I temi dell’ormai consueto Convegno di spiritualità ortodossa, che da 25 anni si svolge a Bose a inizio settembre (quest’anno dal 6 al 9), sono sempre di grande interesse e attualità. Essi riflettono non soltanto un interesse accademico alla teologia e alla spiritualità della tradizione delle tante Chiese dell’Oriente cristiano, ma sono testimonianza di una vicinanza e di una comunione che va decisamente al di là dei motivi di studio.
L’ospitalità praticata
Il numero di partecipanti, prevalentemente ma non esclusivamente cristiani cattolici e di varie tradizioni ortodosse provenienti dall’Italia e dall’estero, depone a favore dell’interesse dello studio e della fraternità dell’incontro. A Bose, insomma, è facile sentirsi a casa.
Il tema che ha fatto da filo conduttore alle giornate di quest’anno è fortemente evocativo: “Il dono dell’ospitalità”. Particolarmente azzeccato, in realtà, poiché non fa che riassumere e confermare ciò che si respira nella comunità fondata da fratel Enzo Bianchi: l’ospitalità, eredità preziosa di tutte le Chiese, è vissuta in primo luogo proprio dai monasteri, in cui si inserisce anche la storia recente ma ricchissima di Bose.
Notevole è stata la varietà degli interventi in sala, a partire dalle riflessioni del patriarca ecumenico Bartolomeo I, del patriarca di Alessandria Theodoros II e dello stesso fratel Enzo, fino alle battute conclusive affidate a frère Alois di Taizé.
Le molte voci di studiosi autorevoli, uomini e donne provenienti da varie Chiese di Oriente e di Occidente, dalle regioni caucasiche e dai paesi slavi, dal Nord Africa e dal Nord America, hanno contribuito a sviscerare il tema dell’ospitalità con ricchezza di informazioni e di provocazioni.
A partire dall’incontro di Abramo con i tre uomini alle Querce di Mamre, di cui ci racconta il libro della Genesi al capitolo 18, esperienza di ospitalità offerta e ricevuta che resta fondante per ebrei, cristiani e musulmani, i relatori hanno offerto numerosi esempi di una ospitalità declinata lungo i secoli della cristianità: sante e santi di tutte le tradizioni cristiane hanno saputo incarnare il sacramento dell’ospitalità, diventando in questo modo icona di Cristo, appello ai credenti, cifra di verifica per l’autenticità della sequela del Vangelo.
L’ospitalità negata
Il convegno però non ha affrontato il tema soltanto dal punto di vista storico e spirituale. La ricerca si è spinta anche a riflettere su come le Chiese vogliono o possono ospitarsi e accogliersi a vicenda oggi, pur nella diversità delle tradizioni teologiche e liturgiche. Infatti, quella memoria vivente che sta al fondamento stesso dell’essere cristiani – la cena del Signore –, racchiude ancora in se stessa la contraddizione di essere “per tutti” nell’intenzione del Salvatore, ma “solo per noi” nella traduzione delle varie Chiese. La possibilità di raccogliersi attorno alla stessa mensa, di condividere non solo la Parola ma anche il pane e il vino dell’eucaristia, resta l’orizzonte verso cui camminare e allo stesso tempo la ferita che continua a sanguinare.
L’ospitalità possibile
Alcuni studiosi intervenuti al convegno e anche il dibattito che ne è seguito hanno posto l’attenzione sullo scandalo della divisione, ma anche sulle concrete possibilità di fare qualche passo avanti verso una comunione più concreta.
Una Chiesa che pensi se stessa come fondata sul battesimo, su quel sacramento che è visto da tutti come porta di ingresso nella comunità dei salvati, potrebbe aiutare la riflessione a superare l’impasse di un’eucaristia che continua a dividere, anziché a raccogliere; e, in tal modo, potrebbe aiutare i pastori e i fedeli a comprendere come ciascuno riceve ospitalità dal Risorto, che si fa cibo e bevanda per il cammino della vita e che, proprio per questo, diventa il motivo di un’ospitalità da offrire e da condividere.
È un cammino impegnativo, e la vivacità dei dibattiti lo ha testimoniato, ma non è un cammino impossibile: e soprattutto è un cammino da fare, urgente, determinante per il futuro delle Chiese e per la credibilità della nostra testimonianza cristiana.
I frutti dell’ospitalità
E così, le molte Chiese che presenti a Bose con inviati ufficiali, con messaggi di saluto, con relatori e partecipanti al convegno, hanno ottenuto almeno tre risultati:
– innanzitutto esse hanno contribuito a rendere ampio e variegato il respiro dell’appuntamento, dando testimonianza delle immense ricchezze di pensiero e di fede del patrimonio della cristianità;
– hanno poi vissuto un clima di ospitalità fraterna e autentica, che non può che lasciare il segno nel cammino verso la pienezza ecumenica dei credenti in Cristo;
– infine, cosa tutt’altro che secondaria, hanno condiviso le fatiche di molti popoli, provocate molto spesso da guerre e persecuzioni, e la speranza di un domani che porti con sé il profumo della risurrezione. Ospitare e lasciarsi ospitare è anche questo: fare spazio al cuore del fratello, alla sua storia, al suo oggi e al suo domani, nella consapevolezza di un’ospitalità continuamente condivisa. A immagine del Cristo, ospite e pellegrino in mezzo a noi.
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