In Montenegro la legge sui “titoli di proprietà” dei beni ecclesiastici ha provocato uno scontro tra il presidente Dukanović e il metropolita Anfiloco.
In Montenegro, la massiccia opposizione della Chiesa ortodossa alla legge sulle fedi, approvata nella notte fra il 25-26 dicembre dopo un accesissimo confronto in Parlamento, sta diventando la prima vera sconfitta del padre-padrone dello stato, Milo Dukanović (cf. SettimanaNews: Ortodossi in trincea), al potere dagli anni ’90.
La disposizione di esibire i titoli di proprietà dei 650 siti religiosi (monasteri, chiese, cappelle, cattedrale) anteriori al 1918, quando tutto il territorio montenegrino fu ripreso dalla dinastia dei Karadjordjevic nel regno dei serbi, croati e sloveni, ha prodotto la saldatura di tutti i malcontenti sociali, l’unità di tutti i patriarchi dell’Ortodossia e il sostegno esplicito alla Chiesa locale del governo della Serbia e della Russia.
Due volte alla settimana migliaia di manifestanti scendono nelle strade delle città maggiori per manifestare in silenzio e senza bandiere di partito. Secondo informazioni ecclesiali, domenica 9 febbraio 200.000 persone avrebbero partecipato alle manifestazioni: un abitante su 3, visto che nel paese vivono 600.000 persone. Anche se le valutazioni della polizia riducono il numero a 66.000, rimane l’impressionante misura della protesta.
Dopo l’accordo con il Vaticano per la minoranza cattolica (22.000) e con l’islam locale (118.000), la legge intendeva regolare proprietà e attività della Chiesa maggioritaria legata all’ortodossia serba. Il sospetto nelle file ortodosse verteva sulla volontà del potere politico, il partito democratico di Milo Dukanović, di penalizzare la Chiesa filo-serba per gonfiare una piccola Chiesa ortodossa locale avviata nel 1993 e candidata all’autocefalia.
La legge e il malcontento
Esce grandemente rafforzata la figura del metropolita Anfiloco, 83 anni. Arrivato in Montenegro nel 1990 quando la Chiesa locale poteva contare su una ventina di preti, ha dato un grande impulso alle attività ecclesiali. Oggi i preti sono 600, e fra questi un numero consistente di pope sono serbi. Mentre la società si dibatteva fra disoccupazione, ineguaglianze e fughe all’estero, la Chiesa ortodossa ha alimentato infrastrutture utili a tutti: dalle mense popolari ai doposcuola, alle attività sportive.
Anfiloco, discepolo del teologo dell’identità serba Justin Popović e già professore all’istituto San Sergio di Parigi, mostra una notevole capacità politica. Espressamente filo-serbo, fino a chiedere alle milizie di Arkan, capo sanguinario delle “tigri” serbe, la difesa del suo monastero nella capitale (Cetinje) durante le guerre etniche, si è mostrato possibilista e discreto nel referendum sull’indipendenza del Montenegro nel 2006, ed è considerato oggi il “Djedo”, il patriarca del paese.
Nel primo incontro fra lui e il primo ministro Duško Marković, a metà febbraio, ha rinnovato la richiesta di riesaminare in modo completo la legge e non solo le sue disposizioni applicative. La durezza dello scontro è visibile in un’intervista che pochi giorni prima Milo Dukanović ha rilasciato ad una agenzia internazionale in cui accusa la Chiesa ortodossa serba di alimentare il nazionalismo della «Grande Serbia» contro il Montenegro, di manipolare l’informazione (le chiese, a suo dire, rimarrebbero a disposizione dei fedeli ortodossi) e di impedire la formazione di una Chiesa autocefala locale.
In un sondaggio realizzato all’inizio di febbraio, il 60% dei montenegrini si è dichiarato contrario alla legge (20% a favore e 18% si astiene). Le prossime elezioni, previste in autunno, si annunciano le più difficili per Milo Dukanović.
Una forte censura verso il potere locale è venuta non solo dal patriarca Ireneo di Belgrado, ma anche da Cirillo di Mosca e da Bartolomeo di Costantinopoli.