All’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, SettimanaNews raccoglie la seguente intervista a Samuele Bignotti, giovane presbitero, delegato della diocesi di Mantova per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, in cui presenta, in particolare, la costituzione del Consiglio della Chiese, una nuova realtà ecumenica che si sta manifestando anche in altre diocesi italiane.
- Don Samuele, come è nata l’Idea di costituire un Consiglio delle Chiese?
L’idea è nata nel dicembre 2020, in un momento ancora intenso della pandemia e quindi caratterizzato da forti limitazioni nelle relazioni. Di lì a poco le Chiese di Mantova avrebbero comunque celebrato la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: non con assemblee in presenza, bensì stringendo più frequenti relazioni personali – per lo più online – tra i rappresentanti delle stesse.
Per preparare l’evento sono state lette e studiate insieme altre esperienze già in atto e altre tuttora nascenti. In Lombardia, a Milano, il Consiglio delle Chiese esiste già da molti anni. Ma a Trento si è costituito, ad esempio, solo da pochi mesi. In altre città e diocesi ci si sta provando. Noi siamo entrati direttamente in contatto con la testimonianza del Consiglio delle Chiese di Firenze, costituitosi circa un anno fa.
- Quali sollecitazioni sono state raccolte?
La forma del Consiglio delle Chiese è auspicata da più fonti. Si sentiva e si sente il bisogno di un luogo di incontro ‘alla pari’ che possa garantire una certa continuità all’agire ecumenico. Benché non ci siano precise indicazioni da parte della Conferenza episcopale, questa forma è senz’altro ben vista e auspicata dai vescovi italiani.
Ai delegati diocesani dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso – ad esempio nell’ultimo convegno nazionale organizzato dall’ufficio della C.E.I. – è stato caldamente suggerito di intrattenere rapporti costanti e duraturi con gli esponenti delle Chiese presenti nelle diocesi. L’intento è di assicurare continuità di impegno al di là delle figure dei delegati che spesso cambiano senza avere avuto ancora tempo e modo di curare la crescita di una rete più larga di collaboratori e quindi di relazioni stabili tra le Chiese presenti nel territorio.
Tra le Chiese del mantovano ci siamo perciò – presto – trovati d’accordo sul fatto che fosse e che sia ormai il momento di dare davvero continuità e stabilità e alle nostre relazioni, con un’ampia partecipazione dei laici, nella forma appunto di un Consiglio dotato di uno statuto scritto.
Il nostro è stato sottoscritto nel novembre scorso: è uno statuto pensato per il divenire e per la crescita dell’organismo e – parimenti – per sviluppo della realtà dell’ecumenismo di fatto a livello locale.
- Quali Chiese hanno costituito il Consiglio di Mantova?
La nostra è una piccola diocesi. Non abbiamo grandi numeri. Ma abbiamo significative presenze storiche, così come significative presenze determinate dai più recenti fenomeni migratori. Chiaramente è spettato e spetta alla Chiesa cattolica prendere l’iniziativa, per evidenti ragioni.
Ma anche la Chiesa valdese – storicamente presente, dalla seconda metà dell’800, a Mantova – ha dato un bell’impulso alla costituzione. I legami di amicizia consolidati da anni tra laici – cattolici e valdesi – hanno facilitato il percorso. Le altre due Chiese aderenti sono ortodosse: quella ortodossa romena, che ha una propria diocesi in Italia e che conta parecchi fedeli a Mantova; e quella ortodossa dipendente dal patriarcato di Mosca, di più recente formazione.
Le Chiese ortodosse hanno aderito senza esitazioni attraverso i loro ‘organi’ superiori: questi si rapportano più facilmente infatti con la gerarchia e col clero cattolico.
Sono dunque quattro le Chiese aderenti e fondanti il nostro primo Consiglio. La Chiesa pentecostale e altri movimenti – per lo più cattolici o compositi, quali il Segretariato Attività Ecumeniche – sono comunque presenti nel nostro Consiglio in veste di ‘osservatori’.
- Le Chiese ortodosse che hai citato sono il portato dell’immigrazione di cristiani dall’Europa dell’est. Come si è entrati in relazione?
C’è voluto un po’ di tempo. La pandemia, per certi versi, ha accelerato i processi. Fedeli – cristiani ortodossi – provenienti dall’est europeo, non potendosi più facilmente spostare da una città all’altra per le celebrazioni, si sono rivolti frequentemente alla Chiesa cattolica – anche a me – per avere indicazioni ed aiuto per poter continuare a vivere le loro liturgie.
Chiaramente ci siamo rapportati con le rispettive autorità incaricate per il territorio italiano. Il desiderio e la disponibilità di andare incontro alle esigenze di fede e di culto, oltre che di fraternità, hanno appianato le strade, anche con la generosità di concessione, da parte cattolica, dell’uso di alcune nostre chiese.
- La Chiesa cattolica locale ha facilitato pure i rapporti tra riformati e ortodossi?
Certamente c’è stato bisogno di una mediazione iniziale. Come ho detto, gli ortodossi riconoscono più facilmente la gerarchia e il clero della Chiesa cattolica. I pastori non ottengono lo stesso riconoscimento, almeno immediatamente.
Questo è comprensibile: abbiamo secoli di differenze alle spalle. Ma posso testimoniare che si tratta di partire e di creare le circostanze in cui relazionarsi in fraternità e conoscersi meglio, poi tutto diventa più facile. Il luogo creato nel Consiglio facilita processi ecumenici belli che chiederanno comunque un certo tempo per potersi esprimere al meglio.
- Lo statuto precisamente cosa dice?
In estrema sintesi, ritrae la realtà ecumenica della città e della provincia e individua tre rappresentanti per ognuna delle quattro Chiese già aderenti: i tre possono essere preti, pastori o laici, donne e uomini.
Lo statuto prevede un Consiglio di presidenza che nominerà presto un Presidente: ancora, naturalmente, non sappiamo chi sarà. Voglio soffermarmi un poco più estesamente sulle finalità. Queste comprendono la finalità di fondo che è quella dell’annuncio concorde del Vangelo, la promozione quindi di una spiritualità della unità nella differenza, il sostegno di attività ecumeniche comuni, lo studio, la formazione, l’informazione per una corretta conoscenza tra i fedeli delle Chiese e presso l’opinione pubblica locale, così come non manca nell’elenco la finalità di ricerca di risposte alle domande pastorali – e non solo pastorali – del nostro tempo, assieme alla molto importante finalità di impegno concreto nella diaconia della carità.
Le prossime iniziative – collocate nella Settimana della preghiera per l’unità – in coerenza con quanto abbiamo scritto, saranno almeno tre: di preghiera, di studio e di carità.
- Ritieni che queste esperienze siano di esempio e di stimolo per il Sinodo della Chiesa italiana?
Il Consiglio della Chiese è già, di per sé, una esperienza di natura sinodale ‘alla pari’, tra preti, pastori, laici, donne e uomini. Aver formato un Consiglio di questa natura dice della aspirazione alla comunione nella diversità. Mi sembra un buon paradigma pure per una visione interna alla nostra Chiesa cattolica.
La comunione nella diversità – diversità che evidentemente c’è anche all’interno – si realizza soltanto attorno al cuore del Vangelo della vita, prima che ai livelli dogmatici molto più astratti per i comuni fedeli. Perciò i propositi che abbiamo elencato nello statuto sono essenziali e sono, appunto, ‘concreti’.
- Tu sei anche musicista: il canto e la musica sono tra queste attività concrete?
Ne abbiamo parlato: abbiamo detto che sarebbe bello arrivare ad allestire un ‘coro ecumenico’, fatto da membri delle varie Chiese. Ma prima di tutto dobbiamo conoscere e far conoscere reciprocamente le nostre tradizioni canore-musicali e saperle apprezzare sino in fondo nelle loro valenze educative e spirituali.
La tradizione di ogni Chiesa ha molto da offrire alle altre. L’esperienza personale mi dice che il canto e la musica hanno la facoltà di ‘avvolgere’ il fedele nella liturgia e nella preghiera. Se nella Chiesa cattolica abbiamo rivolto anche il canto al servizio educativo della Parola, nelle Chiese riformate, nel proprio modo, e nelle Chiese ortodosse, in un altro proprio modo, il canto ha conservato maggiormente la carica eminentemente evocativa. Penso che la Chiesa cattolica abbia di che arricchirsi del canto e della musica delle Chiese sorelle.