Papa Francesco ha qualificato il viaggio a Lesbo come «un viaggio triste». Nella dichiarazione comune dei tre primati di Chiese c’è il perché: «L’Europa oggi si trova di fronte a una delle più serie crisi umanitarie dalla fine della seconda guerra mondiale». E hanno ringraziato ed espresso la loro solidarietà al popolo greco che, nonostante le difficoltà economiche, ha risposto con generosità a questa crisi.
Il viaggio del santo padre p. Lombardi l’aveva qualificato come umanitario ed ecumenico. Nel nostro caso penso che “umanitario” sia un altro modo di dire politico. In effetti, la politica era nell’aria, ed è giusto fosse cosi. Paolo VI aveva definito la politica come il supremo atto di carità. La dichiarazione comune, come anche il discorso del papa al popolo di Lesbo, sono richiami aperti, per non dire rimproveri, alla politica traccheggiante dell’Unione Europea nel prendere delle decisioni, della diplomazia debole, indecisa, rimandataria, e insieme indicazioni e sprone all’azione. Come può essere altrimenti interpretata l’azione simbolica del santo padre di prendere con sé i dodici rifugiati considerati come “intrappolati” in Grecia dopo le ultime decisioni prese dalla UE? Non ultime le allusioni a quelli che costruiscono barriere, che creano divisioni le quali, a loro volta, genereranno conflitti. Lo stesso testimoniano tanto la presenza del primo ministro Tsipras e i suoi interventi, quanto gli sforzi dell’apparato statale per la buona riuscita del viaggio del papa e dei due gerarchi ortodossi, in un momento nel quale il nostro paese è in cerca di alleati validi per affrontare il problema rifugiati e non solo. Per finire, indicative sono le speranze che questa visita ha suscitato. Appena gli ospiti sono partiti dallo hot-spot di Moria, i profughi hanno cominciato a chiedere ai giornalisti : «e adesso i quando apriranno le frontiere e così potremo partire?».
Ecumenico
Papa Francesco, il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos hanno dato maggior risalto all’azione azione sociale che scaturisce dal messaggio cristiano. Nella dichiarazione comune si dice: «Da parte nostra, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, decidiamo con fermezza e in modo accorato di intensificare i nostri sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani. Riaffermiamo con convinzione che “riconciliazione [per i cristiani] significa promuovere la giustizia sociale all’interno di un popolo e tra tutti i popoli […]. Vogliamo contribuire insieme affinché sia concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in Europa” (Charta Oecumenica, 2001)».
I leader religiosi hanno compiuto un pellegrinaggio nei due principali santuari ortodossi dell’isola: san Raffaaele ed Agathangelo. La prassi del pellegrinaggio non è caratteristica solo del cristianesimo. Nella banchina del porto, come si è visto in TV, si è fatto di tutto per non dare la minima impressione che fosse una preghiera in comune. Non portavano niente che potesse far pensare alla preghiera, nemmeno il modo di porgere i testi di preghiera, ognuno per conto suo. Tutto questo, perché, si sa, secondo i santi canoni non è permesso pregare con gli eretici. E per gli ultra-ortodossi, che non sono pochi in Grecia e non solo, è casus belli. Io ho assistito in TV all’evento, farcito di tanti commenti al limite dell’offensivo da parte degli ambienti ultraconservatori ortodossi. Per tutti riporto un piccolo estratto della lettera scritta dall’Associazione degli studenti del “San Porfirio”, della Facoltà teologica dell’Università di Salonicco: «Con le lacrime che grondano dai nostri occhi chiediamo che la visita dell’eretico papa di Roma nella nostra Grecia, sovrabbondantemente benedetta da Dio, venga annullata, perché altrimenti ci saranno conseguenze disastrose». È pensare che la gioventù è il futuro…
Qualcosa di nuovo e significativo
Eppure qualche cosa di nuovo e significativo in questo incontro c’è stato. I rappresentanti delle confessioni cristiane hanno agito in solido di fronte al mondo esterno, per esempio. Hanno posto in essere un gesto altamente umanitario, semplice nella sua concezione e nell’esecuzione.
Tanti anni di dialogo della carità e di dialoghi teologici, quale segno concreto hanno lasciato? L’atteggiamento di sospetto non è stato superato. Solo qualche amicizia personale? Due comunità ecclesiali che si professano cattoliche, quindi per definizione multiculturali, non possono capirsi l’un l’altra e convivere? È mai possibile non comprendere che, per venirsi incontro e capirsi, è essenziale rivedere il proprio codice interpretativo, anziché confermarlo come l’unico vero e volerlo imporre? Se voglio capire – e questo significa amare – devo cercare di trovare nel modo di vivere e di interpretare la realtà dell’altro, quegli elementi che corrispondono al mio modo di intendere. Perché è poco ma sicuro: anche se condividiamo lo stesso credo, esistono diversi modi di viverlo. Certo ci vogliono una convinzione sicura e una forte identità, per non cadere nella tentazione di pretendere l’uniformità. Perché per poter capire l’altro, il diverso da me, in qualche modo, devo assumere la sua identità, senza tradire la mia. Devo aggiornare, e se necessario rivedere, i miei codici di comprensione. S. Paolo dice «mi sono fatto tutto a tutti». Cosi si creano lungimiranza, pazienza, spazio di convivenza, comune valutazione delle cose. Altrimenti si creano paura e steccati per difendersi, isolamento e autoglorificazione.
Forse è tempo di lasciare le vecchie immagini dell’unità e considerare la possibilità di viverla come buon vicinato, dove ogni famiglia-Chiesa cerca di non pestare i piedi ai vicini e tutti operano affinché tutti siano rivelazione della gloria di Dio.
Per esempio, molti dei rifugiati e dei migranti, ora intrappolati nel nostro paese, non sono nemmeno cristiani. Tutti loro per salvarsi si sono rivolti all’Europa cristiana e non ai loro correligionari, a Sud e ad Est. Si sono rivolti a un’Europa che lentamente sta perdendo le sue caratteristiche cristiane, e chi promuove tale logica se ne vanta. Questi poveri e perseguitati vogliono non solo fuggire la guerra ma anche ricercare un nuovo stile di vita, semplicemente più umano, e l’hanno trovato nel nostro modo di vita le cui radici affondano in profondità nel cristianesimo.
Ecco il nuovo ecumenismo. Non solo tra le Chiese cristiane, ma con tutti quelli che vogliono condividere con noi le stesse speranze, con tutte le differenze di stile, alla ricerca del bene comune. Rispettandoli ci rispetteranno.
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