenza da russi, che in tutto il Paese sono il 25,8%.
La situazione è un po’ complicata anche dal punto di vista religioso: gli ortodossi sono il 17%, i cattolici il 18%, i luterani il 33% e i non religiosi (atei, agnostici) il 30%. Poi ci sono i vecchi credenti, gruppi protestanti pentecostali, battisti. L’ecumenismo è, di conseguenza, molto importante per la società lettone. Una confessione da sola non può avere molta influenza sulla società. È necessario quindi unire le forze. Le porto un esempio: nella nostra Costituzione si afferma che la famiglia è composta da un uomo e una donna. Siamo riusciti insieme ad aggiungere una clausola che riafferma che i valori cristiani sono uno dei tre fondamenti della società. Il nostro inno nazionale inizia con: Dio benedici la Lettonia. Un anno fa, è stata approvata una legge che vieta la propaganda «immorale» nelle scuole. Si vuole, prima di tutto, non permettere la propaganda delle unioni omosessuali o dell’omosessualità come cosa normale.
Sfide culturali
– Lei intende fare riferimento alla questione del gender?
Sì. In questo campo tutte le confessioni religiose maggiori si sono impegnate a difesa della differenza maschio-femmina. Quando da noi c’è stato il Gay pride, l’Euro pride, la Conferenza episcopale cattolica ha scritto una lettera aperta e poi ha coinvolto le principali confessioni religiose della Lettonia, scrivendo insieme una nuova lettera, invitando i fedeli a non appoggiare questo tipo di iniziative, ma di ignorarle, di non prendervi parte, coinvolgendo espressamente i mass media. Insieme abbiamo ottenuto qualche risultato. Il nostro impegno è promuovere queste iniziative che impediscano al Paese di accettare quello che va contro la legge morale. È per questo che la Conferenza episcopale cattolica sta lavorando perché al più presto si eriga la facoltà di teologia cristiana. Prima della guerra c’erano due facoltà: la luterana e la cattolica, entrambe chiuse durante il periodo comunista. La luterana è stata riaperta subito dopo la caduta del comunismo, la cattolica è ancora alla ricerca di un suo progetto. Abbiamo bisogno di una facoltà legata alla Chiesa. Ho esposto il progetto al papa, che si è detto d’accordo e la Congregazione per l’educazione cattolica lo sta esaminando. I professori ci sono. Persone che hanno fatto studi in Italia, in Francia, negli Stati Uniti. Se le cose andranno bene, cercheremo di farla partire nel 2018, il 1° settembre, nel centesimo anniversario dell’indipendenza del Paese.
– Per la consistente fetta di agnostici e di atei avete in mente qualcosa di preciso?
Una cosa è necessaria: il dialogo. Ed è per questo che riteniamo necessario il ripristino della facoltà teologica, dove si formino insegnanti di religione, animatori pastorali parrocchiali e di movimenti. La Chiesa cattolica dopo la visita di Giovanni Paolo II e la recente visita del segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, ha visto aumentare la sua considerazione. Sempre più si sente dire: «I cattolici sì che sono attivi…».
Russia incombente
– Eccellenza, veniamo a un argomento che sempre più spesso viene alla ribalta. Avete paura della Russia?
Se ne parlava di più quando la Russia ha annesso la Crimea e invaso l’Ucraina. Mi pare che oggi se ne parli meno. Si sa che, in poche ore, la Russia potrebbe prendersi i Paesi Baltici, ma noi facciamo parte della NATO. Qui ci sono soldati della NATO. C’è un battaglione adesso guidato dai canadesi. In ogni Paese Baltico c’è un battaglione di soldati NATO. Posso dire che si è più tranquilli. È vero che Trump ha detto che ogni Paese della NATO deve tirare fuori più soldi, cosa che la Lettonia ha già pianificato (versare il 2% nel 2018). In Lituania c’è più paura; si moltiplicano i piani di autodifesa. Vedremo con Trump.
L’Occidente dalla Lettonia
– La sua tesi di dottorato: Dove va l’Occidente? La profezia di Bernhard Welte ha ottenuto la summa cum laude. Perché ha scelto questo tema?
Ho cercato con il relatore, il teologo Piero Coda, di investigare i processi nell’Occidente di questi ultimi secoli. Per analizzare la post-modernità, ho dovuto prima analizzare la modernità e ho studiato a fondo uno dei più importanti filosofi della religione e teologi fondamentali tedeschi del XX secolo, Bernhard Welte, la cui analisi fornisce gli strumenti necessari per tentare di rispondere al quesito di fondo: dove sta andando il mondo occidentale?
Io guardo l’Occidente dalla Lettonia. Noi siamo stati esclusi dai processi dell’Occidente per lungo tempo. Ci separava la cortina di ferro. Ma dobbiamo dire anche che, grazie alla cortina di ferro, la Chiesa è stata tagliata fuori da certi processi che si sono innescati a motivo di una lettura sbagliata del Vaticano II. Abbiamo assistito a fenomeni che hanno spogliato le chiese. In Belgio, Olanda, Germania si chiudono le chiese e si vendono gli oggetti sacri. Noi qui stiamo costruendo chiese, come nella periferia di Riga. Da noi c’è sete di Dio, anche se, a dire il vero, questa sete è venuta meno negli ultimi anni, perché la società del consumo la soffoca, si è chiusa alla trascendenza.
– Volete in qualche modo erigere un argine?
Un argine no, ma dire apertamente che noi vogliamo mantenere i nostri valori cristiani. L’ho riaffermato nella cattedrale luterana, ricordando il venticinquesimo anniversario della nostra indipendenza e così pure nella Giornata nazionale, il 18 novembre. Numerosi politici presenti hanno accolto positivamente il mio messaggio, i massmedia hanno avuto un sussulto, hanno mostrato la loro disapprovazione rispetto alla questione dell’aborto. Io non mi lascio abbattere: dobbiamo tornare alla visione dell’Europa dei fondatori. Dobbiamo tornare ai valori e non avere paura di dire le cose come stanno. Non vuol dire erigere un muro, ma difendere la propria identità contro la pressione ideologica che viene da Bruxelles, che in Lettonia distrugge i valori: l’ideologia del gender, i matrimoni omosessuali, la disgregazione della famiglia. Due settimane fa è stato in Lettonia un commissario dell’Unione Europea, un lettone. È arrivato a dirci: «Dovete legalizzare le unioni omosessuali, voi discriminate gli omosessuali…». Ho reagito con forza: «No a queste pressioni ideologiche!». Il nostro compito in questi Paesi dell’Est Europa, anche se siamo piccoli, è gridare ad alta voce che andiamo in una direzione sbagliata; che dobbiamo riappropriarci dei valori cristiani e non arrenderci alla società dei consumi, al relativismo morale, alla negazione di verità oggettive.