I monasteri della Chiesa ortodossa russa sono attualmente 947, di cui 458 maschili e 489 femminili. Nel 2006 erano 713.
570 degli attuali monasteri si trovano sul territorio della Federazione russa: 277 maschili e 293 femminili. 36 sono i monasteri stavropegici, cioè che dipendono direttamente dal patriarca e non dal vescovo locale (17 maschili, 19 femminili).
I numeri sono emersi nel corso dell’assemblea degli abati e delle abadesse che ha radunato a Mosca 500 di loro, provenienti da 135 diocesi, e a cui si è rivolto il patriarca Cirillo con un lungo discorso il 23 settembre.
La vita monastica in Russia è uno dei pilastri della storia di quella Chiesa, ma la sua esplosione numerica (solo negli stavropegici vi sono 2.073 monaci e monache, mentre i numeri complessivi parlano di 5.883 monaci e 9.687 monache) è avvenuta dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la piena legittimazione della vita della Chiesa. Sono diffusi sia nelle città sia nei territori periferici.
L’attuale è la terza assemblea. Gli incontri precedenti si sono svolti nel 2014 e nel 2016.
Rispetto al tempo della persecuzione e dei secoli precedenti la dirigenza episcopale ha limitato l’autonomia dei cenobi nei confronti del vescovo locale e ha introdotto una serie di indicazioni generali per disciplinare il tumultuoso sviluppo che talora ha portato i neofiti «a “prodezze” irragionevoli che danneggiano i monasteri, sia all’interno che all’esterno».
Supporto e normalizzazione
Dal 2010 in poi sono stati pubblicati una decina di documenti che regolano la vita dei monasteri.
Il primo e fondamentale riferimento è il Regolamento sui monasteri e sui monaci, giunto a maturazione nel 2017.
L’esigenza di un quadro condiviso di comportamento era già emersa nel concilio di Mosca nel 1918, ma la rivoluzione bolscevica e la persecuzione impedirono ogni sviluppo. È venuto alla luce un secolo dopo e contiene gli indirizzi generali con i riferimenti storici e patristici fino alle determinazioni canoniche. Si definiscono la gestione del monastero, il ruolo della guida spirituale e le obbedienze monastiche.
Si offrono indirizzi anche sulle regole interne, il ritmo della vita, l’orario dei servizi liturgici e le caratteristiche dell’obbedienza monastica. Lasciando gli spazi necessari perché ciascun monastero specifichi le proprie norme.
Documenti successivi hanno sviluppato i materiali di fondo per facilitare agli abati e alle abadesse la stesura degli statuti monastici, le indicazioni necessarie per la formazione dei giovani postulanti sia spiritualmente sia sul versante della formazione teologica.
Un altro testo è dedicato al compito monastico della guida spirituale e alla regola personale dei monaci. Ne La guida spirituale dei monaci così si definisce il padre spirituale: «La guida spirituale è un servizio speciale affidato a una persona spiritualmente provata e consistente in un aiuto multiforme al discepolo nel suo cammino verso Cristo». Nella tradizione russa il padre spirituale è l’abate che è anche il confessore, diversamente da quanto accade nella Chiesa d’Occidente che tiene separata la figura del superiore da quella del confessore, il foro esterno dal foro interno. La questione degli abusi di potere e di coscienza sembra non avere ancora alcun rilievo nel monachesimo russo.
Altri testi riguardano gli aspetti pratici dell’ammissione al monastero e sul rapporto con il mondo esterno.
Norme più restrittive rispetto al passato sono quelle che regolano l’attività pastorale dei monaci nelle comunità dei fedeli. Sarà possibile solo con un mandato diretto dell’abate e per un tempo preciso.
Ai servizi dei monaci nei conventi femminili è dedicato un altro testo. In esso si stabilisce che la responsabile della guida spirituale è l’abadessa, mentre il confessore, che non può abitare nel monastero, va scelto fra quanti hanno una lunga esperienza di vita spirituale.
È in elaborazione un documento sull’uso di internet e delle reti telematiche. Il computer non sarà nelle celle ma in un luogo comune e il suo uso verrà regolato dall’abate.
Le virtù monastiche
L’ampio intervento del patriarca Cirillo ha spaziato dai temi di fondo della vita monastica ad alcune indicazioni relative ai mezzi di informazione. Citando alcuni classici del monachesimo come Silvano del monte Athos, Simeone il nuovo teologo, Serafino di Sarov, ha illustrato la singolarità della vocazione («Ogni volta che vediamo una persona scegliere la via monastica assistiamo a un miracolo di Dio»), l’ascesi («Vorrei mettere in guardia tutti noi dal precipitare nel trambusto mondano»), la preghiera («Oggi più che mai il mondo ha bisogno della preghiera»), alcune virtù come l’umiltà, la pazienza, la vigilanza, la compassione, la mansuetudine, l’obbedienza.
Ha insistito sul grande guadagno delle nuove generazioni: quello di poter attingere senza difficoltà ai testi classici del monachesimo e alle sillogi dei Padri. «Solo pochi decenni fa, nella nostra patria, la sacra Scrittura e i libri dei santi padri erano banditi. Con grande difficoltà si poteva trovare una ristampa di testi editi prima della rivoluzione… Oggi questo tesoro è aperto per noi e tutti hanno l’opportunità di leggere e imparare la scienza della vita monastica».
I pericoli del mondo virtuale
«Ai nostri giorni c’è una tentazione pericolosa che può spegnere il fuoco spirituale più forte. Vorrei spendere due parole su di essa. Si tratta dei numerosi flussi informativi che si rovesciano su ciascuno da tutte le parti. Oggi viene chiesto ai monaci un particolare tipo di ascesi che significa l’astenersi dall’eccessiva informazione, dalle frequenti visite nello spazio mediatico, dal pervasivo suo coinvolgimento nella vita».
Si entra in questo mondo con la semplice pressione del dito, ma non abbiamo ancora consapevolezza di quanto lo spazio virtuale modifichi la vita. «Quando un monaco visita lo spazio di internet, anche se lo fa per obbedienza, deve essere consapevole di trovarsi tra le onde del mare della vita in un mondo furioso che giace nel male» con il pericolo di diventare prigioniero di passioni grossolane come la vanità, la presunzione, la menzogna. Spesso gli utenti non hanno la consapevolezza di essere “controllati” passo per passo e si illudono di restare invisibili.
La guerra assente e la preghiera stonata
L’assemblea è un’occasione di grande rilievo e certo di consolazione per la Chiesa ortodossa russa.
Resta tuttavia un interrogativo. Nelle comunicazioni pubbliche dell’evento non vi è alcun cenno alla guerra in atto con l’Ucraina. Come se il mondo monastico potesse astrarre da ciò che caratterizzerà per decenni la storia del paese e non fosse chiamato a formulare un giudizio spirituale su quello che sta succedendo. Come se la sua dimensione profetica non fosse chiamata a interloquire e a criticare l’orientamento corrivo dell’episcopato e dello stesso patriarca.
Alcune centinaia di preti diocesani hanno avuto, nei primi giorni di guerra, il coraggio di denunciare la pazzia dell’operazione “speciale” in Ucraina. Nessuna voce dal mondo monastico. Vi è un solo passaggio nel saluto finale del patriarca alla «lotta che la Chiesa sta conducendo con le forze del male» e «ai tempi difficili che ci sono capitati».
Non sorprende certo il riferimento alla preghiera continua o preghiera dal cuore davanti all’assemblea degli abati e delle abadesse. Sorprende la preghiera del patriarca Cirillo del 25 settembre: «Signore, Dio della forza, Dio della nostra salvezza… abbi pietà di noi: ecco davanti a noi coloro che vogliono combattere contro la santa Russia, che sperano di dividere e distruggere il tuo popolo. Sorgi, o Dio, per aiutare il tuo popolo e darci la vittoria con la tua potenza… Conferma i soldati e tutti i difensori della nostra patria nei tuoi comandamenti, manda su di loro la forza dello Spirito, salvali dalla morte, dalle ferite, dalla prigionia!… Concedi il perdono dei peccati a tutti coloro che sono stati uccisi in questi giorni e che sono morti per ferite o malattie… Tu sei intercessione, vittoria e salvezza per coloro che confidano in te».
Nella stessa occasione il patriarca ha affermato la salvezza eterna per i combattenti: «La Chiesa è consapevole che, se qualcuno, spinto dal senso del dovere, dalla necessità di adempiere un giuramento, rimane fedele alla sua chiamata e muore nell’esercizio del dovere militare, allora compie senza dubbio un atto che equivale a un sacrificio. Si sacrifica per gli altri. Crediamo che questo sacrificio cancelli i peccati che una persona ha commesso».
Con amara ironia un commentatore, Peter Anderson, si chiede: «Il patriarca Cirillo affermerebbe che anche ai soldati ucraini che muoiono in guerra vengono perdonati tutti i peccati?».
Povera chiesa russa nelle mani di Kirill!
lo ha eletto il Concilio dei Vescovi, non Putin
hanno scelto il migliore fra loro /s