Il 12 ottobre, i vescovi della Chiesa ortodossa greca hanno riconosciuto la nuova Chiesa ortodossa autocefala di Ucraina.
La decisione è avvenuta in un’assemblea straordinaria dell’episcopato convocata all’indomani della sessione sinodale. Attesa da qualche mese (il riconoscimento dell’autocefalia ucraina da parte del Patriarcato di Costaninopoli è del 6 gennaio 2019), la decisione è stata favorita dal particolare legame della Chiesa greca con il Fanar e dalla raccomandazione dell’arcivescovo Ieronymos che ha introdotto la discussione presentando ai vescovi l’esito di due comitati di studio (sul piano canonico e sulle relazioni intra-ortodosse e con le confessioni cristiane) convergenti verso una risoluzione positiva.
Questa la conclusione dei rapporti: «Dichiariamo rispettosamente che non ci sono impedimenti al riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa d’Ucraina, in pieno accordo e armonia della Chiesa greca con il patriarca ecumenico». Ieronymos ha concluso proponendo all’assemblea «il riconoscimento da parte della nostra Chiesa dell’autocefalia della Chiesa ortodossa della Repubblica indipendente dell’Ucraina».
I vescovi sono d’accordo
Gli interventi dei gerarchi sono stati 35 e numerose sono state le critiche alle pressioni della Chiesa russa per impedire o rallentare la decisione. Il consenso finale ha visto una netta maggioranza a favore. Solo 7 le voci contrarie. La rapidità della decisione e il modesto numero degli oppositori ha confermato il profondo legame con la sede di Costantinopoli che ha una diretta giurisdizione su alcuni territori greci (Creta, le isole del Dodecaneso e il Monte Athos).
Il consenso della Chiesa greca all’autocefalia ucraina è il primo delle 14 Chiese autocefale dell’ortodossia e rappresenta per il Fanar un importante appoggio (Settimananews: “Ortodossia: riflusso anti-Fanar”), necessario in vista del riconoscimento di altre Chiese.
Già il 28 di agosto il sinodo permanente della Chiesa greca aveva «riconosciuto il diritto del patriarca ecumenico di concedere l’autocefalia», ma aggiungeva anche «il diritto del primate della Chiesa di Grecia di gestire ulteriormente la questione del riconoscimento della Chiesa d’Ucraina». Si parlò allora di «un riconoscimento de facto e de iure», immaginando un’eventuale e successiva assemblea episcopale come l’occasione per «dare alla decisione del sinodo permanente un carattere più solenne» (cf. Settimananews: «Ortodossia: primo riconoscimento dell’autocefalia ucraina»).
Numerose erano state le voci che chiedevano di soprassedere. Una petizione con 2.000 firme, fra cui 100 fra preti, monache e monaci, era arrivata al sinodo per chiedere di non riconoscere l’autocefalia ucraina. Diversi vescovi avevano espresso da tempo perplessità sull’operato di Bartolomeo. Pochi giorni prima dell’assemblea dei gerarchi, il vescovo Symeon ha messo in guardia dalla fretta di arrivare ad una conclusione visto l’esito contradditorio dell’autocefalia, la discussa personalità dei suoi protagonisti e il pericolo di uno scisma intra-ortodosso di difficile recupero. Anche il metropolita Nectario di Corfù aveva acceso l’attenzione sulle possibili conseguenze politiche (l’irritazione della Russia) della risoluzione.
La decisione, che diventerà formalmente pubblica il 19 ottobre a Salonicco, apre comunque scenari non facili. C’è da attendersi una reazione dura da parte del Patriarcato di Mosca che vede incrinarsi la neutralità delle Chiese, mentre non si amplia la sua decisione di rompere la comunione con Costantinopoli. Il giorno prima della riunione, mons Hilarion, presidente del dipartimento degli affari esteri del Patriarcato, ha riaffermato la posizione di Mosca e si è appellato a quei vescovi greci «che sono bene informati sulla situazione reale dell’Ucraina».
Alla domanda esplicita su cosa farebbe la Chiesa russa se il riconoscimento greco fosse passato, ha risposto: «E come si comporterebbe la Chiesa greca se la Chiesa russa riconoscesse uno degli scismi vetero-calendaristi? (alludendo a una spina nel fianco delle diocesi greche da parte di gruppi che non accettano la riforma dell’anno liturgico approvata un secolo fa). Penso che la risposta sia evidente. Dal momento che Costantinopoli ha concesso il tomo dell’autocefalia agli scismatici ucraini, non ci restava altra scelta se non quella di rompere la comunione eucaristica.
Numerosi vescovi greci non l’hanno compreso e considerano la nostra reazione troppo rigida, priva di spazio per il dialogo. Noi invece siamo aperti al dialogo e speriamo nel dialogo». Ha riproposto l’idea di una riunione panortodossa e di una moratoria delle decisioni in merito.
Mosca risponderà
La Chiesa russa ha peraltro incamerato un grande successo con il rientro nell’obbedienza a Mosca di tutte le Chiese della diaspora. Dopo quelle di Oltrefrontiera (operanti nell’America del Nord) si è concluso il ritorno della Chiesa di tradizione russa nell’Europa Occidentale.
Il sinodo patriarcale di Mosca, il 7 ottobre, ha approvato il passaggio d’eparchia nella comunione russa con un argomentato protocollo che concede ampia autonomia alle comunità interessate sia per l’amministrazione che per la gestione pastorale e liturgica. Rimangono in vigore gli statuti attuali che potranno essere modificati con la conferma da parte di Mosca.
Sono interessanti le determinazioni in ordine ai nuovi vescovi, uno dei temi di contenzioso negli ultime decenni con Costantinopoli. Il Consiglio dell’arcidiocesi, d’intesa col vescovo, prepara la lista dei candidati. Essa viene sottoposta al patriarca di Mosca che può modificarla, ma non in via definitiva, perché il Consiglio può inviare una seconda lista. Con il consenso di Mosca si può procedere alle elezioni da parte dell’assemblea generale, all’ordinazione da parte del vescovo e alla confermazione da parte di Mosca.
Il prossimo concilio russo modificherà i suoi statuti per poter recepire quelli della nuova eparchia e così procederà anche l’arcidiocesi per integrare la sua disciplina interna con la Chiesa madre, in uno spirito di collaborazione con le altre presenze russe in Occidente, direttamente dipendenti dal Patriarcato.
Domanda inespressa del primato?
La decisione dei vescovi greci a favore dell’Ucraina potrebbe allargare una tensione da tempo presente: quella fra ceppo slavo e ceppo ellenico. Più che di carattere dogmatico o canonico, il conflitto si svolge sull’onda delle diversità culturali e sociali e sul peso della pretesa egemonica manifestata da Mosca, in ragione dei numeri dei fedeli (150 milioni su 250 dell’intera ortodossia). Se il riconoscimento si allargasse ad altre Chiese ortodosse che finora sono rimaste silenziose, il pericolo di uno scisma diventerebbe palmare. Difficile pensare a un sinodo pan-ortodosso su un tema così divisivo, visto che Mosca si è rifiutata di partecipare a quello di Creta (2016), preparato da decenni, anche con il suo apporto.
Emerge anche il peso della politica. Così si è espresso il vescovo Symeon: «L’Ucraina costituisce un territorio sul quale si scontrano le aspirazioni geopolitiche dell’Oriente e dell’Occidente. Ci si può chiedere: gli Stati Uniti puntavano alla concessione del tomo autocefalo se per questo, dopo la decisione, si sono espressi a più riprese manifestando la loro soddisfazione? L’opposizione della Chiesa russa ha solo un interesse ecclesiastico o esprime il tentativo di Mosca di mantenere la sua influenza sulla Repubblica di Ucraina, come è successo fino a poco tempo fa?». Cirillo sta a Putin come Epifanio (il nuovo primate d’Ucraina) sta a Porochenko (l’ex presidente della Repubblica) e come, a titolo peraltro diverso, Bartolomeo sta all’amministrazione americana? L’impianto delle relazioni fra Chiesa e stato nella tradizione e nella pratica ortodossa è all’altezza delle nuove sfide?
Vi è un consenso trasversale in tutte le polemiche intra-ortodosse: la denuncia del “papismo”, di un esercizio dell’autorità che assomigli a quello esercitato dal papa di Roma sulle altre Chiese cattoliche. Lo denunciano i russi verso Costantinopoli, le indicano gli oppositori alla nuova Chiesa d’Ucraina, le reclamano tutti i vescovi che si trovano in minoranza nei propri sinodi nazionali. Ma, poiché Roma è stata assolutamente neutrale e tutte le anime dell’ortodossia hanno un contatto felice con papa Francesco e le istanze cattoliche, l’insistenza della denuncia sembra coprire una richiesta difficilmente da esprimere che va in senso contrario. Mentre nella Chiesa cattolica si allargano gli spazi della sinodalità, nelle Chiese ortodosse se ne esperimentano le difficoltà.
Di certo il prevedibile moltiplicarsi delle fratture nel conteso ortodossa è un pessimo segnale per tutti. A partire dall’imperativo dell’evangelizzazione nel contesto europeo.