Il 19 ottobre nella chiesa Acheiropoietos di Salonicco durante la concelebrazione liturgica il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, e il primate della Chiesa greca, Ieronymos, hanno menzionato nei dittici (la lista dei nomi dei patriarchi e dei primati con cui si è in comunione) anche il primate della Chiesa ortodossa autocefala d’Ucraina, Epifanio di Kiev.
È l’atto formale, assieme a una lettera di riconoscimento, con cui si dà corso alla decisione dell’assemblea straordinaria dell’episcopato greco del 12 ottobre. Partecipavano al rito i vescovi Antimo (Tessalonica), Apostolo (Mileto), Massimo (Ianina), Stefano (Filippi), Simeone (Filotide), Dimityrio (Terme), Niceforo (Amorium e igumeno di Vlatades).
Al termine del rito, Bartolomeo ha ringraziato Ieronymos e la gerarchia greca per la decisione presa e si è augurato che al più presto Epifanio – in quel giorno negli USA per ricevere il premio intitolato ad Atenagora – possa visitare la Grecia ed esservi accolto «a braccia aperte».
Bartolomeo: il nemico
L’altissima tensione con il patriarcato di Mosca si è manifestata con un’ampia dichiarazione del Sinodo russo pubblicata il 17 ottobre. Si contesta all’assemblea dei gerarchi greci la colpevole noncuranza rispetto alla Chiesa ucraina di obbedienza moscovita e la totale disattenzione rispetto alla lettera a loro indirizzata da Cirillo di Mosca (9 ottobre), che chiedeva di soprassedere alla decisione prima che «lo Spirito Santo raccolga i primati di tutte le sante Chiese di Dio, donando loro la saggezza di trovare in nome di tutta la Chiesa santa, cattolica e apostolica, una soluzione convenevole per tutti e che permetta di superare l’attuale crisi».
Si ricorda il dissenso manifestato nell’assemblea da parte del metropolita Serafino di Citera e si contestano le motivazioni portate da Ieronymos per l’approvazione dell’autocefalia. I russi ricordano che la Chiesa ucraina è nella giurisdizione moscovita da più di 300 anni e che, nei lavori preparatori del sinodo di Creta, si era giunti a condividere il percorso di riconoscimento dell’autocefalia: consenso della Chiesa locale e della Chiesa madre, verifica da parte di Costantinopoli del consenso delle altre Chiese, remissione del tomo dell’autocefalia.
Tutto si è incagliato sull’ordine delle firme sul tomo e sul loro significato. Il Fanar chiedeva il primo posto e la sua decisività (se non ci fosse stato, l’autocefalia diventava non valida). Mosca non ha accettato, rifiutando un’accezione canonica piuttosto che storico-civile del primus inter pares. Il testo non è stato portato al concilio di Creta (2016) e quindi non approvato (assise a cui Mosca non ha voluto partecipare).
Il testo russo ricorda puntigliosamente le voci critiche risuonate nell’assemblea greca: da quelle di Serafino di Karystia a Germano di Ilias, Daniele di Cesarea, Nicola di Mesogaia, Serafino del Pireo, fino ai dissensi per lettera di Andrea di Drynopolis, Cosma di Attalia, Simeone di Smirne e Nectario di Kerkyria. Nella dichiarazione si nota anche che non ci sarebbe stato un voto scritto.
«Se lo scisma ucraino è effettivamente riconosciuto dalla Chiesa ortodossa greca o dal suo primate – attraverso la concelebrazione, la commemorazione liturgica o l’invio di una lettera ufficiale – sarà a testimonianza dell’aggravamento della divisione nella famiglia delle Chiese ortodosse. Ne porteranno la responsabilità anzitutto il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli e le forze politiche internazionali nell’interesse delle quali è stato legalizzato lo scisma ucraino». I poteri internazionali evocati sono quelli degli Stati Uniti, mentre non vi è cenno del condizionamento del potere russo sulla Chiesa di Mosca.
Si addebita la decisione della gerarchia greca alle «pressioni senza precedenti» esercitate nei confronti dei vescovi da Bartolomeo. È triste che i meriti storici del popolo greco nel diffondere l’Ortodossia vengano sprecati in cambio di vantaggi politici immediati e a sostegno di interessi geopolitici estranei alla Chiesa». Tutto questo «non minerà l’unità della nostra fede, duramente pagata dal sangue dei nuovi martiri e confessori delle nostre Chiese».
Non verrà interrotta l’unità della tradizione ascetica né l’amicizia secolare tra il popolo greco e i popoli slavi. Conseguentemente non verrà meno la comunione eucaristica con quei gerarchi che si rifiuteranno di riconoscere la nuova Chiesa autocefala d’Ucraina. mentre si interromperà «con i gerarchi della Chiesa greca che sono entrati o entreranno in comunione con i rappresentanti dei gruppi scismatici non canonici ucraini. E non daremo più la nostra benedizione ai pellegrinaggi nelle diocesi dirette da questi gerarchi. Questa informazione sarà largamente diffusa nelle agenzie di pellegrinaggio e di turismo dei paesi appartenenti al territorio canonico della nostra Chiesa».
Scomunica ai sinodali
La scomunica da parte della Chiesa russa è calibrata sui singoli vescovi e sulle singole Chiesa e viene comminata solo al compiersi di tutti i gesti formali necessari (ricordo nei dittici della celebrazione, concelebrazione, lettera di conferma). Un procedimento che può essere letto come prudente rispetto alla scomunica per tutte le Chiese greche o piuttosto come l’ennesimo tentativo di dividere le Chiese elleniche.
Sarebbero 11 i vescovi greci dissidenti su 80. Oltre alle voci critiche già espresse in una lettera di protesta che ha raccolto fra i laici e i monaci oltre 2.000 firme, si registra l’irata reazione dell’arciprete Nicola Savvopoulos, ex rappresentante della Chiesa greca all’Unione Europea, che parla dell’assemblea episcopale come di «un colpo di stato ai danni dell’arcivescovo da parte di un piccolo gruppo di gerarchi». L’attesa moscovita di una divisione nella Chiesa greca diventa esplicita nelle parole del vice-presidente del dipartimento delle relazioni ecclesiastiche della Chiesa ucraina filo-russa, Nicola Danilevitch: «I media annunciano che numerosi vescovi della Chiesa greca hanno preso coscienza dell’irregolarità di quanto è successo e non è escluso che molto presto possiamo essere testimoni di eventi nuovi in seno alla Chiesa greca che attraversa una crisi interna sulla questione».
Va ricordato che non vi è reciprocità, cioè nessuna Chiesa greca e neppure il patriarcato di Costantinopoli ha interrotto la comunione o ha cancellato dai dittici il nome di Cirillo di Mosca.
Lo smarrimento delle Chiese ortodosse, soprattutto della diaspora, è espresso, ad esempio, dal metropolita dello Zimbabwe, Serafino, che annota: «Il risultato dell’assenza di dialogo fra le Chiese ortodosse sorelle per esaminare la questione della giurisdizione ecclesiastica canonica in Ucraina è che, adesso, i russi inviano il loro clero in tutte le regioni della giurisdizione del nostro patriarcato ecumenico, e persino in Turchia e a Costantinopoli. Questo significa che ogni Chiesa ortodossa locale che si allineerà col patriarcato ecumenico a proposito dell’autocefalia ucraina vedrà arrivare sul proprio territorio canonico il clero russo. Saremo tutti sottosopra e non sappiamo dove possiamo arrivare, in una stagione difficile in cui bisognerebbe che l’Ortodossia fosse unita e rafforzata».
E invoca una commissione mista per avviare i contatti fra i due maggiori patriarcati. Così conclude: «è la minaccia del più grave scisma conosciuto dalla Chiesa ortodossa nel suo cammino storico».