Pochi giorni fa Dimitrios Keramidas, mio connazionale, sotto il titolo “Il nodo ucraino e il futuro dell’Ortodossia”, il 19 settembre 2018, scriveva su Settimana News: «Οltre all’Ortodossia di stampo etnocentrico, erede di una percezione quasi messianica del connubio tra nazione e religione, sta silenziosamente fiorendo una “nuova”, possiamo dire, Ortodossia, che riscontriamo anzitutto nelle aree della diaspora, in cui il confronto con le società pluralistiche e secolarizzate e la promozione del dialogo ecumenico diventa un elemento indispensabile della sua identità. Si pensi, ad esempio, al lavoro dei teologi russi che, recatisi a Parigi dopo la rivoluzione bolscevica, hanno esposto il loro bagaglio spirituale in maniera aperta e originale, che ha stimolato persino le ricerche di quella nouvelle théologie che ha lasciato la sua impronta sul concilio Vaticano II. Anche il placet del Patriarcato Ecumenico alle seconde nozze dei sacerdoti ha dato ascolto a delle esigenze pastorali, finora non affrontate, che interesserebbero soprattutto il clero della diaspora. Vi sono, inoltre, le missioni ortodosse nelle diverse periferie globali; non è casuale la delibera del Patriarcato di Alessandria di ripristinare, dopo oltre un millennio, l’ordine delle diaconesse, che saranno impiegate proprio nelle esigenze missionarie dell’Africa. Nel frattempo, in Asia, emerge un’Ortodossia il cui compito è di progettare l’inculturazione del vangelo in un continente che oggi rappresenta pressoché la metà della popolazione mondiale».
Un tema rimasto senza decisioni
Soffermiamoci sul “placet” alle seconde nozze dei sacerdoti, con il quale il Patriarcato ecumenico ha dato ascolto a esigenze pastorali, finora non affrontate, che interesserebbero soprattutto il clero della diaspora.
Con tanto amore e rispetto per le opinioni della sua Chiesa, secondo il mio umile e poco importante parere, non si tratta di un “placet” del Patriarcato Ecumenico ma di un atto dovuto di giustizia e di amore fraterno. Quello che “è ovvio” da tempo è stato ignorato e qui è diventata una questione che richiede il permesso dell’autorità… Tutto, e non solo tale questione, è ormai ridotto, purtroppo!, al permesso dell’apposita autorità, non solo in Oriente ma anche in Occidente.
In data 2 settembre il sito romfea.gr riportava un breve articolo, firmato da Teodoro Kulmuko, del giornale greco di New York, ΕTHNIKOS KΙRYKAS 2 (National Herald), ben addentro negli affari ecclesiastici sia dell’Arcivescovado Ortodosso degli USA sia del Patriarcato Ecumenico. Vi si leggeva: «Il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico ha preso la storica decisione di concedere il secondo matrimonio ai preti in caso di vedovanza e nel caso che la loro “presbìtera” (= moglie del prete) lo abbia abbandonato, della quale fuga, però, non sia responsabile il prete. Fattore decisivo è l’esistenza di bambini e la loro età come anche l’età dell’interessato. Per esempio, tale decisione non si applicherà ai preti che hanno superato il 60° anno di età. Il procedimento specifica che tale decisione non si applica a coloro che desiderano lasciare la loro “presbìtera” per sposare un’altra donna. Si sottolinea che ciascun caso sarà esaminato separatamente in ogni suo dettaglio dal vescovo della provincia ecclesiastica al quale è inscritto il sacerdote interessato e, in seguito, tutto il dossier sarà inviato al Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico, che emetterà a proposito un giudizio definitivo. Il sacramento del matrimonio per il secondo matrimonio dei sacerdoti sarà diverso e consisterà in una preghiera semplice in una cerchia familiare molto ristretta. Nei prossimi giorni il patriarca ecumenico Bartolomeo pubblicherà una lettera ufficiale con precisi dettagli e indicazioni».
Una decisione che tocca la vita
Le considerazioni che seguono sono basate su queste poche righe e sulle prime impressioni che hanno suscitato in me.
Certo è che tale decisione è storica ed è stata accolta con grande soddisfazione e sollievo, perché tocca la vita di migliaia di preti che si trovano in una situazione difficile e, a volte, insopportabile. Devono vivere in un celibato non scelto da loro e che è stato loro imposto da fatti non dipendenti dalla loro volontà. Infatti, si sono sposati prima di essere ordinati perché non volevano seguire lo stato di celibato, di monaco.
Tale scelta aveva anche come conseguenza quella di non poter aspirare allo stato di vescovo, mentre, per l’autore delle Lettere Pastorali, desiderare di diventare vescovo è cosa buona e giusta. L’episcopato, infatti, almeno per la teologia occidentale, è il coronamento del sacramento dell’ordine sacro. (Detto di passaggio, a me pare che tale approccio e comprensione del sacramento dell’ordine implichi piuttosto una visione del potere ecclesiastico a tre velocità. Senza considerare il potere della burocrazia ecclesiastica, che è un “di più” in tutte le Chiese).
La Chiesa Ortodossa ha in grandissima considerazione il principio pastorale del kat oikonomia alla luce del quale si risolvono problemi spinosissimi a favore dell’uomo (vedi il caso dell’indissolubilità del matrimonio: il matrimonio è accettato come indissolubile ma, per economia estrema, è permesso il secondo e il terzo matrimonio sulla base di alcune ragioni specifiche).
Nella regola del patriarca Niceforo di Costantinopoli, detto il Confessore, in merito al secondo matrimonio, si afferma: «Colui che si sposa per la seconda volta non viene “coronato”». Ciò significa che ciò che chiamiamo secondo matrimonio, in sostanza – se esaminiamo la celebrazione speciale nel Dygammon, num 1 – si tratta di una celebrazione che non ha un valore sacramentale vero e proprio, ma è una semplice celebrazione e benedizione in vista del bene delle anime e della metanoia. Di solito, a coloro che contraggono un secondo matrimonio, si impone un epitimion, come richiede la nostra regola, e cioè l’astensione di due anni dalla Santa Comunione e, a quelli di un terzo matrimonio, l’astensione di tre anni…).
Quindi, aspettiamo le indicazioni e le direttive che regoleranno la prassi in proposito. Speriamo che queste direttive abbiano a cuore i bisogni di ogni persona piuttosto che il dettato della legge e della tradizione. In un’epoca, come la nostra, in cui tutto cambia, non ci si deve ridurre a descrivere rigorosamente ciò che è permesso e ciò che non lo è. Si devono piuttosto aprire le porte per fare entrare un venticello fresco e corroborante, aperto alla speranza, in modo che non si verifichi ancora una volta l’aforisma di Gesù: «Ed egli disse: “Guai a voi, dottori della legge! Perché caricate gli uomini di pesi difficili da portare, e voi non toccate questi pesi neppure con un dito” (Lc, 11,46 Mt 23,4)».
Di fronte a un tale aforisma, sia in Occidente sia in Oriente, siamo inclini a far finta di niente. Già la vita sulla terra non è facile per nessuno, ma renderla ancora più difficile, deprimente e cupa, tale da marginalizzare le persone, è davvero troppo! Secondo l’antropologia cristiana, la vita umana deve essere piena di speranza, di misericordia, di coinvolgimento nella ricerca del bene comune, sia pure con il sorriso amaro della charmolipi (= un misto di gioia e di dolore) dei padri.
Le reazioni
Certo che per la grande maggioranza è una decisione storica. Alcuni si chiedono se sia possibile che una tale decisione possa essere presa dal Patriarcato Ecumenico da solo. Già nel 2006 il Sinodo della Chiesa della Grecia, dopo un’apposita richiesta sul secondo matrimonio dei sacerdoti rimasti vedovi fatta dal Patriarcato Ecumenico, rispondeva: «…tale passo deve essere dato kat oikonomia dal supremo organo sinodale delle singole Chiese autocefale dove il caso si presenta. Per arrivare ad una decisione definitiva si richiede che il problema sia indagato a fondo. La decisione, per quanto concerne il secondo matrimonio dei preti, dev’essere presa solo all’unanimità da un Sinodo Panortodosso». Per altri: ancora meglio se è un Sinodo Ecumenico.
Altri notano come il Sinodo patriarcale, con una decisione di questo genere, cerca di tenere, tra le diverse posizioni, un equilibrio che poco dista dall’arbitrarietà.
Altri si meravigliano che il Patriarcato Ecumenico sia approdato ad una tale decisione per il secondo matrimonio dei sacerdoti, dal momento che nemmeno il Sinodo di Creta ha osato affrontare questo argomento. Infatti il Sinodo cretese vi ha fatto un semplice riferimento generale dicendo (II 4.): «Il sacerdozio di per sé non è un impedimento al matrimonio, ma, secondo la tradizionale regola canonica in vigore (can. 3 della 5a e 6a Sinodo nel Trullo, ecumenico), dopo l’ordinazione, il matrimonio è un impedimento».
Occorre però tener conto che il Sinodo di Creta doveva affrontare, in realtà, i gravi disaccordi che esistevano tra i partecipanti e soprattutto l’assenza delle quattro Chiese Ortodosse locali.
C’è poi il fronte dei conservatori di tutte le specie, ossia quelli che argomentano che il problema non esiste perché è già stato risolto definitivamente dalle Lettere Pastorali, 1Tim 3,2 e Tito 1,5.6, nelle quali si prescrive che «il vescovo sia marito di una sola donna». Questo versetto viene interpretato nel senso che l’interessato, una volta rimasto vedovo, non può risposarsi, perché la donna che sposa sarà la seconda. Poi i conservatori ricorrono ad un grande numero di canoni del quinto/sesto Concilio ecumenico e ad altri Padri della chiesa. Certo che tali versetti sono una crux interpretum.
Non intendo riportare qui le numerose interpretazioni. Personalmente ritengo la seguente come la più ovvia e giusta fra tutte: gli autori delle Lettere Pastorali con questa espressione intendono difendere la dignità del matrimonio dei cristiani contro le tendenze gnostiche e il lassismo dei pagani. Nei versetti citati si elenca cosa deve fare o cosa non deve fare un vescovo per essere una persona esemplare. E si comincia con l’indicazione che egli sia un modello di fedeltà matrimoniale ad una sola donna finché essa vive; assai lontano quindi da quanto scriveva Demostene, secondo il quale «… abbiamo le etere per il piacere, le concubine per il divertimento e i bisogni del corpo e le spose per darci figli legittimi ed essere custodi leali del casato» (Contro Neairas 122).
Vi sono anche quelli che, nella decisione del Patriarcato, vedono un’ulteriore empia concessione alla mondanizzazione della Chiesa, un passo ulteriore per la de-ortodossizzazione dell’insegnamento dogmatico della Chiesa, oppure un ulteriore tentativo di fare entrare de facto l’Ortodossia nell’ecumenismo e nella religione globale (Panthriskeia, una religione mondiale unica)…
Non mancano obiezioni che nascono dalla gelosa difesa del principio dell’autocefalia in tutte le sue possibili manifestazioni. In questo caso, la pretesa del Sinodo del Patriarcato Ecumenico di essere l’assise suprema di tutti i casi costituisce una spina. Qualcuno, con una certa dose di malizia, ha notato: finalmente il Sinodo costantinopolitano non ha cose importanti di cui occuparsi, dal momento che vuole avocare a sé le migliaia di casi di secondi matrimoni dei preti nel mondo!
A mo’ di curiosità, alcuni, seguendo le teorie della cospirazione, vedono nel gesto del Patriarca un aiuto al papa per abolire il celibato dei suoi preti.
Il secondo matrimonio dei sacerdoti sarà diverso…
Nel breve annuncio, inoltre, si notava che il secondo matrimonio dei sacerdoti sarà diverso dal sacramento del matrimonio: sarà una preghiera semplice in una cerchia familiare molto stretta.
Ma che cosa significa sarà “diverso”? “Una preghiera semplice”, cioè senza fasto? Diverso dal matrimonio di un vedovo/a laico/a che si sposa?
Siccome sarà celebrato kat oikonomia, come chiedono molti, sarà una celebrazione diversa? Una semplice benedizione o qualcosa di analogo? Oppure sarà una celebrazione diversa, analogamente al secondo o al terzo matrimonio che la Chiesa ortodossa pure celebra, ma senza porlo sullo stesso piano del sacramento “originale”, perché il matrimonio si celebra una sola volta? Quindi, si tratterebbe di una benedizione (un sacramentale?) e non di un sacramento.
Esaminando il rito predisposto per il secondo o terzo matrimonio, ci si accorge che esso differisce dal primo matrimonio sia nella terminologia sia nei concetti e nelle preghiere che lo compongono. E tutta la celebrazione ha un orientamento penitenziale.
Un po’ di storia
La questione del matrimonio dei sacerdoti rimasti vedovi non è nuova. Già nel 1910, l’allora arcivescovo Karlovitz Luciano, in qualità di presidente del Santo Sinodo della Chiesa Serba, con una lettera ufficiale al Patriarca Ecumenico Joachim III aveva presentato la questione che si era creata nella metropolia di Karlovitz come anche nella metropolia di Bucovina e Dalmazia, con sacerdoti e diaconi vedovi che chiedevano di risposarsi, Desiderava conoscere la tesi ufficiale della Chiesa Madre di Costantinopoli. La questione è stata presentata ma non è stata discussa e quindi non vi è stata nessuna decisione.
Dieci anni più tardi, nel 1920, il problema venne riportato alla ribalta dall’arcivescovo di Belgrado, Demetrio, con l’invio di una lettera al metropolita Prousis Dorotheo, allora luogotenente del Trono Ecumenico vacante, chiedendo alla Chiesa Madre di Costantinopoli di assumersene la responsabilità e di risolvere l’intero problema.
Sempre la Chiesa di Serbia, per opera del vescovo Nicola di Zitsa, qualche anno più tardi aveva chiesto all’allora arcivescovo Melezio di Atene di far intervenire la Chiesa Greca affinché questo problema urgente trovasse una soluzione adeguata. La Chiesa Greca, per mezzo del suo Sinodo, aveva dichiarato che era pienamente disponibile ad adoperarsi in questo senso, però attraverso un Sinodo Ecumenico.
Vista la titubanza e l’esitazione della Chiesa Greca, il metropolita di Saloncino, Yennádios, decise di impegnarsi in uno studio su questo tema, successivamente pubblicato sulla rivista teologica Gregorios Palamas della sua metropolia. In quello studio egli sosteneva la possibilità che un candidato potesse contrarre matrimonio anche dopo la sua ordinazione e che i sacerdoti e i diaconi diventati vedovi potessero kat oikonomia contrarre un secondo matrimonio. Sosteneva, inoltre, l’abolizione del celibato obbligatorio dei vescovi. Riteneva che il problema dovesse essere risolto, una volta per tutte, da un Sinodo Ecumenico. Pensava però che, nel frattempo, laddove fosse stato necessario, le singole Chiese autocefale potessero decidere kat oikonomia per il matrimonio dei preti e dei diaconi rimasti vedovi.
Queste interpretazioni, però, sono state combattute con veemenza dal metropolita di Veria, Callinicos. E, da allora, si è entrati in una fase di stagnazione.
Nel 1923, nella Conferenza Panortodossa convocata a Istanbul, la questione è stata sollevata da parte delle Chiese di Serbia e di Romania. Anche la Chiesa Russa si era mostrata interessata. La Conferenza Pan-ortodossa ha ritenuto che questo problema, a causa della sua particolare natura e gravità, dovesse essere affrontato e risolto da un Concilio Panortodosso. Tuttavia, si dichiarava favorevole al secondo matrimonio di diaconi e sacerdoti rimasti vedovi.
La Chiesa di Grecia, come già abbiamo visto, nel 2006, con una delibera del suo Sinodo, dopo una previa richiesta di esprimere il proprio parere sul secondo matrimonio dei sacerdoti e dei diaconi da parte del Patriarcato Ecumenico, rispondeva: «… tale passo deve essere dato kat oikonomia dal supremo organo sinodale della singole Chiese autocefale dove il (i) caso(i) si presenta (presentano), in modo da arrivare ad una decisione definitiva, dopo avere indagato a fondo…». E concludeva dicendo che «una decisione definitiva a proposito del secondo matrimonio dei preti dev’essere presa solo e all’unanimità da un Sinodo Panortodosso».
A conclusione di questa rassegna, riportiamo un aforisma del compianto patriarca ecumenico Atenagora che, in proposito, aveva dichiarato ad un giornalista greco: «Nessun sacramento è ostacolo ad un altro sacramento. Il sacerdozio non è ostacolo al matrimonio e nemmeno il matrimonio ostacola il sacerdozio per i sacerdoti e i diaconi».
Alcune considerazioni
Una parola a proposito del problema della vedovanza di un prete sposato. Il problema non è tanto se egli può contrarre un secondo matrimonio. È ovvio che può, se lo vuole. È un suo diritto come cristiano e come essere umano! Che poi l’interessato ad un secondo matrimonio per vedovanza sia anche prete, è per accidens. Ciò che conta è che il cristiano che si trova in necessità consideri e usi i sacramenti come “medicine per la vita eterna”.
Lo stesso vale anche per il celibato richiesto dalla Chiesa cattolica. La quale, da parte sua, accetta dei sacerdoti “a doppia velocità”, occidentali e orientali e, ultimamente, “tripla” con l’ingresso degli ex anglicani. Stare a chiedersi se sia questione dogmatica o disciplinare, per poter decidere se è possibile cambiare o no… sono tutti bizantinismi!
Il problema vero sta nel sapere chi è il sacerdote, perché qui sta la sostanza. Ultimamente ho letto tanti articoli belli e sapienti sul prete apparsi su Settimana News.it. Quasi tutti trattano del come deve comportarsi un prete, come deve essere il prete, la psicologia del prete, le sue qualità personali e professionali, se sia meglio vivere in comunità o no, come individuare un candidato adatto al sacerdozio, come formare un prete…
Alcuni scrivono per ufficio, altri per passione. Oso dire che quasi tutti si interessano del life style (stile di vita) del prete. Quasi nessuno (non voglio essere drastico) si è chiesto chi debba essere prete per il “novo millennio ineunte”, alla luce della “fides quaerens intellectum” e non dei semplici fervorini. Ne va di mezzo anche la teologia sacramentaria.