Il 20 aprile 2018 il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico ha annunciato l’avvio del processo del conferimento dell’autocefalia alla Chiesa Ucraina. Da quel momento siamo testimoni di una crescente tensione fra la Chiesa di Mosca e il Patriarcato Ecumenico.
La Chiesa ortodossa in Ucraina ha una sua lunga storia, così come il movimento autocefalista ha le sue radici storiche, ma, più che entrare nei particolari di questa storia, vorremmo fare alcune riflessioni teologiche sulla relazione attuale fra il Patriarcato Ecumenico e la Chiesa di Mosca.
La posizione della Chiesa Russa
Il 18 settembre 2018 il Santo Sinodo della Chiesa Russa ha deciso di sospendere la commemorazione del patriarca ecumenico durante la Divina Liturgia. Nella Chiesa ortodossa la commemorazione reciproca dei capi delle Chiese autocefale ha un significato di koinonia, dell’intercomunione, e si presenta come l’espressione dell’unità nella fede e nei sacramenti. Inoltre, la Chiesa Russa con il Tomos del 1589 dell’istituzione del Patriarcato a Mosca, emesso dal patriarca ecumenico, è obbligata a commemorare il patriarca ecumenico e a riconoscerlo come il primo fra tutti gli altri patriarchi.
Oltre alla sospensione della commemorazione, il Sinodo della Chiesa Russa ha accusato il Patriarcato Ecumenico di contaminazione dell’ecclesiologia ortodossa, dicendo che il Primus inter pares non avrebbe diritto di concedere l’autocefalia alla Chiesa Ucraina, perché soltanto la Chiesa Madre di ogni nuova Chiesa ha un tale diritto e al Patriarca di Costantinopoli spetterebbe soltanto il riconoscimento post factum di un tale atto.
Interessante è che la Chiesa Russa, per rafforzare queste sue posizioni, ha citato il progetto del documento sull’autocefalia del Santo e Grande Concilio Panortodosso, cui la stessa Chiesa Russa si rifiutòdi partecipare nel 2016 e ove il progetto del documento citato non solo non è stato discusso, ma neppure accettato.
Da quella data alcuni rappresentanti della Chiesa Russa hanno cominciato ad usare verso il Patriarcato Ecumenico un linguaggio aspro, usando espressioni come «scisma» e «eresia». Forse questi termini, usati dal prof. Aleksey Osipov del Patriarcato di Mosca e docente dell’Accademia teologica di Mosca, non avrebbero attirato nessuna attenzione, se non fossero stati usati nelle diverse interviste e dichiarazioni anche dal metropolita Hilarion Alfeyev, seconda persona dopo il patriarca nella struttura ecclesiale della Chiesa Russa e presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca.
Il metropolita Hilarion accusa il patriarca Bartolomeo dell’eresia del papismo, e questa espressione è diventata così presente nel suo lessico che ha provocato diverse reazioni, fra le quali anche quella del dr. George Demacopoulos, un teologo di origine greca che, in una lettera speciale indirizzatagli il 19 settembre di 2018, ricorda al metropolita Hilarion che l’espressione da lui usata è stata coniata da piccoli gruppi scismatici di «vecchio-calendaristi» che non volevano obbedire al magistero della Chiesa ortodossa, ed è imbarazzante sentirla ripetere da un rappresentante tanto importante del magistero e che ha fama di teologo di alto livello.
Purtroppo la controversia non si ferma qui.
La «famiglia delle Chiese ortodosse»
Il 15 agosto 2018, durante la sessione del Santo Sinodo tenuto a Minsk, la Chiesa Russa ha deciso definitivamente di interrompere la comunione con la Chiesa di Costantinopoli.
Arrivando a Minsk, per presiedere il Santo Sinodo, Sua Santità Cirillo, Patriarca di Mosca, ha detto ai giornalisti che «il Santo Sinodo [russo] si raduna per parlare dei problemi accumulati nella famiglia delle Chiese ortodosse».
Ora, ci pare che questa espressione – «la famiglia delle Chiese ortodosse» – sia molto importante, poiché è la cristallizzazione della visione ecclesiologica degli attuali ufficiali della Chiesa Russa. In questa espressione c’è il rischio di vedere la visione della Chiesa universale simile ad un’organizzazione internazionale, dove una funzione di maggiore importanza verrebbe esercitata dal membro più potente e influente.
È certo che questo modello di organizzazione internazionale più o meno funziona, ed è relativamente comune per tutte le organizzazioni cosiddette «secolari», ma la Chiesa non è un’organizzazione «secolare» e le regole delle comunità secolari non possono determinarne la struttura. Questo significa che l’unità della Chiesa ortodossa non dipende dalle simpatie reciproche di 15 capi delle Chiese locali e dai buoni rapporti diplomatici fra di loro.
La Chiesa ortodossa rispetta le realtà politiche e storiche, in qualche modo interagisce con queste realtà, ma nello stesso tempo non si sottomette alle forme politiche nel suo insegnamento. Essa, da una parte, si presenta come intimamente collegata con gli stati e con le nazioni tradizionalmente ortodosse, ma, dall’altra, si rivela come una presenza «anarchica» e «anacronica» rispetto alla realtà geopolitica, perché nella sua struttura rimane sempre fedele ai principi dei sette Concili ecumenici e della Tradizione viva, che assegnano alla Sede di Costantinopoli il «primato», la cui concezione si trova tutt’ora in evoluzione, in attesa del comune e libero riconoscimento del primato romano, che è stato messo in ombra nel cammino storico delle Chiese ortodosse e il cui esercizio è ancora vivacemente discusso anche all’interno della Chiesa cattolica.
Tutto ciò significa che, nella Chiesa, sia il numero dei fedeli, sia l’influenza socio-politico-economica hanno certamente una loro importanza, però, quando si tratta della struttura stessa della Chiesa, questi fattori non possono determinare la sua organizzazione.
La Chiesa ortodossa non è un consorzio di Chiese locali, non è un gruppo, e nemmeno una famiglia di Chiese, ma fra le principali notae di essa vi sono l’unicità e la cattolicità, espresse nel Simbolo niceno-costantinopolitano, che si proclama durante ogni Divina Liturgia nelle comunità ortodosse. Il Credo, confessando le qualità della Chiesa, non si esprime sui diversi livelli della sua concreta organizzazione, ma trasmette le principali caratteristiche della natura della Chiesa. Il fatto che l’unità della Chiesa è indissolubile, è stato riaffermato anche nei documenti del Concilio Panortodosso di Creta, particolarmente nella Relazione della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano.
Se la Chiesa è «una» e «cattolica»
Per essere più chiari, va precisato che l’espressione «famiglia delle Chiese ortodosse» comporterebbe in sé una prevalenza dell’organizzazione della Chiesa a livello regionale rispetto all’unità e alla cattolicità, quali caratteristiche principali della natura della Chiesa. In altre parole, se, nell’ecclesiologia classica, la Chiesa una e cattolica a livello organizzativo si esprime nella Chiesa locale, nella Chiesa regionale e nella Chiesa universale, l’espressione ambigua di «famiglia delle Chiese ortodosse» farebbe correre il rischio di vedere la Chiesa pienamente espressa solo a livello regionale e darebbe l’impressione che l’unità della Chiesa a livello universale si realizzi con il benevolo e libero consenso fra le Chiese regionali.
Ogni Ecclesia radunata intorno al vescovo, quale immagine di Cristo, è la presenza della Chiesa, quale Corpo di Cristo, come in ogni particella del Pane eucaristico è pienamente presente Cristo, e non qualche parte del suo corpo storico, ma, nello stesso tempo, rimane ben fermo che questa particella fa parte di un unico Pane, così anche la presenza piena di Cristo in ogni Ecclesia non esclude che questa faccia parte dell’una e cattolica realtà ecclesiale, anzi la include, perché tutto ciò che si basa sulla koinonia, sulla comunione, non può essere autosufficiente e autoreferenziale.
Il Documento di Ravenna
Ora, va notato che questa visione ecclesiale della regionalità non è stata elaborata recentemente in riferimento al problema ucraino, ma ha una sua storia, il cui sviluppo ha una tappa epocale nella reazione del Sinodo russo al famoso Documento di Ravenna, congiunto fra gli ortodossi e i cattolici.
In questo documento del 13 ottobre 2007, il cui titolo ufficiale è Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa – Comunione ecclesiale, Conciliarità e autorità, che è frutto del lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica romana, si cercava di trovare i punti comuni fra ecclesiologia ortodossa e cattolica, affermando da ambedue le parti che la Chiesa si organizza a tre livelli: locale, regionale e universale, rispettivamente con i tre livelli dell’esercizio del primato.
Mentre a Ravenna si discuteva questo documento, i rappresentanti della Chiesa Russa, per protestare contro la Chiesa ortodossa d’Estonia (con cui avevano vertenze sulle questioni della giurisdizione territoriale), hanno abbandonato la seduta della Commissione mista. Ma, poco dopo, si è rivelato anche il motivo teologico di questa assenza russa. Il 4 ottobre 2007 il Santo Sinodo russo ha nominato una commissione teologica per lo studio del Documento di Ravenna. Il 25 dicembre dello stesso anno, mentre a Costantinopoli si celebrava il Natale, il Santo Sinodo russo approvava e pubblicava il documento La posizione del Patriarcato di Mosca circa la primazia nella Chiesa, preparato da questa commissione.
Nel documento si metteva in dubbio l’autorità della primazia universale nella Chiesa, dando un’importanza maggiore alla primazia regionale, cioè ai patriarcati. Inoltre, il documento andava in cerca della fonte della primazia a tre livelli, e inaspettatamente ne trovava diversi per ognuno: la successione apostolica per il livello locale, l’elezione sinodale per il livello regionale e il posto nei dittici (l’ordine dei patriarchi commemorati durante la Liturgia) per il livello universale.
In risposta a questo documento, il metropolita greco, Elpidoforos Lambrianiadis, il 14 febbraio di 2014 pubblicò un articolo Primus sine paribus, nel quale, esaminando il documento moscovita, cercava di spiegare alcuni principi dell’ecclesiologia ortodossa.
Nel suo articolo, il metropolita Elpidoforos enfatizzava che il modello della vita della Chiesa è la Santissima Triade, dove s’individua un rapporto di uno e molti, così come nella Chiesa sempre c’è rapporto dialettico fra la sinodalità e la primazialità e questo rapporto deve essere esercitato anche a livello universale, perché la primazia della Sede di Costantinopoli non è causa dei dittici, di un ordine dei patriarchi, ma ha il suo fondamento sull’ecclesiologia trinitaria, come lo aveva Roma per l’Oriente, prima del grande scisma del 1054.
Ora non entriamo nei dettagli né del Documento di Ravenna, né del Documento del Sinodo russo, né della risposta di Lambrianiadis, poiché questi si trovano in internet nelle diverse lingue e chiunque può consultare direttamente i testi, ma qui è interessante il dinamismo della controversia: da una parte, abbiamo un modello regionale dell’organizzazione della Chiesa e, dall’altra, un tentativo dell’ecclesiologia teologica che cerca di recuperare l’importanza del primato universale nella Chiesa ortodossa.
Leggendo gli avvenimenti di questi ultimi anni, si capisce bene che la frattura fra la Chiesa di Costantinopoli e la Chiesa di Mosca non è cominciata con la vicenda dell’Ucraina, ma la questione di questa autocefalia così discussa e attuale, da una parte, è una conseguenza logica del rifiuto della primazia universale nella Chiesa ortodossa e, dall’altra, è il catalizzatore di un processo già avviato. Non va dimenticato che, ancora prima della crisi ucraina, il problema delle due correnti ecclesiologiche è stato enfatizzato durante il Santo e Grande Concilio di Creta, al quale il Patriarcato di Mosca non ha partecipato.
Nonostante tutto ciò, non è detto che questa storia avrà una fine tragica. Questo processo, di cui è catalizzatore la nuova Chiesa autocefala d’Ucraina, può trasformarsi in un inizio della rielaborazione di certe credenze e certe visioni dal basso, dal popolo. Perché il popolo di Dio spesso non consente le divisioni del Magistero. E forse dalla questione ucraina comincerà un vero recupero della reciproca dialettica della sinodalità e del primato, perché, una volta che le ferite sono evidenti, si può cominciare pure la loro cura.
Padre Leonide Ebralidze (georgiano ortodosso) è attualmente dottorando presso il Pontificio Istituto Orientale e studente del Pontificio Seminario Lombardo.