La bomba dell’autocefalia ucraina continua a produrre i suoi effetti nella duplice area di influenza, russa ed ellenica. Sia in ordine alla ristrutturazione delle giurisdizioni, sia alle trasmigrazioni delle parrocchie dall’una all’altra obbedienza. Il caso più evidente è l’esarcato della Chiesa di tradizione russa in Occidente.
Le giurisdizioni territoriali fuori dei tradizionali territori canonici si vanno moltiplicando, perché si aggiungono a quelle di carattere nazionale in cui convergono gli emigrati delle varie nazionali ortodosse all’estero.
Da parte russa, che raccoglie circa 1.000 parrocchie fuori dei confini, si è deciso di istituire due nuovi esarcati (diocesi), una per l’Europa occidentale e una per l’Asia del Sud, fondando nuove parrocchie anche là dove fino a quel momento si convogliavano i fedeli nelle comunità elleniche. Una parrocchia russa è nata, per esempio, anche a Istanbul.
Da parte di Costantinopoli, oltre alla soppressione dell’esarcato di tradizione russa in Occidente, si è provveduto alla riorganizzazione di tre diocesi a livello mondiale: Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia.
Per gli USA, si attende la sostituzione dell’arcivescovo Dimitri, più volte sollecitato alle dimissioni e coinvolto in numerose polemiche finanziarie. Legate anche alla costruzione della chiesa dedicata a San Nicola a “Ground zero” a New York. È la più ricca e popolata delle eparchie del Patriarcato nel mondo.
Per la Gran Bretagna si prevede la sostituzione del vescovo Gregorio, ormai novantenne. Qualche mese fa Bartolomeo ha visitato in incognito le comunità britanniche registrando numerose irregolarità. Si prevede di dividere la diocesi in due entità ecclesiastiche con due vescovi.
In Australia si vuole sostituire il vescovo Stiliano a causa della sua precaria salute. Anche qui creando due diocesi, una per il Nord e una per il Sud del continente.
L’arcidiocesi di tradizione russa
Il caso più clamoroso riguarda l’eparchia (diocesi) di tradizione russa operante in Occidente e largamente presente soprattutto in Francia. È una comunità nata dai fuoriusciti russi dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917, mantenendo la liturgia russa e sviluppando in maniera originale le disposizioni del concilio russo del 1917-1918, che in patria è stato congelato e rimosso fino agli anni recenti.
Di particolare prestigio l’Istituto teologico San Sergio a Parigi, vera fucina del pensiero ortodosso russo e del suo confronto con la teologia e la cultura occidentale. Nata come semplice entità ecclesiastica legata a Mosca, poi riconosciuta da Costantinopoli, fino al titolo di esarcato autonomo nel 1999, la diocesi è stata soppressa il 29 novembre 2018 dal sinodo patriarcale del Trono di Costantinopoli. Creando un grave disagio nelle 120 parrocchie, 11 chiese, 2 monasteri e 7 eremi distribuiti in vari paesi europei.
Rifacendosi ai propri statuti, ispirati al concilio di Mosca del 1917, la diocesi ha demandato la risposta al suo organo decisionale superiore, cioè all’assemblea generale che prevede la presenza del vescovo, del suo consiglio, dei preti e dei rappresentanti delle comunità.
Il 23 febbraio 2019 l’assemblea, d’intesa col suo vescovo Giovanni, ha deciso di non accettare la decisione di Costantinopoli, tornando alla condizione originaria (provvisoria) di semplice entità in comunione con le altre Chiese ortodosse. Con 191 voti su 206 l’assemblea ha approvato di consegnare la risposta a Costantinopoli, riservandosi una scelta giurisdizionale più precisa per una prossima assemblea, probabilmente a giugno.
Le garanzie proposte
Sia Costantinopoli che Mosca sono più volte intervenute per sollecitare un’adesione alla reciproca obbedienza istituzionale.
In una lettera del 7 febbraio 2019, il vescovo Emmanuele, legato a Costantinopoli, ha sollecitato l’accettazione della decisione del patriarca Bartolomeo e l’integrazione nella sua diocesi, assicurando:
– «il mantenimento dell’associazione esistente (la struttura giuridico-statuale dell’eparchia, ndr), che continuerà a gestire i beni ad essa appartenenti e a funzionare secondo i propri statuti, che sarà necessario adattare;
– la commemorazione liturgica da parte di sua eccellenza il vescovo Giovanni del patriarca ecumenico Bartolomeo;
– la garanzia, da sempre sostenuta da parte del patriarca, del mantenimento della vostra tradizione liturgica e spirituale russa come della vostra opera di testimonianza ortodossa nelle società occidentali».
In una lunga intervista concessa a J. Panev (Orthodoxie.com), ha ricordato la garanzia di stabilità e di riconoscibilità offerta dal patriarcato ellenico, ammonendo contro i «vagabondaggi giurisdizionali» che si sono sempre rivelati improduttivi e dolorosi.
A nome di Cirillo di Mosca, Antonio, arcivescovo di Vienna e Budapest, ha scritto una lettera all’assemblea (datata 12 dicembre, ma letta durante l’assemblea) in cui sollecita un ritorno all’obbedienza russa:
* «L’arcidiocesi delle parrocchie di tradizione russa in Europa occidentale si lega al patriarcato di Mosca mantenendo l’integrità storica di parrocchie, monasteri e altre istituzioni ecclesiastiche che la compongono e con tutti i membri del clero che desiderano rimanere sotto l’obbedienza di vostra Eminenza;
* sarà conservata l’eredità storica dell’eparchia, le sue tradizioni (comprese quelle liturgiche), le particolarità del funzionamento diocesano e parrocchiale, così come sono proposti negli statuti della diocesi;
* l’elezione dei gerarchi dell’eparchia si farà in accordo con tali statuti, dopo la previa approvazione del patriarca della lista dei candidati (con la possibilità di proposte complementari) e, successivamente, la conferma canonica dell’elezione da parte del santo sinodo della Chiesa ortodossa russa;
* tutti i gerarchi dell’arcidiocesi saranno membri di diritto dei concili locali e dei concili dei gerarchi della Chiesa ortodossa russa;
* i delegati eletti dall’arcidiocesi saranno membri dei concili locali;
* le decisioni del santo sinodo avranno validità per l’arcidiocesi nei limiti dei suoi statuti».
L’esito della votazione costituisce una parziale sconfitta per Bartolomeo, una non-vittoria per Mosca e permette di continuare un dialogo non privo di asprezze. Due chiese e parrocchie italiane sono già transitate all’obbedienza moscovita (Firenze e Sanremo). Il consiglio episcopale è in precedenza intervenuto (11 febbraio) per bloccare ogni fuga in avanti, ogni sollecitazione indebita alle comunità per l’una o l’altra appartenenza.
L’Istituto San Sergio
La bufera ha investito anche l’Istituto San Sergio (La Croix, 21 febbraio) in lenta ripresa da una grave crisi che, nel 2015, aveva visto la sospensione delle attività. Fondato nel 1925, è stato il luogo più creativo della teologia ortodossa del ’900. Basti ricordare alcuni dei suoi professori: da Bulgakov a Evdokimov, da Florovsky a Lossky, da Schmemann a Behr-Sigel, fino a Clément.
Fortemente ancorato all’obbedienza costantinopolitana, nell’eparchia è stato un laboratorio dell’unità pan-ortodossa, con studenti provenienti da tutte le Chiese ortodosse e da altre confessioni.
Il venir meno dei grandi maestri, nonostante l’ottimo livello dei professori, ha incrociato la crisi delle vocazioni ecclesiastiche in Occidente e una serie di malversazioni economiche e istituzionali. Quando, nel 2015, Jean-François Colosimo assume la presidenza, si trova costretto a sospendere le attività per un contenzioso non solubile con i responsabili dell’eparchia.
L’istituto viene coinvolto attraverso un contratto d’affitto contestabile in spese di milioni per la ristrutturazione. Fino al trasloco dell’istituto nel 2017. Ma l’eparchia richiede comunque 400.000 euro, aprendo una vertenza giudiziaria che porta alla decisione di chiudere l’associazione che gestisce l’istituto aprendone una seconda, senza più i vincoli precedenti.
Nel frattempo, calano le iscrizioni e, sia russi sia ellenici, tengono sulla corda i gestori. La grave crisi legata all’autocefalia ucraina investe i fragili equilibri dell’istituzione. Colosimo si dimette nel gennaio 2019, dopo aver riaffermato l’indipendenza dell’istituzione nel conflitto in atto.
L’esito finale dipenderà in buona parte dalla decisione dell’assemblea generale del prossimo giugno. Anche se il successore di Colosimo, Michel Stavrou, ha detto che i destini fra istituto ed eparchia non sono necessariamente sovrapposti.
La percezione della rilevanza di San Sergio è visibile da tutte le parti.
Mons. Emmanuele, di obbedienza costantinopolitana e direttamente interessato al problema, annota: «Mi piace ricordare, come ex studente di San Sergio, di avere un particolare attaccamento alla sua esistenza. Come molti, sono preoccupato per il suo avvenire. L’istituto è una parte fondamentale, anzi centrale della vita dell’esarcato. Ma, al di là di questo, è per sua natura – e io ne sono un esempio – pan-ortodosso, inclusivo, aperto al dialogo sia intraortodosso sia ecumenico e interreligioso. La sua eredità teologica e intellettuale va ben oltre le frontiere dell’esarcato».
E mons. Anfiloco, metropolita del Montenegro (serbo e filo-russo), scrive: «Come ex professore, esprimo la mia profonda preoccupazione relativamente alla soppressione di questa istituzione religiosa estremamente importante per l’Occidente. L’eparchia ha giocato, attraverso l’istituto e la sua teologia, un ruolo eccezionale non solo per la missione dell’ortodossia in Occidente, ma più generalmente per la teologia ortodossa nel mondo, così come per la salvaguardia dell’identità cristiana dei popoli occidentali. Considero indispensabile che l’eparchia trovi una soluzione canonica per salvaguardare la propria integrità e unità, e per la sussistenza dell’Istituto San Sergio e la garanzia del suo avvenire».