Il 20 gennaio 2021 il parlamento del Montenegro ha votato per la seconda volta le modifiche alla legge sulla libertà religiosa in conformità ai desideri della Chiesa ortodossa serba, adempiendo le promesse elettorali della nuova coalizione di governo, uscita vincente dalle elezioni del 30 agosto 2020.
Dopo la prima votazione (2 gennaio) il presidente, Milo Dukanović (leader della vecchia maggioranza e presidente del paese fino al 2023), si era rifiutato di firmare per questioni procedurali (il voto on-line di due deputati e l’improvvisa sostituzione di un terzo). Ora dovrà farlo.
La legge era stata voluta dal governo e dalla maggioranza precedente, egemonizzata dal partito democratico dei socialisti di Milo Dukanović, con l’intento di penalizzare la Chiesa ortodossa (450.000 fedeli su 630.000 abitanti). Approvata il 26 dicembre 2019, prevedeva un controllo dei titoli di proprietà di 650 siti religiosi, fra cui una sessantina di monasteri e tutte le chiese principali del paese.
La risposta fu durissima. Per mesi, prima e dopo la decisione, processioni, dimostrazioni, preghiere pubbliche, dibattiti, scontri fisici (compresi i preti, le carcerazioni temporanee di vescovi e un interrogatorio di polizia per il metropolita Anfiloco durato 6 ore) alimentarono lo scontro civile e tutta la campagna elettorale.
La nuova maggioranza, composta da un partito filo-serbo (presieduto da Zdravko Krivokapić), un gruppo liberale e pro-europeo (“La pace è la nostra nazione”) e un gruppo progressista (“Nero su bianco”), voleva modificarla togliendo tutte le note penalizzanti la Chiesa ortodossa entro dicembre 2020. L’approvazione è arrivata qualche giorno dopo per il protrarsi della formazione del governo.
Presieduto da Zdravko Krivokapić, in carica dal 4 dicembre 2020 e composto da 12 “tecnici”, è attraversato da tendenze contraddittorie: da un lato, un orientamento filo-serbo e filo-russo, con l’intento di uscire dalla Nato, dove il paese è stato associato nel 2017, con la volontà di non riconoscere il Kosovo e togliere le sanzioni alla Russia; dall’altro, con la volontà di entrare nell’Unione Europea (la domanda è stata depositata nel 2008), di non uscire dalla Nato, di integrarsi all’Occidente, di mantenere un profilo di laicità verso le Chiese.
Durante il recente dibattito parlamentare, migliaia di dimostranti hanno manifestato davanti al parlamento contro la modifica della legge, sottolineando l’identità nazionale, la centralità del gruppo etnico montenegrino (45% della popolazione) e a favore del legame con l’Occidente.
La Chiesa ortodossa è stata a sua volta attraversata da un tensione fra chi voleva la cancellazione totale della legge e chi accettava la sua modifica.
Le altre comunità religiose del paese, la comunità islamica (118.000), cattolica (21.000) ed ebraica hanno protestato per l’impossibilità di contribuire alla stesura del nuovo dispositivo per mancanza di tempo (tre giorni). La piccola e non riconosciuta Chiesa ortodossa montenegrina ha denunciato di non essere stata neppure consultata.
La prevalenza della sensibilità serba ha irritato le altre componenti etniche e il consenso raccolto in funzione anti-Dukanović potrebbe diventare un peso per la Chiesa ortodossa. Anche perché vi è stata una scarsa attenzione al tema della pandemia.
Il locum tenens della Chiesa serba, mons. Crisostomo, che gestisce il sinodo in attesa dell’elezione del nuovo patriarca (18 febbraio) dopo la morte di Ireneo, ha ammesso che in merito «ci sono stati errori. Devo ammettere che abbiamo sottovalutato il coronavirus e non ci siamo resi conto di cosa significa. È un virus aggressivo che ha ucciso il nostro patriarca Ireneo, il metropolita Anfiloco del Montenegro, il vescovo Milutin, dozzine di sacerdoti, monaci e suore.
Quello che è successo potrebbe essere il risultato del nostro mancato rispetto delle misure stabilite dai servizi epidemiologici». Tutte le manifestazioni in Montenegro non hanno rispettato le disposizioni sanitarie.
L’esposizione politica della Chiesa montenegrina filo-serba ha rafforzato il suo riferimento nella società, ma potrebbe avere dei costi. Come del resto ha ammesso lo stesso patriarca di Mosca, Cirillo: «Abbiamo la possibilità di influire sul nostro popolo, non solamente su quelli che partecipano alle celebrazioni domenicali e alle feste liturgiche, ma su tutti coloro che guardano la nostra televisione, ascoltano la nostra radio e avvertono con altri mezzi la parola di Dio annunciata dalla Chiesa».
Ma ammette che si deve attendere una reazione. «Quello che ci aspetta non è una vita facile e confortevole… Abbiamo davanti anni difficili per il nostro ministero e questo deve essere compreso da tutti, anche dai vescovi».